Nan Goldin parla alla Neue Nationalgalerie di Berlino e innesca un caso nazionele

Nan Goldin, Autoritratto con gli occhi rivolti verso l'interno, Boston, 1989, Photographie, dalla serie “Sisters, Saints and Sybils” © Nan Goldin. Per gentile concessione dell'artista

Qualche giorno fa davanti e all’interno del grande atrio di vetro che accoglie il pubblico della Neue Nationalgalerie di Berlino c’era gente. Molta gente. E soprattutto quella folla non sembrava, armata com’era di cartelli e striscioni, composta dal tipo di persone che normalmente aspettano di partecipare all’inaugurazione di una mostra d’arte. C’era anche un’insolita presenza di polizia per uno show culturale, che, quando l’artista statunitense Nan Goldin, la cui retrospettiva “This Will Not End Well” stava per essere aperta al pubblico, ha cominciato il suo intervento si è fatta più attenta. Nel frattempo la signora Goldin diceva: “Ho deciso di utilizzare questa mostra come piattaforma per esprimere la mia indignazione morale per il genocidio a Gaza e in Libano (…)

Alla fine i cori e il parapiglia nella galleria d’arte moderna di Berlino non hanno portato ad eventi che potessero interessare gli agenti delle forze dell’ordine tedesche ma le parole di Nan Goldin, nota per le sue posizioni filo-palestinesi, pronunciate in quella sede, mentre il pubblico scandiva inni come “Free, Free Palestine!” (e cose peggiori), hanno lasciato attonita l’opinione pubblica della Germania.

Non che qualcuno si potesse aspettare qualcosa di diverso. Malgrado le sue origini ebraiche la settantunenne Goldin, ha già marciato con i manifestanti pro-palestinesi (nel corso di uno di un raduno a New York è stata anche arrestata) e ha firmato lettere pubbliche in cui definiva un “genocidio” le azioni di Israele a Gaza. Dal 2017 al conflitto mediorientale, l’artista si era invece impegnata a combattere la famiglia Sackler, proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma e produttrice del farmaco atidolorifico OxyContin, secondo lei responsabile di gran parte dei casi di dipendenza da oppioidi negli Stati Uniti (il suo obbiettivo era quello di spingere i musei che beneficiano delle donazioni dei Sackler a rifiutarle; fin’ora le è riuscito solo con la National Portrait Gallery di Londra). Da quel momento la signora Goldin, i cui primi successi risalgono agli anni ’70 e che è famosa da decenni, ha cominciato ad essere definita non solo artista ma anche attivista..

In Germania (dove la storia recente rende quello dell’antisemitismo un tema particolarmente sensibile), esiste una legge che proibisce il finanziamento ad eventi riconducibili al movimento per il boicottaggio di Israele, ritenuto antisemita. L’americana non si è detta d’accordo e ha accusato i tedeschi di confondere la critica ad Israele con l’antisemitismo. Questo però non ha evitato ad altri artisti dalle posizioni simili a quelle di Goldin di vedere cancellata la propria mostra mentre la sua non ha subito nemmeno un ritardo.

Anzi il dibattito politico consumato a suon di servizi televisivi e articoli di giornale che è seguito all’inaugurazione, ha fatto un gran bene all’evento (per visitare l’esposizione bisogna fare la fila). L’affollamento dell’inaugurazione invece non sembrava genuino, come ha fatto notare jl Ministro della cultura tedesco Claudia Roth che ha detto: “i dimostranti sono venuti al museo non per vedere l’arte ma per zittire il direttore”.

Il direttore del museo berlinese, Klaus Biesenbac, che aveva preparato un discorso da contrapporre a quello della signora Goldin ma che è risultato inudibile per le urla della folla, si era già guadagnato dei titoli di giornale per proposte creative e controcorrente, come quella di lasciare aperte a tutti le porte del museo permettendo alla gente di risparmiare sugli ormai esorbitanti costi necessari per il riscaldamento. Questa volta però la stampa con lui è stata severa. Il quotidiano tedesco Welt ne ha chiesto le dimissioni e ha così commentato l’accaduto: “Il fatto che abbia cercato di prendere le distanze dopo il discorso di Nan Goldin e sia stato messo a tacere dagli attivisti non deve distrarre dal fatto che Biesenbach stesso è responsabile di questo nuovo punto basso della politica culturale tedesca(…) sembrava credere che avrebbe tenuto sotto controllo la sua fidanzata Goldin, che dagli anni '90 descrive come parte della sua ‘famiglia prescelta’. Lei gli aveva promesso di mantenere un basso profilo a Berlino (…) È stata la stessa Goldin a derubarlo delle sue illusioni nelle settimane precedenti l'inaugurazione della mostra e ora a dire a chiunque volesse ascoltare cosa aveva intenzione di fare a Berlino e come non le importasse della sensibilità del suo vecchio compagno”.

Il signor Biesenbach continua a difendere la scelta di mettere in calendario la retrospettiva “This Will Not End Well” che racconta l’evoluzione della fotografia dell’artista nata a Washington, dal diario intimo per immagini che ne hanno caratterizzato gli esordi fino ai giorni nostri. Ha anzi affermato: “Spero solo che questa mostra altamente visibile di un artista molto importante e schietta possa essere un catalizzatore per far sì che accada di più, trasformando idealmente le sfide in opportunità per parlare, per provare empatia"

Il discorso della signora Goldin, durato oltre un quarto d’ora, e le reazioni del pubblico nel giorno dell’inaugurazione della mostra hanno, invece, sollevato un coro pressoché unanime di indignazione. Il ministro Roth si è detta "inorridita" dai commenti di Goldin e dalle azioni dei dimostranti. "Per quanto encomiabile sia l'arte di Nan Goldin, respingo le opinioni intollerabilmente unilaterali dell'attivista politica su Israele" ha aggiunto. A Hermann Parzinger, presidente della Fondazione prussiana per il patrimonio culturale, alla quale appartiene la Galleria Nazionale, il discorso non è piaciuto affatto e ha dichiarato: “Questo non è quello che intendiamo per libertà di espressione”.

Da poche ore Iraele ha concordato un cessate il fuoco con il Libano che potrebbe porre fine al conflitto con Hezbollah.

La retrospettiva, “This Will Not End Well” di Nan Goldin, invece, rimarrà alla Neue Nationalgalerie di Berlino fino al 6 aprile 2025. Si tratta di un corpo di opere importanti che si sviluppa in sei edifici unici progettati in risposta al lavoro dell’artista ma è anche una mostra itinerante che tocca Berlino dopo Stoccolma e Amsterdam. Dal 9 ottobre 2025 si trasferirà al Pirelli Hangar Bicocca di Milano

Una banana venduta da Sotheby’s per 6 milioni di dollari è come latte e miele per un mercato dell’arte malaticcio

Comedian di Maurizio Cattelan venduta per 6.2 milioni di dollari da Sotheby's a New York. Courtesy of Sotheby's.

Dalla pandemia il mercato dell’arte moderna e contemporanea ha subito una contrazione dopo anni di spensieratezza. Per questo la supposizione che, mercoledì notte (secondo l’orario italiano), la vendita di quella banana appiccicata col nastro adesivo alla parete della sede newyorkese di Sotherby’s fosse scontata, era una scommessa. O meglio alla vendita in sé di “Comedian”, l’opera prettamente concettuale più recente (2019) e discussa di Maurizio Cattelan, credeva la casa d’aste (che ha messo il lotto in evidenza già prima dell’evento), il pubblico, che ha riempito sia la sala reale dell’evento che quella virtuale (le persone commentavano con frasi come: “Siamo qui per quello delle banane!”) e in generale gli addetti ai lavori, ma rimaneva da vedere come. E alla fine, battuta a 5,2 milioni di dollari più commissioni, per un totale di 6.2 milioni di dollari, sestuplicando la stima più bassa (era valutata tra il milione e il milione e mezzo), l’opera, definita dal suo stesso acquirente “un fenomeno culturale che unisce il mondo dell'arte, dei meme e della comunità delle criptovalute" ha superato le aspettative.

Non ci credeva invece lo stesso sign. Cattelan, che ha dichiarato ad un quotidiano italiano di aver ricevuto l’offerta di ricomprare “Comedian” per 500 mila dollari. Era il 2019, appena una settimana dopo la presentazione dell’opera: “Ho detto di no. Ieri ho pensato: che stupido”.

C’è da dire che si trattava anche dell’unico lotto che accettava un pagamento in criptovalute (che dalla vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane hanno registrato record su record) e che ad aggiudicarselo è stato proprio, Justin Sun, un imprenditore del settore, di origine cinese. Sun, che ha vinto contro altri sei offerenti in un duello serratissimo durato solo una manciata di minuti, raggiunto telefonicamente da un quotidiano statunitense ha previsto un aumento dell’acquisto di opere d’arte da parte di chi si occupa di criptovalute durante la presidenza di Donald Trump.

Ed Ruscha, “Standard Station, Ten-Cent Western Being Torn in Half,” 1964, venduto per 68.2 milioni di dollari. Ed Ruscha, via Christie's

Uno dei motivi per cui le aste di novembre da Sotheby’s e Christie's erano sotto stretta osservazione era proprio l’avvenuta elezione del sig. Trump. Si ritiene infatti che le sue politiche fiscali potrebbero avere un impatto positivo sul mercato dell’arte. Prima che le aste avessero luogo Abigail Asher, una consulente d'arte di New York ha detto a un gruppo di giornalisti che hanno firmato un approfondimento sull’argomento per un quotidiano statunitense: “Ora le persone stanno improvvisamente provando un senso di sicurezza. Aspettavano dopo le elezioni per premere il grilletto sui grandi dipinti". Altri esperti hanno invece fatto notare che, sebbene ci siano stati dei segnali positivi già dall’indomani delle elezioni, è ancora troppo presto per trarre conclusioni.

Come sia messa la situazione, ad aste avvenute o in corso (nel momento in cui viene redatto questo articolo si sono svolte quelle di Christie's e Phillips New York, oltre alla serale Now and Contemporary di Sotheby’s dove è stata venduta l’opera di Maurizio Cattelan), non è affatto chiaro. Qualcuno sostiene che in generale il volume d’affari del contemporaneo sia calato vistosamente rispetto allo scorso anno, e che alcuni pezzi di pregio multimilionari siano rimasti invenduti a fronte di forbici di valutazione prudenti (ad esempio: la ceramica dell’88 di Jeff Koons “Woman in Tub”, stimata tra i 10 e i 15 milioni di dollari da Sotheby’s). Altri che la maggioranza dei committenti non ha voluto vendere prima che i “tumulti elettorali” non si fossero esauriti, insomma a passaggio di consegne avvenuto. Questo naturalmente avrebbe influito anche sulla qualità e la vendibilità delle opere.

Quel che è certo è che oltre allo splendido olio su tela di René Magritte, “L'impero della luce” (1954) la cui vendita da Christie’s era già certa (aveva una garanzia che lo copriva per 95 milioni) ma che è andato meglio del previsto arrivando a 121,2 milioni di dollari (incluse commissioni), se la sono cavata egregiamente tutte le opere, se così si può dire, patriottiche. Come lo studio di Roy Lichtenstein per “Oval Office” che, stimato tra il milione e il milione e mezzo, è stato battuto per ben 4 milioni e 200 mila dollari. O “Georges’ Flag” del ’37 di Ed Ruscha che, stimato tra gli 8 e i 12 milioni, è andato a casa di un’acquirente che ne ha offerti 13 e 650 (anche se di Ruscha a fare veramente faville è stato “Standard Station, Ten-Cent Western Being Torn in Half” del ’64 venduto ad oltre 68 milioni).

Benissimo anche la surrealista messicana di origine britannica, Leonora Carrington (1917-2011), che da dopo essere stata esposta alla Biennale di Venezia due anni fa (la più femminista) da Cecilia Alemani, aveva già macinato cifre a sette zeri, e con la scultura “La Grande Dame” (The Cat Woman) del ’51, si è superata: stimata tra i 5 e i 7 milioni è stata aggiudicata per 11, 4 milioni!

Altro successo che ha scavalcato le previsioni più rosee è stato appunto il frutto più costoso di sempre firmato da Maurizio Cattelan. “Comedian, apparsa per a prima volta nello stand della Perrotin Gallery di una fiera di Miami nel 2019, dove aveva causato trambusto, attirando curiosi su curiosi per il clamore che aveva suscitato, ai tempi era stata venduta per una cifra che oscillava tra i 120 e 150 mila dollari (ne esistono 3). Si tratta di un’opera concettuale, il cui valore non è ovviamente determinato dalla banana in sé, ne dal nastro adesivo (un rotolo del quale viene comunque fornito al compratore), ma dall’idea dell’artista che si concretizza in un certificato d’acquisto autenticato e in un dettagliatissimo manuale di istruzioni di 14 pagine con tanto di diagrammi che spiegano come sostituire il frutto una volta marcito.

Il signor Cattelan ha tratteggiato così la genesi di “Comedian”: “Nel 2019, lavoravo a un contributo per il New York Magazine e pensai alla banana come simbolo di New York (…) L’idea rimase lì, finché non arrivò la fiera di Miami. Mi trovavo di fronte a un mercato saturo, pieno di opere eccessive e poco sperimentali. Così decisi di fare un gesto essenziale, quasi assurdo: comprai una banana per 25 centesimi e la fissai al muro con del nastro adesivo”. Ha anche detto: “È il mercato che ha deciso di prendere sul serio una banana attaccata al muro. Se il sistema è così fragile da cadere su una buccia di banana, forse era già scivoloso di suo”. Tuttavia, è pure possibile che l’autore sia stato ingiusto con la sua opera, che, a distanza di anni, potrebbe apparire nei libri di storia dell’arte come un commento irrinunciabile alla nostra epoca, e con il mercato che, anziché respingere la critica feroce di un insider, la ha fatta sua e trasformata in salutare autoironia, come una battura, espressa con l’unica lingua che il mercato può conoscere: quella del denaro.

Leonora Carrington, “La Grande Dame (The Cat Woman),” olio su legno, 1951, venduta per 11.4 millioni di dollari. Leonora Carrington; via Sotheby's

Frank Auerbach, uno dei maggiori esponenti della scuola di Londra è mancato lunedì

Frank Auerbach, Self-portrait, 2023, Acrylic on board 660 x 610 mm. Frankie Rossi Art Project

Conosciuto per la caparbia dedizione al lavoro, l’essere abitudinario ai limiti del maniacale e per la laboriosità della sua opera, il pittore britannico Frank Auerbach, è mancato lunedì scorso. Aveva 93 anni, insieme a Francis Bacon e a Lucian Freud (nipote di Sigmund), era uno dei maggiori rappresentanti della Scuola di Londra.

Nel 2001 in occasione della mostra alla Royal Accademy, Frank Auerbach andò ad aspettare il giornalista John O'Mahony che doveva intervistarlo alla fermata della metropolitana e lo accompagnò fino al suo studio. Una camminata di soli cinque minuti per il quartiere di Camden Town nella zona nord di Londra ma il Signor O'Mahony scrisse: “Una volta raggiunta la scalinata del suo studio con il cancelletto rappresentato in modo esaustivo nei suoi dipinti To The Studios, questo breve viaggio sembra averci portato attraverso l'intera lunghezza e larghezza del piccolo universo di Auerbach”. Quello studio, che pare fosse angusto e freddo, il Signor Auerbach, lo aveva rilevato dal suo amico e collega Leon Kossoff nel ’54. Da allora vi si recava tutti i giorni, sette giorni su sette, per dipingere, a parte un giorno all’anno in cui prendeva il treno per Bringhton sulla costa meridionale dell’Inghilterra (a circa un’ora e mezza da Londra) per respirare un po’ d’aria di mare e poi ritornare in fretta e furia. Nello studio, da quando era tornato con la moglie, la pittrice Julia Wolstenholme (da cui ha avuto il figlio Jake che adesso fa il regista), dopo la tumultuosa e appassionata relazione con Estella Olive West, lui dormiva anche cinque notti a settimana (nel weekend andava dalla moglie). Non guardava mai la televisione che riteneva “un’invenzione abominevole” e la mattina, prima delle sette per non trovare traffico, dipingeva i parchi, le strade e gli edifici lì intorno. Tuttavia erano i ritratti quelli a cui dedicava più tempo, impegno e dedizione.

Si parla di immagini stilizzate ma dinamiche che emergono dalla pittura densa e grumosa spesso al limite dell’immaginabile in cui raramente si riconosce il soggetto. Comunque il Signor Auerbach ritraeva un ristrettissimo gruppo di persone, sempre le stesse (in genere amici e famigliari, tra cui la moglie, l’amata West e la modella Juliet Yardley Mills). Uno dei motivi era che posare per lui doveva essere una vera e propria prova di sopportazione: due ore a settimana per un tempo indefinito che poteva protrarsi facilmente per un anno o due e niente ritardi altrimenti lui si innervosiva. Un modello ha riferito a The Guardian: “Era come andare dal dentista”. Un altro ha invece spiegato: “Parla da solo tutto il tempo, dicendo 'spazzatura, non è abbastanza buono, spazzatura completa'. Ma ti rendi conto che improvvisamente a un certo punto in questo atto di creazione è un po' più contento. Di punto in bianco entra in uno stato di meditazione e tocca la tela con grande delicatezza, e pensi che forse è finalmente soddisfatto".

E.O.W. Nude, 1953–4, Frank Auerbach Oil paint on canvas. 508 × 768 mm frame: 683 × 945 × 106 mm Tate Britain

Era un disegnatore geniale e un pittore, perennemente insoddisfatto (anche molti anni dopo ricomprava le opere che non lo convincevano per distruggerle) ma enorme, con la mente sempre rivolta ai grandi maestri (tra loro Picasso ma anche Tiziano, Rembrandt e Rubens). All’inizio della sua carriera sovrapponeva strati su strati di pigmento, talvolta raschiando via zone gli sembravano sbagliate, per poi applicarne ancora e ancora. Si trattava di volumi di colore incredibilmente tattili e talmente consistenti che nel ’55 quando vennero esposti per la prima volta (opere oggi celebrate come Head Of EOW del 1954-55 che aveva richiesto 300 sedute e due anni di lavoro e l'EOW Nude del 1953-54) ci vollero due o tre persone per reggerli talmente erano diventati pesanti, e, alla fine, si decise di appoggiarli sul pavimento per paura che la vernice si staccasse e cadesse a terra. Qualche anno dopo però cambiò tecnica e cominciò a dipingere per poi raschiare via l’intero risultato, poi ridipingeva poi raschiava di nuovo e così via per un infinito numero di volte. Secondo una stima fatta dallo stesso artista pare che il 95 per cento del colore da lui utilizzato finisse nell’immondizia.

Era nato a Berlino il 29 aprile del 1931 da una famiglia ebrea colta e benestante. Il padre Max era un avvocato specializzato in brevetti, mentre la madre Charlotte Borchardt aveva ricevuto una formazione artistica. Ma poi la situazione politica tedesca si complicò troppo e i genitori decisero di mandare il piccolo Frank Helmut Auerbach in Inghilterra attraverso un programma per bambini rifugiati. Poco tempo dopo loro furono internati in un campo di concentramento ed uccisi ma il figlio si salvò ed ebbe l’opportunità di studiare oltre Manica. Fin da piccolo sognava di fare l’artista e frequentò prima il Bunce Court School a Otterden, nel Kent, poi il Hampstead Garden Suburb Institute e la St. Martin's School of Art di Londra. Recuperò infine un semestre al Borough Polytechnic Institute (ora London South Bank University), dove studiò con il pittore vorticista David Bomberg (che lui ricordò per tutti gli anni a venire). Era dotato per l’arte ma lo era anche per il teatro e una volta finì a recitare in una produzione dell’opera di Peter Ustinov, "House of Regrets", lì incontrò la signora Estella Olive West. Lui aveva 17 anni lei 32, sarebbero stati insieme per 25 anni.

La tragica fine della sua famiglia e le difficoltà che porta intraprendere la carriera artistica, lo misero nella condizione di avere costanti problemi economici. Tanto che per sopravvivere insegnò, trovò lavoro presso la panetteria della famiglia Kossoff nell'East London, fece il corniciaio e vendette persino gelati a Wimbledon Common. Ne avrebbe risentito per molti anni anche la sua pittura: per risparmiare comperava soltanto pigmenti scuri che costavano meno. Man mano che la sua situazione finanziaria migliorava (ci vollero molti anni perché si sistemasse definitivamente) aggiungeva colori dalle tinte sempre più accese che emergevano irrequieti in mezzo alla biacca incrostata. La sua affermazione venne ritardata da vari movimenti come l’Arte Concettuale e il Minimalismo ma nell’86 rappresentò la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia e si aggiudicò il Leone d’Oro insieme al tedesco Sigmar Polke. Ora le sue opere superano molto spesso il milione.

Nel 2011 quando morì Lucian Freud una parte della sua vasta collezione di Aurbach fu donata al governo inglese al posto della tassa di successione di 16 milioni di sterline (al cambio attuale oltre 19 milioni di euro).

Nel corso del tempo raccolse critiche entusiastiche e pareri ferocemente contrari che vanno da “l’inglese testardo per eccellenza” con cui lo liquidò il critico Stuart Morgan a "uno degli artisti più ammirati che lavorano oggi in Inghilterra" del critico Robert Hughes. Ma martedì, dopo che il mondo aveva appreso della sua scomparsa tutti gli artisti più famosi del Regno Unito lo hanno celebrato.

Frank Auerbach, Mornington Crescent - Summer Morning 2004 © Frank Auerbach Tate Britain