Ernst Scheidegger il fotografo che ritrasse le intramontabili star dell’arte

Ernst Scheidegger Salvador Dali nel suo atelier a Portlligat ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Ernst Scheidegger nato nel ’23 a Rorschach (una cittadina della Svizzera tedesca sul Lago di Costanza) e mancato nel 2016 a Zurigo è stato un pittore, un grafico, un editore e occasionalmente anche un regista ma soprattutto un importante fotografo. Uno dei primi reclutati dalla leggendaria agenzia Magum Photos (insieme a Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger), assistente di Werner Bischof, ha viaggiato, congelato l’Europa postbellica nelle sue immagini oltre ad aver frequentato e fotografato tutti i maggiori artisti attivi a Parigi a cavallo della prima metà del secolo scorso. Pittori famosi come divi di Hollywood e architetti noti più delle rock star. Tra loro: Hans Arp, Max Bill, Marc Chagall, Salvador Dalí, Max Ernst, Oskar Kokoschka, Le Corbusier, Fernand Léger, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Sophie Taeuber-Arp ma soprattutto Alberto Gicometti (di cui il fotografo era amico fraterno). Da domenica prossima il Museo d’Arte della Svizzera Italiana di Lugano (Masi) celebrerà Ernst Scheidegger con una grande mostra, intitolata “Faccia a Faccia”, che, oltre a mettere a confronto i suoi ritratti con le opere dei pittori che ha immortalato, presenta un importante corpo di scatti giovanili, talvolta inediti.

Scheidegger, infatti, al termine della Seconda guerra mondiale, si spostò tra Svizzera, Italia, Paesi Bassi, Jugoslavia e Cecoslovacchia, armato di una macchina Rolleiflex e scattò numerose fotografie. Tutte immagini personali, in bianco e nero, in cui compaiono le devastazioni del conflitto (i cantieri navali abbandonati, i volti dei bambini degli orfanotrofi e delle carceri minorili) ma soprattutto la voglia di ricominciare della popolazione (il luna park, le fiere, i sorrisi e i momenti di svago). Durante questo periodo (che gli scatti in mostra circoscrivono, per necessità e comodità, tra il ’45 e il ’55) al fotografo svizzero interessano le persone e la vita quotidiana, che restituisce in modo poetico e con grande attenzione al sociale.

“(La sua opera giovanile ndr) racchiude- ha scritto il curatore della mostra e direttore del museo, Tobia Bezzola- molti temi classici dei neorealismi fotografici e cinematografici del secondo dopoguerra: il riverbero delle luci di scena sui volti degli artisti e dei clown di un circo, le emozioni a buon mercato della fiera e del luna park, la rumorosa vita popolare che anima le strade dell’Europa del Sud, i bambini di strada, l’Esercito della salvezza, le sagre, le manifestazioni dei lavoratori”.

Ma a rendere celebre Scheidegger saranno i ritratti, scattati per piacere ma soprattutto per lavoro (riviste di settore o progetti editoriali), ad alcuni tra gli artisti più famosi del mondo. Da Joan Miró a Salvador Dalí, da Max Bill a Marc Chagall, Scheidegger, li fotografa tutti, privilegiando una prospettiva frontale, con stile pulito ma senza cercare la perfezione della messa a fuoco, gli interessa di più la luce ma prima di ogni altra cosa gli sta a cuore riprendere gli artisti in quanto tali, facendone emergere il processo creativo. Ci sono i colori, i pennelli e i quadri o le sculture, a parte l’autore. Certo questo non impedisce a Scheidegger di far filtrare i sentimenti che prova per le persone che stanno di fronte al proprio obbiettivo: se Salvador Dalí sembra sorpreso con ironia giocosa e simpatia, nei ritratti di Le Corbusier e Cuno Amiet c’è distanza, mentre per commemorare Sophie Tauber Arp, prematuramente scomparsa, Scheidegger ne immortalata lo studio vuoto.

Le fotografie di questo importante capitolo della mostra al MASI sono poste a confronto con le opere degli artisti ritratti (Cuno Amiet, Hans Arp, Max Bill, Serge Brignoni, Marc Chagall, Eduardo Chillida, Salvador Dalí, Max Ernst, Alberto Giacometti, Fritz Glarner, Oskar Kokoschka, František Kupka, Henri Laurens, Le Corbusier, Fernand Léger, Verena Loewensberg, Richard Paul Lohse, Marino Marini, Joan Miró, Henry Moore, Ernst Morgenthaler, Germaine Richier, Sophie Taeuber-Arp, Georges Vantongerloo). Tra queste ultime c’è anche un ritratto del fotografo svizzero dipinto da Aberto Giacometti, che Scheidegger teneva in caso e di cui avrebbe detto “non lo venderei per niente al mondo”.

L’amicizia con Giacometti costituisce un capitolo a parte della mostra, visto che i due si erano conosciuti in Svizzera quando il fotografo era poco più che ventenne e che il loro rapporto, da allora, non si sarebbe mai interrotto: “Avevo poco piü di vent'anni- racconterà in un intervista rilasciata qualche anno fa alla giornalista Anna Maria Nunzi- ero stazionato in Bregaglia per il servizio militare. Avevo appena finito l'apprendistato di grafico. Disegnavo molto e un giorno la proprietaria dell'albergo dov'ero alloggiato mi disse: «Anche qui vicino c'e un pazzo che disegna molto, perche non va a trovarlo?». Fino a quel giorno non avevo mai sentito parlare di Alberto Giacometti, comunque mi decisi di visitare il suo atelier. (…) Rimasi subito colpito ed affascinato. (…) Alberto era sommerso nel suo lavoro, dapprima non mi ha neppure degnato di uno sguardo, pensava infatti che fossi un soldato che stava compiendo un giro di ricognizione. Poi quando si e accorto che ero li per lui, mi ha rivolto la parola, abbiamo dunque iniziato a parlare. Ci siamo subito capiti, e quando potevo, andavo a trovarlo nel suo atelier”. Sarà Giacometti, al suo arrivo a Parigi qualche anno più tardi, ad aprirgli le porte del mondo dell’avanguardia artistica francese (“Quanto arrivai a Parigi l'unico indirizzo che avevo era quello di Alberto (…)”).

Non a caso domenica, in occasione dell’inaugurazione della mostra, al Masi di Lugano verrà anche presentato un volume di lettere scelte spedite da Alberto Giacometti alla famiglia in Val Bregaglia (“Il tempo passa troppo presto. Lettere alla famiglia” di Casimiro Di Crescenzo; l’autore del volume e il direttore del Masi Tobia Bezzola alle 11)

Organizzata in collaborazione con il Kunsthaus Zürich e la Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, “Faccia a faccia. Giacometti, Dalí, Miró, Ernst, Chagall. Omaggio a Ernst Scheidegger” (a cura di Tobia Bezzola e Taisse Grandi Venturi), sarà al Masi di Lugano dal 18 febbraio al 21 luglio 2024. L’opera di Ernst Scheidegger, online, si può in parte anche ammirare sul sito della fondazione e archivio a lui dedicata.

Ernst Scheidegger Max Bill insegna teoria delle forme alla Scuola di arti applicate di Zurigo ca.1946 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger, Alberto Giacometti dipinge Isaku Yanaihara nel suo studio parigino 1959 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; works Alberto Giacometti © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris

Alberto Giacometti Ritratto Ernst Scheidegger ca. 1959 Olio su tela Kunsthaus Zurich, 2017 © Succession Alberto Giacometti / 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger FritZ Glarner nel suo atelier di Parigi ca. 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Hans Arp nel suo atelier di Meudon, Parigi ca. 1956 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich; 2024, ProLitteris, Zurich

Salvador DaIi La tour 1936  Olio su tela Kunsthaus Zürich, 2017 © Salvador Dalí, Fundació GaIa-Salvador Dalí/ 2024, ProLitteris, Zurich

Ernst Scheidegger Uomo con palloncini probabilmente fine anni Quaranta © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger  Uomo con bambina, Valle Verzasca ca. ca 1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zurich

Ernst Scheidegger Allieva della scuola di danza di Madame Rousanne, Parigi ca.1955 © Stiftung Ernst Scheidegger-Archiv, Zürich

Sophie Tauber Arp Geometrico e ondeggiante 1941 Matita colorata e grafite su carta Museo d'arte della Svizzera italiana, Collezione Cantone Ticino

Il fotografo Max Farina ricompone un’iconica veduta di Venezia con oltre 60mila fotografie scattate in 10 anni di lavoro

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

E’ un progetto gugantesco quello che inaugurerà oggi al Fondaco dei Tedeschi di Venezia (dal 7 febbraio 2024). Il fotografo e architetto milanese Max Farina per realizzarlo ha impiegato 10 anni in cui ha ritratto più di 16mila persone ma soprattutto nei quali ha collezionato 60.557 tasselli (cioè vedute parziali della città lagunare). Perché in “The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years”, il panorama più iconico di Venezia (la vista che si gode dal ponte di Rialto) si compone come in un puzzle su un grande monitor di migliaia di scatti, colti in orari diversi, in condizioni metereologiche disomogenee oltre che in giorni ed anni differenti.

Il progetto di Rivus Altus- ha scritto Farina sul suo account Instagram- è iniziato a Venezia 10 anni fa, ha partecipato a fiere internazionali, è sbarcato prima a Beverly Hills e poi a New York, ha iniziato a girare il mondo nei luoghi più inaspettati, per tornare infine a Venezia con questa mostra al Fondaco dei Tedeschi . Un viaggio fotografico attraverso le trasformazioni della città di Venezia, ogni scatto racconta una storia: un decennio di dedizione e passione per immortalare lo scorrere del tempo nella città galleggiante”.

Per realizzare l’opera Farina ha preso spunto dal testo dello scrittore francese Georges Perec “Tentativo di esaurimento di un luogo parigino” (Parigi, 1975), in cui l’autore osserva una piazza della capitale francese da differenti punti di vista e in diversi momenti, annotando ogni variazione. Farina si è poi interrogato sull’attenzione che le persone riservano a soggetti riprodotti talmente tante volte da risultare privi di qualsiasi mistero, e, nonostante questo o proprio a causa di ciò, visitati e fotografati più degli altri. In questo mondo il fotografo riflette contemporaneamente su ciò che scegliamo di ricordare e su come la nostra esperienza, spesso, sia manipolata e manchi di autenticità. Tuttavia, le persone che compaiono in questi scatti sono sempre diverse e la loro presenza insieme al loro punto di vista sul panorama, rendono la città sempre nuova seppur immutata. Dando quindi anche uno spunto per pensare al concetto di autorialità e domandarsi cosa significhi fotografare panorami urbani

The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years” ha richiesto a Farina 500 ore di appostamento (che il fotografo ha diligentemente interpretato, riprendendo ogni volta la stessa posizione del primo scatto). Ed è anche un’indagine sullo scorrere del tempo (come si capisce dal termine “cronorama”, coniato per titolare la serie), sulla maniera impercettibile in cui si insinua nei paesaggi urbani apparentemente immutabili come quello veneziano, oppure plasticamente su quelli ugualmente noti ma in continuo divenire. Farina, infatti, da anni fotografa pure piazza Duomo a Milano ma anche Time Square e Brooklyn a New York e poi Parigi, Los Angeles insieme ad altre città.

Nato a Milano nel 1974, Max Farina, è particolarmente interessato ad esplora l’impatto visivo dello scorrere del tempo su punti di vista iconici, architettonici e paesaggistici. E’ laureato in architettura al Politecnico di Milano e dal ‘91 si dedica alla fotografia di reportage, architettura e documentazione del territorio. Parallelamente al suo lavoro di architetto e fotografo, nel 2010 ha fondato lo studio di comunicazione Farina ZeroZero.

The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years” di Max Farina al Fondaco dei Tedeschi di Venezia è stata realizzata in collaborazione con la San Polo Art Gallery (che ospita una mostra di opere del fotografo milanese) e si potrà visitare fino al 7 aprile 2024 (ad ingresso gratuito).

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Rendering dell'installazione

Max Farina, The Rivus Altus Cronorama - In 10 Years, Fondaco dei Tedeschi. Frammento dell'installazione

Max Farina al lavoro a Venezia

Degli ex- quartieri popolari di Milano si tramutano in luoghi misteriosi nella fotografia architettonica di Rory Gardiner

Rory Gardiner,QT8. All images courtesy of the artist and BIM

L’affermato fotografo australiano d’architettura, Rory Gardiner, attualmente protagonista della mostra “Walking Milan” al BiM – dove Bicocca incontra Milano, arriva al cuore degli edifici o dei quartieri che ritrae cercando di catturare la vita senza mostrarla. Tende che si agitano, file di macchine in parcheggio, imperfezioni nel materiale di rivestimento di un tetto e vegetazione, soprattutto vegetazione, che riequilibra la pesantezza dei volumi, rende crepitante la tensione delle linee di fuga disegnate dalle strade o dai lampioni. Mentre gli scorci, rischiarati da una luce uniforme e silenziosa, si mostrano misteriosi, privi di gioia ma anche di tristezza. Forse testimoni di un segreto.

Le fotografie che ha scattato in occasione di questa mostra in cui ha affrontato quartieri tutt’altro che perfetti di Milano, come Bicocca, QT8, NoLo e Bovisa, poi, danno una sfumatura sociale alla sua opera. E inducono l’osservatore a riflettere sull’armonia che si può trovare in un paesaggio urbano apparentemente caotico, talvolta sgraziato, ma soprattutto sullo spazio di reinvenzione del tessuto cittadino.

Non a caso forse. Visto che i locali che ospitano la personale di Gardiner sono parte di un progetto di rigenerazione urbana più vasta che coinvolge tutta la zona.

La fotografia dell’australiano, dal canto suo, è molto adatta al contesto: il futuro preferisce prenderlo in contropiede, studiarlo, anziché abbracciarlo incondizionatamente. Gardiner, infatti, lavora quasi esclusivamente con macchine a pellicola di medio formato. La luce giusta non la ricrea, la aspetta. Pare, anzi, che non costruisca a tavolino la realizzazione dei suoi servizi, preferendo confrontarsi dal vivo con l’ambiente in cui si svolgerà lo scatto.

Mi sembra chiaro- ha detto- che stiamo attraversando una piccola rivoluzione in cui la fotografia, per evolversi, non deve cercare di creare immagini sempre più perfette; al contrario, deve tornare indietro, abbracciare la realtà e anche la crudezza che l’intelligenza artificiale e le immagini 3D non possono riprodurre - spiega il fotografo -. Per ottenere questo risultato, bisogna trasmettere umanità, rivelando tutti quei piccoli dettagli e momenti, all’interno di un edificio, che davvero parlano il linguaggio umano”.

Lo fa, tuttavia, con discrezione, evitando le ombre drammatiche o le luci sfavillanti. Dando quasi l’impressione di cercare di fare chiarezza nel sovrapporsi degli elementi del teatro urbano.

Nato a Melburn, Rory Gardiner, famigliarizza fin dall’infanzia con spazi e volumi attraverso il padre architetto. Anche a fotografare comincia da ragazzino ma la passione non lo abbandona e si laurea in fotografia al Royal Melbourne Institute of Technology. Dopo pochi anni si trasferirà a Londra dove lavorerà come assistente di famosi fotografi di moda per poi focalizzarsi esclusivamente sulla fotografia d’architettura e di paesaggio. La sua vera carriera è cominciata nel 2011 con una campagna per il marchio Tate Modern, oggi lavora con famosi architetti internazionali.

La mostra “Walking Milan” di Rory Gardiner al BiM – dove Bicocca incontra Milano (Galleria C14), è ad ingresso gratuito e rimarrà aperta fino al 21 marzo 2024. Per vedere altri paesaggi urbani (rigorosamente vuoti di persone e animali), naturali (anche questi senza nessuno che rompa la sospensione creata dal muto dialogo tra le piante) ed edifici, ritratti da Gardiner, si può invece ricorrere al sito internet del fotografo australiano o al suo account instagram.