L’artista tedesca Candida Höfer, con lo stile descrittivo e distante che la caratterizza fin dai suoi esordi, in una recente serie di fotografie architettoniche traccia il ritratto del Messico. Ne viene fori uno spazio sociale succube alla bellezza, rituale, in cui le persone sembrano quasi sul punto di perdersi e in cui l’individuo appare ben poca cosa in confronto al grandioso ed incessante fluire di una Storia che lo trascina anziché celebrarlo.
Allieva di Bernd Becher, Candida Höfer (nata a Eberswalde, Germania, 1944) nel corso di quarant'anni di carriera ha prodotto un'opera fotografica che esplora l'impatto psicologico dell'architettura. I suoi scatti focalizzano l'attenzione sul contrasto tra i gli scopi per cui uno spazio è stato creato e gli usi attuali. Le sue immagini catturano gli interni di grandi luoghi aperti al pubblico tra cui biblioteche, teatri, chiese e musei. Non vi compaiono mai persone: "Mi sono resa conto- ha detto a questo proposito Candida Höfer- che ciò che le persone fanno all'interno di un ambiente - e ciò che gli spazi fanno per loro - è più ovvio quando nessuno è presente, proprio come un ospite assente può spesso diventare argomento di conversazione. "
Nella serie di fotografie dedicate al Messico (realizzate nell'ambito del programma di scambi culturali Messico-Germania Dual Year), che la Höfer stampa in grandi formati, si possono ammirare le stanze di luoghi iconici antichi e contemporanei come il Museo Nacional del Virreinato in Tepotzotlán, il Convento de Santo Domingo in Oaxaca, il Palacio de Bellas Artes in Mexico City e la Iglesia de Santa Maria in Tonantzintla.