Tutte le Biennali di Venezia e i ritratti degli artisti fotografati in bianco e nero da Ugo Mulas

Ugo Mulas. Joan Miró, Museo Poldi Pezzoli, Milano, 1963 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Senza mancare mai una Biennale di Venezia, il fotografo Ugo Mulas, cristallizzò e interpretò la scena artistica internazionale di un’epoca. Le Stanze della Fotografia, un nuovo spazio espositivo sull’Isola di San Giorgio Maggiore a Venezia (nato dalla collaborazione di Marsilio Arte e Fondazione Cini) gli dedica la grande mostra, "Ugo Mulas. L’operazione fotografica". Una delle più complete fino ad oggi.

Realizzata in collaborazione con l’Archivio Mulas, l’esposizione, conta 296 opere, tra le quali 30 immagini mai esposte prima  d'ora. Inoltre, sempre per la prima volta vengono presentati al pubblico tantissimi ritratti di artisti e intellettuali (alcuni inediti), tra cui:  Alexander Calder, Carla Fracci, Dacia Maraini, Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Arnaldo Pomodoro e George Segal,

ll primo incarico come fotografo di Ugo Mulas fu quello di documentare la Biennale di Venezia del ‘54. Da allora, fino alla sua prematura scomparsa nel ‘73, non mancò mai visitarla. Anzi, inventò un modo di raccontarla. In seguito disse: "Fotografavo senza nessuna intenzione di capire cosa stava accadendo, e accadeva sempre qualcosa. Allora si credeva molto a questi avvenimenti, sia io come fotografo che gli artisti stessi che il giro che sta intorno agli artisti, prendevamo sul serio la Biennale in un modo molto genuino, come una gran festa per tutti: il piacere di andare a Venezia, che non era indifferente, il piacere di incontrare gente nuova, di vedere cose nuove, di assistere a qualcosa di veramente importante. Il mio lavoro consisteva nel cercare di dare un’idea di questa festa. (…)"

Proprio lì, nel ‘64, conobbe la Pop Art e il gallerista Leo Castelli, che gli avrebbe permesso di ritrarre il fermento della scena artistica americana di quegli anni e tutti i suoi grandi protagonisti (Jasper Johns, Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg, Frank Stella, Kenneth Noland e naturalmente Andy Warhol). Caro amico dello scultore statunitense Alexander Calder, fortografò tutti gli artisti della sua epoca (da un Duchamp oramai anziano a un non più giovane Mirò, fino a Lucio Fontana, Christo e Louise Nevelson). Non sfuggirono al suo obbiettivo neppure intellettuali, poeti, scrittori, stilisti, attori e imprenditori, ma per le arti visive aveva un debole

Forse perchè fu a sua volta un artista.

"Gli occhi- ha scritto nel '73- questo magico punto di incontro fra noi e il mondo, non si trovano più a fare i conti con questo mondo, con la realtà, con la natura: vediamo sempre di più con gli occhi degli altri. Potrebbe essere anche un vantaggio ma non è così semplice. Di queste migliaia di occhi, pochi, pochissimi seguono un’operazione mentale autonoma, una propria ricerca, una propria visione."

Lui lo faceva, come dimostra la serie “Verifiche” (1968-’72), in cui Mulas si interroga sulla fotografia. Queste opere aprono la mostra, il cui titolo prende spunto proprio da una di loro. Si tratta di "L'operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander", in cui l’artista compare su un piccolo specchio con il volto coperto dalla macchina fotografica, mentre la sua ombra fa da sfondo. La composizione, solida e semplice, sorregge il filo della riflessione di Mulas, che ci dice che la fotografia non può essere asettica o imparziale, ma è anzi un gioco di sguardi, visioni e volontà, tra il soggetto, l’autore e l’osservatore.

Ancora più interessante, è il modo in cui il fotografo originario di Pozzolengo (Brescia), decise di dare forma all’immagine di Marcel Duchamp prima e di Lucio Fontana al lavoro nel suo studio, poi. D’altra parte, Mulas, ammirava Duchamp e lo considerava (insieme a Man Ray) uno spartiacque nell’arte del ‘900. E con Fontana aveva lavorato spesso. "Le fotografie di Duchamp – spiegò Mulas – vorrebbero essere qualcosa di più di una serie di ritratti più o meno riusciti, sono anzi il tentativo di rendere visivamente l'atteggiamento mentale di Duchamp rispetto alla propria opera, atteggiamento che si concretizzò in anni di silenzio, in un rifiuto del fare che è un modo nuovo di fare, di continuare un discorso".

Con Fontana fa più o meno la stessa cosa. Fotografa i rituali dell’artista che preludevano all’opera ma simula la realizzazione del lavoro vero e proprio. Fontana, infatti, gli aveva detto: "Se mi riprendi mentre faccio un quadro di buchi dopo un po’ non avverto più la tua presenza e il mio lavoro procede tranquillo, ma non potrei fare uno di questi grandi tagli mentre qualcuno si muove intorno a me. Sento che se faccio un taglio, così, tanto per far la foto, sicuramente non viene... magari, potrebbe anche riuscire, ma non mi va di fare questa cosa alla presenza di un fotografo, o di chiunque altro. Ho bisogno di molta concentrazione. Cioè̀ non è che entro in studio, mi levo la giacca, e trac! faccio tre o quattro tagli. No, a volte la tela la lascio lì appesa per delle settimane prima di essere sicuro di cosa ne farò, e solo quando mi sento sicuro, parto, ed è raro che sciupi una tela; devo proprio sentirmi in forma per fare queste cose".

Queste parole anzichè diminuire l’interesse di Mulas, gli avevano suggerito una via diversa. “Di Lucio Fontana ero amico- dirà Mulas anni dopo - come lo eravamo tutti qui a Milano, uno dei tanti suoi amici. Tranne alcuni servizi per le Biennali, ho lavorato per lui sempre senza che me lo chiedesse (...) Di tutte le fotografie, soltanto una serie – praticamente fatta nel giro di mezz’ora – ha un senso preciso. Fino a quel momento l’avevo fotografato e basta, ora volevo finalmente riuscire a capire che cosa facesse. Forse fu la presenza di un quadro bianco, grande con un solo taglio, appena finito. Quel quadro mi fece capire l’operazione mentale di Fontana (che si risolveva praticamente in un attimo, nel gesto di tagliare la tela) era assai più complessa e il gesto conclusivo non la rivelava che in parte (...)"

Fondamentali saranno anche le fotografie che scatterà agli artisti pop a New York, e pubblicherà in un libro nel ‘63. "Avevo già fotografato degli artisti- ha detto in proposito- per esempio Severini, per esempio Carrà, ma mi era sembrato di fotografare dei superstiti. Se mai, avrei voluto fotografarli nel 1910, nel 1912: allora avrebbe avuto un senso, mentre adesso non facevo che registrare la loro sopravvivenza fisica come personaggi".

D’altra parte di ritratti, più o meno capaci di trasmettere il senso dell’opera e del lavoro di ognuno, Mulas ne fece tantissimi. Ma fotografò anche paesaggi, a cominciare da quelli della Milano post-bellica dei primissimi anni ‘50, fino a Venezia, alla Russia, a Parigi, alla Germania, a Copenaghen, alla Sicilia, alla Calabria e a Vienna.

"Ugo Mulas. L’operazione fotografica"  curata dal direttore artistico de Le Stanze della Fotografia, Denis Curti, e dal direttore dell'Archivio Mulas, Alberto Salvadori, sarà a Venzia fino al 6 agosto 2023. E' stata allestita a 50 anni  dalla scomparsa di Ugo Mulas.

Ugo Mulas. Marcel Duchamp, New York, 1965 - 1967 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas. Le opere degli artisti pop trasportate in laguna, XXXII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1964 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas. Alberto Giacometti riceve l'annuncio di aver vinto il gran premio, Venezia, Biennale 1962 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Ugo Mulas. La didascalia. A Man Ray, 1970 - 1972 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. New York, 1965 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Eugenio Montale, 1970 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Venezia, 1961 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. New York, 1964 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Russia, 1960 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Milano, 1953 - 1954 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. Tessuti Taroni, 1970 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Mostra Ugo Mulas, Le Stanze della Fotografia Allestimento © Luca Zanon

Ugo Mulas. L'operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander, 1971 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Gianni Berengo Gardin. Ugo Mulas, Campo Urbano, Como 1969 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

Allestimento Ugo Mulas. L'operazione fotografica © Alessandra Chemollo_1

 Le Stanze della Fotografia © Luca Zanon

Una donna si è schiantata con la sua Rolls Royce contro una scultura di Damien Hirst da 3 milioni di dollari

“Sphinx” di Damien Hirst (2017) da Treasures from the Wreckage of the Unbelievable (foto di Jon Mountjoy via Flickr)

Ha qualcosa di cinematografico quello che è successo il 31 marzo a Palm Beach, in Florida. Per la precisione a Canterbury Lane, una zona residenziale prestigiosa affacciata sull’oceano. Erano circa le 18 quando una donna (identificata in seguito dai poliziotti intervenuti come, Elizabeth Raese, di 66 anni) ha perso il controllo della sua Rolls Royce e si è lanciata spedita all’interno della proprietà del magnate degli hedge funds, Steven Tananbaum e di sua moglie Lisa.

La signora ha attraversato l’intero giardino della tenuta, comprata dai Tananbaum nel 2011 per 26,4 milioni di dollari, ha sfrecciato sul vialetto, sfondato il recinto decorativo, per poi lanciarsi su una diga alta un mettro e mezzo. Alla fine, l’automobile, è caduta sulla spiaggia privata che sta proprio sotto la diga, concludendo la sua corsa.

Ma visto che la realtà supera sempre l’arte (ed in alcuni casi, va detto, riesce persino ad atterrarla), mentre percorreva il giardino dei Tananbaum, l’automobile della donna, si è anche schiantata contro, “Sphinx”(“Sfinge”), una scultura di Damien Hirst costellata di pezzi di corallo vero di un valore stimato intorno ai 3milioni di dollari.

L’opera è caduta dal suo piedistallo in mezzo al manto erboso e di certo non è rimasta illesa. Anzi. Anche se per valutare il danno complessivo sarà necessaria una perizia (poi ci sono gli altri guasti, che sono già più chiari e dovrebbero superare i 10mila dollari, secondo quanto riportato dai giornali).

La cosa curiosa è che i danni alla Rolls Royce della donna, invece, sarebbero di soli 2mila dollari

Il motivo dell’accaduto resta avvolto nel mistero, visto che la Signora Raese, perfettamente sobria al momento dell’incidente, ha dichiarato di non ricordare niente.

Sphinx”, del famoso artista inglese Damien Hirst, è un opera del 2017, che faceva parte del progetto “Treasures from the wreck of the unbelivable”, presentato a Palazzo Grassi, in anteprima in occasione della Biennale di Venezia di quell’anno (era il principale evento collaterale alla kermesse lagunare). Qulcuno ne parlò bene, altri male, di certo fu un evento importante, perchè Hirst non mostrava da 10 anni. Inoltre le sculture del progetto erano quasi tutte preziose. Infatti. l’artista voleva che le opere sembrassero antichi manufatti, ritrovati in fondo all’oceano dopo centinaia d’anni dalla loro creazione. Erano quindi ricoperti di coralli, cirripedi, conchiglie e quant’altro simulasse un ecosistema sottomarino. L’enorme scultura "Demon with Bow" (che a Palazzo Grassi occupava il Cortile) adesso è di proprietà di un casinò di Las Vegas e “Sphinx”, appunto, ha trovato casa dai Tananbaum.

Steven Tananbaum, oltre a essere fondatore della società di gestione patrimoniale statunitense, GoldenTree Asset Management, ricopre un ruolo apicale nella stessa. E’ anche nel consiglio di amministrazione del Museum of Modern Art di New York (il famoso Moma). Lui e la moglie Lisa sono collezionisti e, almeno secondo il sito della rivista Artnet che ha pubblicato per primo la notizia dell’accaduto, sarebbero anche piuttosto protettivi nei confronti della loro collezione. Fino a diventare “litigiosi”. D’altra parte, pare che quest’ultima conti opere di Brice Marden, Ellsworth Kelly, Frank Stella, Willem de Kooning, Jenny Saville, Takashi Murakami, Andreas Gursky e Gerhard Richter. Con Koons, invece, dopo che ha tardato a consegnargli un’opera (come capita spesso, visto che l’artista è un noto perfezionista) ci sarebbe ancora maretta (i Tananbaum avevano fatto causa a lui e alla galleria Gagosian ma la cosa si è risolta con un accordo tra le parti). (via Observer, Artnet, Palmbeachdailynews)

Damien Hirst, Sphinx, photo by prudence cuming associates

A Lipsia è in mostra l'arte digitale (dal 1859 ad oggi)

Kat MUSTATEA, Voidopolis, 2021 5 Bücher // 5 books 29 x 22 cm Courtesy and © Kat Mustatea

La settimana prossima a Lipsia (in Germania) inaugurerà, “Dimensions”, una grande mostra collettiva dedicata all’arte digitale. Ci sarannno installazioni immersive, realtà aumentata, Nft e creazioni digitali varie, ma soprattutto, l’esposizione permetterà al visitatore, di risalire alle radici di queste opere avveniristiche. A partire dal 1859.

Dimensions”, curata dal francese, Richard Castelli (affiancato dal cino-tedesco, Dan Xu, e dall’austriaco-americana, Clara Blume), si sviluppa su ben 10mila metri quadri di spazio espositivo. L’edificio (si chiama Pittlerwerke, ed è stato una fabbrica di macchine), farà da cornice a 60 opere (spesso grandi) realizzate dal 1859 fino ad oggi.

"La motivazione principale di questa mostra- ha detto Castelli- non è solo quella di esporre le ultime tendenze dell'arte elettronica, ma anche di dare uno sguardo alle loro radici e al loro sviluppo",

Infatti, fra i numerosi artisti che, con la loro opera, comporranno questo evento, c’è il fotografo e scultore francese, François Willème. Nato nel 1830, proprio intorno al 1859 intuì i contemporanei concetti di scansione e stampa 3D. Lo fece scattando simultaneamente varie immagini allo stesso soggetto, riprese da più prospettive, attraverso 24 macchine fotograafiche. Ai tempi, Willème, pesò di aver inventanto soltanto una nuova tecnica per catturare la realtà (l’avrebbe chiamata fotoscultura).

Insieme al lavoro di Willème ce ne saranno molti altri, firmati da artisti provenienti da diverse aree geografiche e attivi in altrettanti periodi.

Per essere precisi, sono stati invitati a partecipare;Peggy Ahwesh (USA), Refik Anadol (Turchia/USA), LaTurbo Avedon, Golnaz Behrouznia & Dominique Peysson (Iran/Francia), Danielle Brathwaite-Shirlei (UK), Jean Michel Bruyère with Matthew Mcginity (Australia), Delphine Varas (Francia ) & Thierry Arredondo (Francia), Emmanuel Carlier (Frrancia), Choe U-Ram (Corea del Sud), Henri-Georges Clouzot con Martina Mrongovius (Francia/Australie), Matt Deslauriers (Canada), Dumb Type (Giappone), Ivana Franke (Croazia/ Germania), Joan Giner (Francia), Granular Synthesis (Austria), Claudia Hart (USA), Kurt Hentschlager (Austria/USA), Hosoo + Shoya Dozono & Ken Furudate (Giappone), HU Jieming (Cina), Ryÿji Ikeda (Giappone), Sarah Kenderdine & Jeffrey Shaw (Nuova Zeanda/Australia), Ryoichi Kurokawa (Giappone), Lfks (Francia), Ulf Langheinrich (Germania/Austria/ Ghana), Alberto Manguel / Robert Lepage / Exmachina (Canada/Argentina ), Lu Yang (Cina), Julien Maire (Francia), Miao Ying (Cina/USA), Kat Mustatea (USA), Nam June Paik (Corea del Sud/USA), Christian Partos (Svezia), Projet Eva (Canada), Ceb Reas (USA), Mika Tajima (USA), Shiro Takatani (Ggiappone), René Viénet (Francia), Susanne Wagner (Germania), François Willème (Francia), Wu Ziyang (Cina/USA).

A questi artisti e collettivi, si aggiungono quelli che parteciperanno a mostre virtuali.

L’esposizione è suddivisa in capitoli: media e video arte, arte immersiva, arte robotica, arte algoritmico- generativa, realtà virtuale e aumentata.

"La mostra- ha spiegato, Castelli- presenta l'arte elettronica e digitale in un contesto più ampio del solito. Ad esempio, il capitolo ‘Immersion’ non si limita alla realtà virtuale, ma abbraccia anche ambienti fisico-immersivi, sia attraverso proiezioni 3D o stimolazione diretta del cervello dello spettatore." 

Tra gli artisti contemporanei in mostra, una parola in più la meritano, per esempio: Refik Anadol (di cui ho parlato spesso), l’ormai storico e famosissimo, Nam June Paik, i Dumb Type (che hanno rappresentato il Giappone proprio alla Biennale di Venezia dello scorso anno). Poi il co-fondatore dei Dumb Type, Shiro Takatani, qui presente anche da solo, o meglio in coppia con Christian Partos (i due hanno creato sculture ed animazioni d’acqua, "in cui la gravità delle gocce d'acqua viene rallentata, sospesa o addirittura invertita"). Senza dimenticare le sculture luminose e mobili di Choe U-Ram, le due monumentali opere audio-video 3D e stereoscopiche di Ulf Langheinrich. E l’installazione site-specific di Ivana Franke, che, attingendo alle neuroscienze e all’architettura , sfiderà la percezione dello spettatore.

In breve: se tra il 19 aprile e il 9 luglio 2023, vi troverete in Sassonia, non perdetevi “Dimensions” (al Pittlerwerke di Lipsia), una grande mostra per capire il passato, ammirare il presente e immaginare il futuro dell’arte digitale.

François WILLÈME, Selbstbildnis (selfportrait), um 1860- 1865 Fotoskulptur, Gips // photosculpture, gypsum ca. 36 x 14,5 x 14,5 cm © ALBERTINA, Wien, Dauerleihgabe der Höheren Graphischen Bundes-Lehr- und Versuchsanstalt Foto: Bruno Klomfar, Vienna // Photo: Bruno Klomfar, Vienna

LU Yang Doku – Digital Alaya, 2022 Courtesy of the artist & Jane Lombard Gallery © Yang Lu Foto: Arturo Sanchez // Photo: Arturo Sanchez

Shiro TAKATANI, ST\LL for the 3D Water Matrix, 2014 © Shiro Takatani Foto: Patrik Alac // Photo: Patrik Alac

Kurt HENTSCHLÄGER, ZEE, 2008 Audio-visuelle Umgebung: künstlicher Nebel, Stroboskope, Pulslicht, Surround-Sound // Audio-visual environment: artificial fog, stroboscopes, pulse lights, surround sound Courtesy and © Kurt Hentschläger 2008–2023

Emmanuel CARLIER, The man with red hair, 1993  50 Synchronisierte Kameras // 50 synchronized cameras 40 Sekunden // 40 seconds © Emmanuel Carlier

WU Ziyang, Where Did Macy Go?, 2020 Digitales Farbvideo mit Sound // Color digital video with sound 8 Min., 53 Sek. © Ziyang Wu Foto: Digital Art Festival Taipei // Photo: Digital Art Festival Taipei

Ivana FRANKE, Center, 2004 Installationsansicht: Lauba, Zagreb // Installation view: Lauba, Zagreb 320 x 320 x 320 cm Konstruktion aus rostfreiem Stahl, Stahldraht, Monofilament, zwölf Spotlights // Stainless steel construction, steel wire, monofilament, twelve spotlights Courtesy LAUBA © Ivana Franke/VG Bild-Kunst, Bonn 2023