Fino a domani un gruppo di artisti stellari illuminerà la “Milky way” di Galleria Continua

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

The Milky Way
colettiva Galleria Continua (lettura automatica)

Si concluderà domani in un luccichio di star la settima edizione di “The Milky Way”. L’iniziativa a scopo benefico, che di volta in volta raccoglie fondi per un progetto diverso (sempre a favore però della stessa associazione), ha la caratteristica di coinvolgere artisti famosi e gallerie internazionali. Quest’anno era la volta di Galleria Continua e della sua stellare scuderia di artisti.

La manifestazione è stata così descritta dall’organizzatrice, Damiana Leoni: “The Milky Way è un progetto che ho ideato nel 2014 a favore delle attività di Pianoterra ETS. Ogni anno raccoglie fondi per un particolare progetto, coinvolgendo importanti artisti e gallerie. Il format è quello di una mostra in galleria: c’è un concept curatoriale, una curatrice, professionisti che ci lavorano e il ricavato delle vendite, che avvengono come in una normale transazione di galleria”.

In poche parole si tratta di una normalissima mostra in una galleria di fama che permette al collezionista di offrire un sostegno ai progetti dell’associazione Pianoterra mentre acquista un’opera.

Quest’anno “The Milky way” si è tenuta nella sede di San Gimignano (sulle colline senesi) di Galleria Continua. Il tema al centro dell’esposizione era lo spaesamento. Le opere, scelte direttamente dai quarantadue autori che hanno deciso di donare il loro lavoro, dovevano rappresentare questo concetto cardine. E a dare peso all’iniziativa sono proprio i nomi degli artisti coinvolti, che vanno da Ai Weiwei a Massimo Bartolini (che appena la scorsa estate ha rappresentato l’Italia alla Biennale di Venezia). E poi: Pascale Birchler, Barbana Bojadzi, Carlota Bulgari, LETIA-Letizia Cariello, Loris Cecchini, Costanza Chia, Alba Clemente, Michelangelo Consani, Ala D’Amico, Bianca D’Ascanio, Jonathas De Andrade, Matt Dillon, Luca Federico Ferrero, Carlos Garaicoa, Shilpa Gupta, Camille Henrot, Priya Kishore, Andrea Mauti, Sabrina Mezzaqui, Seboo Migone, Rudi Ninov, Hans Op De Beeck, Ornaghi & Prestinari, Giovanni Ozzola, Valentina Palazzari, G. T. Pellizzi, Tobias Rehberger, Arcangelo Sassolino, Manuela Sedmach, Serse, Bernardo Siciliano, Nina Silverberg, Marta Spagnoli, Tommaso Spazzini Villa, Pascale Marthine Tayou, Eugenio Tibaldi, Giorgio Van Meerwijk, Alejandra Varela Perera.

Tutti artisti noti. Alcuni davvero famosi.

Gli artisti - ha continuato Damiana Leoni- sono chiamati in causa e quindi tutto questo avviene grazie a loro che generosamente partecipano insieme alle gallerie, quest’anno a sostenerci c’è Galleria Continua a San Gimignano. Ik tema è nato perché Pianoterra ha messo le basi di uno spazio fisico nel Quartieri Spagnoli di Napoli che è anche un centro di accoglienza. Dove sono? dunque nasce spontaneo: ci dice quanto è importante avere una protezione, quanto ci si sente spaesati certe volte. Dove sono? mette insieme questa sensazione dell’animo umano che ho chiesto agli artisti di interpretare. È nata una mostra con lavori molto diversi tra loro, uniti da questo filo rosso, con un percorso ben definito”.

A rendere interessante “The Milky way” anche la qualità delle opere: relativamente piccole ma non secondarie. Del resto, il fatto che gli artisti stessi abbiano scelto il lavoro più adatto a dare l’interpretazione del tema portante è una garanzia anche per il semplice visitatore dell’evento che si trova catapultato in un universo di visioni caleidoscopico.

L’associazione Pianoterra, cui andranno i proventi della mostra, è un’organizzazione no profit che lavora al fianco delle famiglie più vulnerabili a Roma, Napoli e Castel Volturno. Si concentra soprattutto sulla coppia madre-bambino e dal 2008 a oggi ha sostenuto e accompagnato più di cinquemila genitori e altrettanti bambini, lavorando soprattutto con i piccolissimi (dalla gravidanza ai sei anni).

Attraverso la settima edizione di “The Milky Way” Pianoterra creerà due aree gioco nello spazio di comunità che inaugurerà a Napoli nel 2025.

Prima di fare tappa a San Gimignano “The Milky Way” si è svolta a Napoli, da Lia Rumma; a Roma, alla galleria Studio SALES; a Milano da Giò Marconi; poi ancora a Napoli da Lia Rumma; a Torino, alla Galleria Franco Noero; e a Roma, da Alessandra Bonomo.

The Milky Way” si concluderà domani ma negli spazi di San Gimignano di Galleria Continua proseguiranno le mostre: “Fantasmata” della giovane veneta, Marta Spagnoli; “Raccogliere le parole” dell’affermata emiliana, Sabrina Mezzaqui: e “False Autumn” del famoso argentino, Jorge Macchi.

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Ai Weiwei, Still Life (After Giorgio Morandi), 2024, mattoncini giocattolo (LEGO), 38 x 38 cm toy bricks (LEGO), 38 x 38 cm, Courtesy: AI WEIWEI STUDIO and GALLERIA CONTINUA Photo by: Ela Bialkowska, OKNO Studio

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Carlota Bulgari, Calling Mum, 2021, C-print , vetro, cornice in legno-documentazione, fotografica in sequenza di una live-performance della durata di 60’ 89.6 x 145.4 cm, Courtesy l’artista

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Seboo Migone, Casa, 2011, Carboncino su carta, 67 x 102 cm, Courtesy l’artista, foto Vincenzo Germino 

THE MILKY WAY 07, exhibition views Galleria Continua San Gimignano, A group fundraising exhibition created by Damiana Leoni for Associazione Pianoterra, Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photographer: Ela Bialkowska, OKNO Studio

Pascale Marthine Tayou, Kids Mascarade, 2009, stampa fotografica montata su Dibond 100 x 75 cm (107 x 82 con cornice), C-print mounted on Dibond, 100 x 75 cm (107 x 82 con framed), Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA, Photo by: Pascale Marthine Tayou Copyright Line: © ADAGP, Paris

Tracey Emin, l’artista che non vuole essere ricordata solo come una celebrità degli YBA, torna in Italia con una mostra da star

La personale di Tracey Emin a Palazzo Strozzi
La mostra "Sex and Solitude" sarà una prima nazionale

Quando nel 2020, in piena pandemia, all’artista inglese Tracey Emin venne diagnosticato un tumore alla vescica, lei pensò che non voleva morire come una “mediocre Young British Artist (YBA) degli anni ‘90” e si mise a dipingere. Nel suo passato aveva fatto installazioni, ricamato, applicato tessuti, fotografato, scritto, usato neon e oggetti trovati (spesso emotivamente carichi e inconsueti, come il pacchetto di sigarette che stringeva in mano suo zio quando morì in un incidente d’auto), girato video, scolpito e si, anche dipinto, ma mai con questa continuità e soprattutto con un tale senso di bisogno.

Adesso, dopo un intervento chirurgico radicale (recentemente ha dichiarato: “Mi hanno rimosso l'uretra, un'isterectomia completa, i linfonodi, parte dell'intestino, della vescica, del tratto urinario e metà della vagina”), l’impianto di uno stoma nell’addome e cicli di cure periodici per tenere sotto controllo la malattia, il tumore è in remissione e la signora Emin è diventata una pittrice straordinaria.

Dipinge quasi sempre nudi femminili con un mix del tutto personale e istintivo di pennellate sicure, dirette, quasi brutali, colature e tratti disancorati e veloci che si agitano un solo istante per poi sembrare levitare e che richiamano più la calligrafia orientale dell’Espressionismo europeo di Schiele e Munch a cui lei fa sovente riferimento (Munch in particolare è da sempre un suo idolo). La tavolozza a volte è delicata ma con note stridenti. Poi c’è il rosso; e spesso un’esplosione di tratti volti a cancellare l’immagine, a rendere caotica e drammatica la composizione. Parlano di intimità, quiete, identità, dolore e sesso. Del resto sono sempre i dipinti di Tracey Emin.

E dal prossimo marzo saranno in Italia insieme a molte altre opere (60 in totale) per rappresentare il percorso dell’artista dagli anni ’90 fino ad oggi. La mostra, che si intitolerà “Tracey Emin. Sex and Solitude” e si terrà a Palazzo Strozzi di Firenze, sarà: “un intenso viaggio sui temi del corpo e del desiderio, dell’amore e del sacrificio”.

Sarà anche una prima nazionale perché è la più grande esposizione mai progettata in Italia dedicata alla signora Emin e presenterà lavori (in diversi media) realizzati in esclusiva per l’evento oltre ad altri mai esibiti nel nostro Paese.

Anche se a decretare la definitiva affermazione di Tracey Emin fu “My Bed”, che mostrò al Turner Price (famoso e prestigiosissimo premio britannico) nel ’99 e venne poi comprata dal noto uomo d’affari e collezionista Charles Saatchi per 250mila sterline (in seguito l’opera sarebbe stata battuta in asta per oltre 2milioni e mezzo di dollari), la prima avvisaglia del successo in arrivo glielo aveva già regalato “Everyone I Have Ever Slept With 1963–1995” (una tenda con applicazioni di tessuto ricamate, in cui comparivano i nomi di tutte le persone con cui aveva dormito fino ad allora: partner sessuali, ma anche familiari come il fratello gemello, e i due bambini che aveva abortito). Un’opera all’apparenza provocatoria ma in realtà sincera, delicata e struggente, che venne spesso travisata e che avrebbe ben esemplificato il futuro rapporto tra l’opera della signora Emin e la sua rappresentazione pubblica. Di più: il futuro rapporto tra la signora Emin in carne e ossa e la sua rappresentazione pubblica. Del resto, che sia per natura, per una concatenazione di eventi, o per calcolo, lei ha sempre fatto il possibile per suscitare clamore.

E’ cominciato tutto nel ’97 quando venne invitata insieme ad altri a partecipare al programma ”Is painting dead?” della rete televisiva Channel 4, in cui si sarebbe dovuto parlare del Turner Price. La trasmissione era in diretta e vi comparve una giovane e sconosciuta Emin completamente ubriaca che si mangiava le parole, barcollava e inveiva: diventò famosa in un baleno. Recentemente avrebbe così commentato l’episodio: “Io ho detto: 'Ho bevuto, non posso farlo', e qualcuno ribatte: 'Dalle una tazza di caffè, starà bene', e poi, mentre sono ubriaca, mi fa firmare una liberatoria. Oggi ai produttori non sarebbe mai permesso di farlo (…) essere lanciata così all'improvviso nel mondo come 'uno dei momenti più ubriachi della televisione nel XX secolo' non era proprio ciò per cui avrei voluto essere conosciuta.” Mettici qualche fidanzamento burrascoso, qualche caduta dal taxi per i troppi drink di una festa. Aggiungi un linguaggio diretto, i soldi (tanti e arrivati in fretta), oltre a una certa misoginia pre-MeToo, E i tabloid britannici andarono in sollucchero: Emin la YBA tutta feste e sbronze.

La verità però è molto più complicata.

Nata nel ’63 da una madre inglese e un padre turco-cipriota (ha raccontato in un’autobiografia che alcune persone quando la madre era incinta le sputavano addosso chiamandola “amante dei neri”), sarebbe cresciuta nella città costiera di Margate (Kent) in un contesto di estrema povertà ed esclusione sociale. Da bambina fu vittima di abusi e di una violenza sessuale non denunciata (aveva soltanto 13 anni). Tutto quello che è venuto dopo non può prescindere da questi stralci tragici della sua biografia. Nemmeno l’arte. “My Bed”(un letto sfatto con lenzuola macchiate, biancheria intima sporca di sangue mestruale e poi posa cenere pieni di mozziconi di sigarette, preservativi usati e bottiglie di vodka vuote), ad esempio, non era una trovata per attirare l’attenzione (com’è stata liquidata da qualcuno) ma la storia di una donna sull’orlo del suicidio.

Lo capì Saatchi che incluse “My Bed” nella mostra “Sensation” che sarebbe stata una delle piu’ importanti tappe di affermazione internazionale degli YBA di cui la signora Emin insieme a Damien Hirst, Sarah Lucas, Gary Hume e altri faceva parte.

Ma adesso quei tempi sono lontani, dipingere non è più un peccato mortale (lo fa persino Hirst, si dice con incerti risultati). La signora Emin invece ha smesso di bere, fumare e andare alle feste, nel frattempo ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia (nel 2007, è stata la seconda donna a farlo dopo Rachel Whiteread nel 1997), tra i suoi appassionati collezionisti sono comparsi nomi famosissimi come quelli di Naomi Campbel, Elton John e Madonna. Senza contare che è diventata Accademico Reale (è insegnante di disegno al Royal College of Arts: una delle prime donne nella storia pluricentenaria dell’istituzione); prima di entrare ufficialmente nella RCA aveva partecipato a varie Summer Exhibition di quest’ultima e nell’edizione del 2004 era stata scelta dal collega David Hockney.

La mostra di Tracey Emin “Sex and Solitude”, a cura di Arturo Galansino, sarà a Palazzo Strozzi di Firenze dal 16 marzo 2025

L’astrattismo drammaticamente contemporaneo di Julie Mehretu. A Palazzo Grassi ancora fino all’Epifania

Julie Mehretu, Among the Multitude XIII, 2021-2022, Private Collection Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Julie Mehretu

Julie Mehretu è una pittrice astratta. Un’espressionista astratta. Si tratta di un’astrazione politicamente consapevole anche se emotivamente carica, densa di riferimenti ad artisti suoi contemporanei ed alla Storia dell’arte (che, tuttavia, si disintegrano nelle trame stratificate e complesse delle sue opere), ma sempre astrazione resta. Un linguaggio, quello disancorato dalla rappresentazione del reale, che, quando la signora Mehretu era agli esordi della sua carriera (tra gli anni’90 e i primi 2000), veniva considerato morto e sepolto, oltre ad essere liquidato con male parole (decorativo e noioso sono i termini più gentili usati dagli intellettuali dell’epoca). “E poi arriva un artista- ha scritto Jonathan Jones recensendo la signora Mehretu- che capovolge ogni cliché critico e dimostra che gli esperti non sanno nulla di dove sta andando l'arte”. Parole quelle del giornalista britannico testimoniate dai premi (tra i vari riconoscimenti nel 2015 ha ricevuto la medaglia delle arti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti), dalle mostre e dalle quotazioni da lei raggiunte in asta (lo scorso anno ha venduto un dipinto per oltre 10 milioni e mezzo di dollari: un record per tutti gli artisti nati in Africa).

Dalla primavera scorsa Julie Mehretu è protagonista della retrospettiva “Ensemble” a Palazzo Grassi di Venezia. Si tratta della più grande mostra mai dedicata all’artista in Europa ed è composta da una selezione di oltre cinquanta dipinti e stampe realizzate da Julie Mehretu negli ultimi venticinque anni insieme a opere più recenti, prodotte tra il 2021 e il 2023. Curata da Caroline Bourgeois (conservatrice capo della collezione dell’imprenditore francese François Pinault, cui fanno capo sia il prestigioso museo che si affaccia sul Canal Grande che quello di Punta della Dogana), l’esposizione si estende sui due piani dell’edificio settecentesco e riunisce 17 opere della Pinault Collection oltre a prestiti provenienti dalla collezione dell'artista, da musei internazionali e da collezioni private.

Julie Mehretu, TRANSpaintings (hand), 2023, Courtesy of the artist and White Cube. Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Ensemble” si chiama così, perché la signora Mehretu ha voluto che alla mostra partecipassero anche un gruppo di artisti con cui per un motivo o per l’altro ha condiviso molto (conversazioni, lavoro, vita in generale) da molto tempo. Così, i suoi dipinti, che costituiscono il filo conduttore della retrospettiva, si intrecciano di volta in volta con sculture, musica, film e altro. Gli autori sono, chi più chi meno, famosi, ed hanno quasi tutti in comune il fatto di essere nati al di fuori del paese in cui abitano. “Ma ero più interessata- ha detto l’artista- a qualcosa che è sempre stato il problema con gli artisti: non si può mai veramente assistere a una mostra di Duchamp senza vedere una fotografia di Man Ray, perché il loro lavoro è stato realizzato dialogando l’un con l’altro”.

Si va dall’ottantenne afroamericano David Hammons, alla cara amica di Mehretu, Tacita Dean, al suo ex collaboratore nella residenza per artisti Denniston Hill (nei Monti Catskill di New York), Jason Moran (pianista e compositore), alla sua ex compagna, l’astrattista australiana Jessica Rankin (con cui Mehretu ha due figli).

La maggior parte di noi in questo Ensemble- ha detto- appartiene alla generazione cresciuta durante il primo momento postcoloniale, e abbiamo affrontato le molte violenze che ne sono derivate: Nairy [Baghramian] viene dall’Iran, io dall’Etiopia, Huma [Bhabha] dal Pakistan. Sono luoghi in cui la rivoluzione e le promesse sono state completamente sfruttate e trasformate in dittature militari o religiose repressive”.

(Foreground - Left to right) Nairy Baghramian, S’accrochant (crépuscule), 2022; Se levant (mauve), 2022; S’accrochant (ventre de biche), 2022, Courtesy of the artist and kurimanzutto, Mexico City, New York; (Background- Left to right) Julie Mehretu, They departed for their own country another day, 2023, Courtesy YAGEO Foundation Collection, Taiwan; Nairy Baghramian, S’asseyant, 2022, Courtesy of the artist and kurimanzutto, Mexico City, New York; Julie Mehretu, Ghosthymn (after the Raft), 2019-2021, Private Collection. Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

François Pinault, che è presidente di Palazzo Grassi (oltre ad essere, tra l’altro, proprietario della casa d’aste Christie’s) ha commentato, durante la presentazione della retrospettiva: “Ciò che mi affascina nella sua opera, da quando l’ho scoperta nei primi anni duemila, è la sensibilità con cui l’artista riesce a ritrascrivere il caos di un mondo in costante rivolgimento, grazie all’incrociarsi di influenze architettoniche, politiche, sociali e culturali. In un certo senso il suo lavoro riflette la sua storia personale (…)

Nata ad Adis Abeba (Etiopia) nel 1970 da un’insegnante montessori ebreo americana e da un professore universitario di geografia etiope, Julie Mehretu si è trasferita nel Michigan (Stati Uniti) con la famiglia quando aveva solo sette anni. Si è laureata in arte al Kalamazoo College di Kalamazoo (nel Michigan); durante quel periodo ha anche trascorso un anno di studi all’università di Dakar in Senegal (la Cheikh Anta Diop University). Ha poi conseguito un master in belle arti (alla Rhode Island School of Design di Providence) in Rhode Island (è un piccolo stato nella regione del New England) e frequentato una residenza per artisti al museo di Houston (Texas).

Julie Mehretu, Invisible Line (collective), 2010-2011, Pinault Collection. Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

All’inizio della sua carriera la signora Mehretu sovrapponeva mappe, carte metereologiche, disegni tecnici di edifici e quant’altro, intervenendo poi sui tracciati, resi a tratti irriconoscibili, con segni e forme piatte. Le opere erano già grandi, solitamente sviluppate a patire dal centro della composizione attraverso un asse e permettevano di distinguere elementi figurali solo avvicinandosi. Era un lavoro semplice se vogliamo ma innovativo al tempo stesso, e conteneva in sé i germi di tutto quello che sarebbe venuto dopo.

Con il tempo ha sovrapposto disegni di luoghi distanti che la globalizzazione legava in modi inaspettati, come New York, il Cairo, Pechino o Adis Abeba, con nugoli di linee a mano libera in inchiostro sumi nero; fondendo la sua tecnica fatta di strati di vernice trasparente raschiati, immagini e calligrafia orientale. A questo punto l’ordine era rotto, il centro perduto: “(…) gli innumerevoli segni acquosi- ha scritto il critico Jason Farago in una recensione- si coagularono in sciami, che sembrano soffiare da un angolo all'altro del dipinto. I segni erano corpi in piazza Tahrir, o mercati finanziari sequestrati. Erano uccisioni di corvi; erano nuvole di gas lacrimogeni”.

Da una decina d’anni a questa parte le composizioni di Julie Mehretu si sono fatte ancora più mature, trovando una sintesi magistralmente sicura tra studiato e viscerale, sintesi e complessità. In genere parte da una fotografia o dal frame di un video di cronaca reso talmente sfumato da diventare irriconoscibile; ormai del tutto astratto eppure in potenza già disturbante. Una volta ha detto: “Lavoro con immagini che mi perseguitano, mi tormentano nel profondo”.

Julie Mehretu, Desire was our breastplate, 2022-2023, Pinault Collection. Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

D’altra parte la signora Mehretu non si limita mai ad una sola immagine. Lei sovrappone: vernici, colori, elementi gestuali, tessiture ricercate ecc. Idee. Con in testa il doppio binario degli esordi (l’opera vista da vicino o da lontano dev’essere diversa). Della sua tecnica la professoressa all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, Patricia Falguières, ha scritto nel catalogo di “Ensemble”: “Per quanto riguarda i dipinti, ogni strato di segni è rivestito da una miscela di acrilico e silicato che, asciugandosi, si solidifica come una superficie liscia e trasparente pronta per un nuovo strato di segni (. Così, una topografia dopo l’altra, un carattere dopo l’altro viene sepolto, sprofondato nella stratigrafia come i fossili nella sedimentazione geologica. Mehretu ha reinventato nella sua pratica il complicato gioco di quelli che un tempo erano detti ‘fondi’ della pittura (…)”.

La mostra “Ensemble” di Julie Mehretu (con Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Tacita Dean, David Hammons, Robin Coste Lewis, Paul Pfeiffer e Jessica Rankin) a Palazzo Grassi di Venezia, si avvia alla chiusura prevista per il 6 gennaio 2025. Ma si potrà visitare durante tutte le feste.

Julie Mehretu, Among the Multitude XIII, 2021-2022, Private Collection. Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Julie Mehretu, (from left to right), Sun Ship (J.C.), 2018, Pinault Collection, Loop (B. Lozano, Bolsonaro eve), 2019-2020, Pinault Collection. Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Julie Mehretu, Your hands are like two shovels, digging in me (sphinx), 2021-2022, Courtesy of the artist and White Cube. Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Julie Mehretu, Maahes (Mihos) torch, 2018-2019, Pinault Collection Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

(Left to right) Nairy Baghramian, S’allongeant, 2022; S’accrochant (ventre de biche), 2022, Courtesy of the artist and kurimanzutto, Mexico City, New York. Installation view, “Julie Mehretu. Ensemble”, 2024, Palazzo Grassi, Venezia. Ph. Marco Cappelletti © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Julie Mehretu in un ritratto scattatole per NYT da Josefina Santos