I clan di sculture in spazzatura di Leilah Babirye in Biennale e allo Yorkshire Sculpture Park

Leilah Babirye, Obumu Unity, Iinstallation view at Yorkshire Sculpture Park 2024. Courtesy the artist andStephen Friedman Gallery.Photo: Jonty Wilde Courtesy YSP

L’artista di origine ugandese Leilah Babirye crea sculture con ceramica, legno, oggetti trovati, come ruote di biciclette, copertoni e tutto ciò che si può scovare tra i rifiuti a Brooklyn. Babirye, infatti, costretta a fuggire dal suo paese perché lesbica dichiarata, vive a New York, dove ha cominciato a scolpire meno di sei anni fa (prima dipingeva e disegnava soltanto). Adesso il suo lavoro è focalizzato sulle opere tridimensionali, ha due studi nella Grande Mela (uno a Brooklyn, e l’altro nel Queens), è tra gli artisti chiamati da Adriano Pedrosa a partecipare a “Stranieri Ovunque- Foreigners Everyere, (la Biennale di Venezia 2024) e da marzo è in mostra nella Cappella dello Yorkshire Sculpture Park (famoso parco scultoreo e sede espositiva inglese, nei pressi della cittadina di Wakefield, a circa due ore di treno da Londra).

Rigorosa nei ritmi di lavoro e abitudinaria, Babirye, ha una pratica basata sul contatto diretto con i materiali di cui si appropria e sceglie di utilizzare. Preferendo spesso strumenti che presuppongono forza e velocità nello scolpire, come la sega elettrica o la fiamma ossidrica con cui annerisce le sue opere, dopo essersi fatta guidare dal legno stesso (ne segue le venature, si ispira alla sagoma del tronco) per definirne la forma. Sia questo aspetto che l’uso di oggetti trovati fanno del caso e dell’occasionalità elementi poco appariscenti ma vitali nella scultura dell’artista ugandese-statunitense.

Lei ha spiegato così il proprio impegno: “Il mio lavoro consiste fondamentalmente nell'utilizzare la spazzatura, nel dargli nuova vita e renderla bella. È sempre influenzato da dove sono, userò tutto ciò che c'è. Ecco perché il lavoro sembra sempre diverso, perché non sono sicura di cosa troverò. Il legno con cui lavoro qui è un legno tenero, mentre a New York di solito è il pino, che è un legno più duro. Ciò conferisce alle sculture un aspetto diverso e contribuisce alle loro diverse personalità.”

Babirye, che crea anche opere in ceramica poi rivestite di smalti colorati e luminosi, attraverso le sue sculture parla della cultura del suo paese natale, di questioni coloniali ma soprattutto della comunità queer di cui fa parte e di come i diritti dei gay in Africa vegano calpestati. Babirye, infatti, nel 2018 è stata pubblicamente accusata di preferire intrattenere rapporti intimi con persone del suo stesso sesso da un giornale ugandese, ha avuto problemi all’università dove stava frequentando un master ma soprattutto la sua famiglia l’ha ripudiata. E tutto sommato avrebbe potuto andarle anche molto peggio visto che in Uganda l’omosessualità è illegale e può essere punita con la pena di morte.

Nella sua opera gli scarti (usati sia per comporre che abbellire il lavoro) sono, infatti, un riferimento al termine ‘abasiyazi’, cioè la parte della canna da zucchero da buttare, che in lingua luganda si usa per indicare una persona gay. L’artista è stata profondamente ispirata da Henry Moore e utilizza le maschere africane, che non sono tipiche della sua patria ma di un’altra parte del continente, per citare l’amore che scultori e pittore dell’Occidente di quegli anni nutrivano per questa forma espressiva africana. I titoli (a volte in qualche misura autobiografici) portano, invece, i nomi di clan ugandesi (cioè famiglie allargate di cui fanno parte i membri di una stessa comunità) a loro volta rubati ad animali e piante locali. Naturalmente nel suo linguaggio questi elementi hanno anche ulteriori significati: le maschere diventano un mezzo per esprimere le diversità delle persone queer, mentre i titoli fanno riferimento ai clan da cui le persone gay sono state cacciate.

Nata nel 1985 a Kampala dove ha frequentato la Makerere University, Leilah Babirye, ha ottenuto asilo negli Stati Uniti nel 2018, dopo aver preso parte lì ad una residenza a Fire Island. Nella Cappella dello Yorkshire Sculpture Park presenta un clan composto da sette sculture lignee più cinque in ceramica smaltata, realizzate la scorsa estate direttamente nel parco scultoreo inglese dove l’artista ha soggiornato. Il legno utilizzato proveniva da alberi morti (tra loro anche un faggio settecentesco piantato più o meno nello stesso periodo in cui venne costruita la Cappella).

La scultura senza compromessi di Leilah- ha detto la direttrice dello Yorkshire Sculpture Park, Clare Lilley- è sempre efficace. Il fatto che queste sculture siano state create presso YSP, con Leilah che sfrutta al meglio ciò che questo posto ha da offrire, è davvero speciale. Per quasi 300 anni, la nostra Cappella è stata un luogo di comunità e contemplazione, e siamo privilegiati che Leilah ne abbia fatto una casa per il suo clan di opere d'arte avvincenti. "

La mostra di Leilah Babirye allo Yorkshire Sculpture Park si intitola “Obumu (Unity)” dove continuerà fino all’8 settembre 2024, ma l’artista ugandese-statunitense quest’anno fa anche parte di Stranieri Ovunque- Foreigners Everyere”, la Biennale di Venezia di Adriano Pedrosa, dove espone alcune sculture nel giardino alle spalle del Padiglione Italia (all’Arsenale).

Leilah Babirye, Gyagenda 2023.Itallation view at Yorkshire Sculpture Park 2024. Courtesy the artist andStephen Friedman Gallery.Photo: Jonty Wilde Courtesy YSP

Leilah Babirye, Nakambugu from the Kuchu Njovu Elephant Clan 2023. .Itallation view at Yorkshire Sculpture Park 2024. Courtesy the artist andStephen Friedman Gallery.Photo: Jonty Wilde Courtesy YSP

Leilah Babirye Gunsinze  aliwa Bitono 2023. © Leilah Babirye.Courtesy the artist Stephen Friedman Gallery-London and New York and Gordon Robichaux New York. Photo© Mark Blower

Leilah Babirye Gunsinze  aliwa Bitono 2023. © Leilah Babirye.Courtesy the artist Stephen Friedman Gallery-London and New York and Gordon Robichaux New York. Photo© Mark Blower

Leilah Babirye Gunsinze  aliwa Bitono 2023 detail. © Leilah Babirye.Courtesy the artist Stephen Friedman Gallery-London and New York and Gordon Robichaux New York. Photo© Mark Blower

Leilah Babirye Gunsinze  aliwa Bitono 2023 detail. © Leilah Babirye.Courtesy the artist Stephen Friedman Gallery-London and New York and Gordon Robichaux New York. Photo© Mark Blower

Portrait of Leilah Babirye Obumu Unity 2024. Courtesy the artist and Stephen Friedman Gallery. Photo: Jonty Wilde Courtesy Yorkshire Sculpture Park

Le sculture biomorfe di Ranjani Shettar nell’oasi tropicale del Barbican Conservatory di Londra

Ranjani Shettar, In the thick of the twilight, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery.

Per lo più ispirate alle piante, anche se astratte, le grandi sculture sospese dell’artista indiana Ranjani Shettar, mixano materiali industriali e completamente naturali che lei lavora con tenacia, seguendo antichi e desueti metodi artigianali indiani. Nel 2018, ad esempio, ha realizzato una grande opera per il Metropolitan Museum di New York, saldando e modellando la base in acciaio inossidabile del lavoro, colorando la mussola, per poi legare il tessuto all’armatura metallica con pasta di tamarindo: ha detto che questa tecnica l’ha rubata ai fabbricanti di bambole di una piccola città nel sud dell’India.

Da alcuni mesi Ranjani Shettar ha inaugurato una mostra nell’oasi tropicale in stile brutalista del Barbican Conservatory di Londra. Una superficie enorme in cui, tra percorsi labirintici e muri in cemento armato, prosperano ben mille e 500 specie di alberi e piante provenienti da tutto il mondo e che ogni anno accoglie un milione e mezzo di visitatori. L’esposizione, commissionata dal Barbican, si intitola “Cloud Songs on the Horizon” ed è il primo grande show istituzionale dedicato all’artista indiana in Europa. Particolarmente adatto per il tema delle opere, ad una visita primaverile.

Nata nel ’77 a Bangalore, Shettar tuttavia, ha già ricevuto premi e riconoscimenti importanti sia nel suo Paese che negli Stati Uniti. Le sue opere fanno tra l’altro parte delle collezioni permanenti del Met e del MoMA di New York, oltre che del Kiran Nadar Museum of Art di Delhi. La commissione per il Barbican Conservatory, infatti, è stata frutto della collaborazione con quest’ultimo.

Di Shettar, la fondatrice e presidente dell’enorme polo culturale indiano (100mila metri quadri), Kiran Nadar (moglie del miliardario Shiv Nadar, che condivide con lei una collezione faraonica di oltre 6mila opere d’arte), ha detto: “La pratica di Ranjani Shettar è stata di particolare interesse per il Kiran Nadar Museum of Art (KNMA) da quando abbiamo acquisito e installato per la prima volta il suo lavoro al museo nel 2011. Abbiamo osservato da vicino la sua evoluzione artistica che unisce una rara sensibilità ad un lavoro paziente. Il progetto avviato presso il Barbican Conservatory è ben allineato con i nostri sforzi di collaborazione volti a portare visibilità e attenzione critica all’enorme talento degli artisti indiani e dell’Asia meridionale in tutto il mondo”.

Ranjani Shettar per il giardino tropicale londinese ha creato cinque sculture sospese, che ricordano fiori di plumeria ed heliconia, ma anche boccioli, semi, foglie secche, cellule e forme di vita microscopica (ma restituite in grande scala). Tra loro anche un tronco di legno di teak di recupero, modellato fino a trasformarsi in qualcosa di strettamente connesso con la natura ma in qualche modo enigmatico. Il lavoro di Shettar trae ispirazione dal paesaggio per mettere in scena forme astratte biomorfe, che a momenti lasciano intravedere un legame con la maniera di rappresentare degli antichi maestri indiani, e a volte si tingono di una sfumatura vagamente fantascientifica o semplicemente inquietante. Sarà forse per la larga scala dei suoi interventi. In genere, però, a prevalere è una sensazione di ingenua meraviglia, che l’artista sottolinea con un’illuminazione drammatica capace di rendere l’insieme delle opere simile a un cielo stellato o allo spettacolo che si può godere nel subcontinente durante il Diwali (la festa della luce).

Cloud Songs on the Horizon” di Ranjani Shettar rimarrà al Barbican Conservatory di Londra fino a luglio 2024 (si tratta anche di un evento gratuito, perciò, i biglietti vanno prenotati con largo anticipo).

Ranjani Shettar, Cloud songs on the horizon, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery

Ranjani Shettar, Cloud songs on the horizon, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar, Talwar Gallery, New York | New Delhi © Ranjani Shettar, Talwar Gallery

Ranjani Shettar, On the Wings of Crescent Moons, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songon the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery

Ranjani Shettar, Above the crest, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery

Ranjani Shettar, Moon dancers, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery.

Ranjani Shettar, Cloud songs on the horizon, 2023 (detail) Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar, Talwar Gallery, New York | New Delhi © Ranjani Shettar, Talwar Gallery

Ranjani Shettar, In the thick of the twilight, 2023. Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songs on the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar © Max Colson, Barbican Art Gallery.

Ranjani Shettar, Cloud songs on the horizon, 2023 (detail) Installation view of Ranjani Shettar: Cloud songson the horizon, Barbican Conservatory 2023. Courtesy Barbican Centre, KNMA, Ranjani Shettar, Talwar Gallery, New York | New Delhi © Ranjani Shettar, Talwar Gallery

Gli sfavillanti e monumentali arazzi a tema marinaresco di El Anatsui ancora per poco alla Turbine Hall della Tate Modern

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Joe Humphrys)

A 81 anni l’artista ghanese El Anatsui ha trasformato la Turbine Hall della Tate Modern di Londra in un vascello, parlato della rotta degli schiavi, di passato, di futuro, oltre che di tratte commerciali e preoccupazioni ambientali del presente, attraverso un’arte ineffabile e concreta, monumentale ed apparentemente fragile, dove l’astrattismo e la scultura convivono. Africa e Occidente ritrovano un equilibrio, dialogando in modo franco, attraverso migliaia di tappi di liquore usati e cuciti insieme fino a diventare arazzi bellissimi e preziosi.

Behind the Red Moon”, commissione finanziata da Hyundai inaugurata a novembre dello scorso anno e visitabile ancora per un mese circa, infatti, è la straordinaria successione di tre enormi arazzi (“The Red Moon”, “The World”, e “The Wall”) fatti per progredire nella narrazione e fondersi, carichi di valenze simboliche ma astratti, con cui El Anatsui si è confrontato con la Turbine Hall.

Questo spazio colossale- ha scritto nella sua recensione della mostra il critico d’arte britannico Jonathan Jones su The Guardian- ha sempre avuto la capacità di essere una cattedrale moderna, ma pochi artisti incaricati di lavorare qui hanno osato trattarlo in modo così romantico ed estatico. El Anatsui lo fa. I suoi tendaggi mistici traslucidi danno finalmente a questo vuoto grigio le vetrate colorate di cui ha bisogno (…)”.

Le sculture installate a Londra sono realizzate con la tecnica che ha reso famoso l’artista e che lui aveva ideato venticinque anni fa passeggiando per Nsukka in Nigeria, dopo aver impresso i segni Adinkra (che esprimono concetti astratti e proverbi) su vassoi tradizionali, aver lavorato con legno, ceramica e incisione. Poi El Anatsui ha avuto, appunto, l’intuizione di usare i tappi d’alluminio che raccoglie nelle stazioni di riciclaggio locali, accartoccia, piega, buca e cuce utilizzando filo di rame. Nel tempo, ha incorporato etichette, sovrapposto più strati, reso più elaborata, animata e ricca la tessitura. Adesso impiega quasi 100 persone per riuscire a portarli a termine, tra il suo studio in Ghana (dov’è recentemente tornato a vivere) e quello più grande in Nigeria.

Nato nel 44 ad Anyako, era il più giovane di 32 fratelli, il padre faceva il pescatore ma finita la stagione si dedicava alla tessitura, mentre la madre sapeva tagliare e cucire abiti da donna. Lui, tuttavia, è cresciuto con lo zio e i cugini, dopo aver perso la madre quando era ancora piccolo. Ha studiato al College of Art dell’Università di Scienza e Tecnologia di Kumasi, ma si è presto trasferito in Nigeria per insegnare alla University of Nigeria. Non si è mai stabilito in Europa o negli Stati Uniti, anche se ha esposto nei musei di tutto il mondo e nel 2015 è stato premiato con il Leone d’oro alla carriera dalla Biennale di Venezia (a cui aveva già più volte partecipato).

Questo però, ha probabilmente rallentato la sua completa affermazione. In una recente intervista ha detto: “(…) Ad esempio, avevo solo tre mesi meno di 80 anni quando sono stato invitato a prendere parte alla Turbine Hall. E ci sono artisti sui 30, 40, 50 anni – europei o occidentali – che lo hanno fatto molto, molto, molto prima di me. E non è che io non stessi lavorando (…)”. Nonostante ciò, El Anatsui, è stato uno dei primi artisti africani ad imporsi sul mercato fino a sfondare il tetto del milione. Oggi anche le sue opere più piccole valgono centinaia di migliaia di euro.

Al momento della nascita dell’artista, in Ghana, si trovava solo zucchero Tate & Lyle. Questo ricordo, unito alla consapevolezza che il commercio triangolare transatlantico di schiavi e prodotti delle piantagioni (come lo zucchero, appunto) ha creato la ricchezza di Henry Tate (a cui il museo inglese deve parte della sua collezione e la sua stessa fondazione), è servito a El Anatsui come base per progettare la commissione alla Turbine Hall. Anzi, all’inizio voleva usare il grande spazio espositivo per piantare direttamente canne da zucchero (non se ne è fatto niente, perché un altro prima di lui aveva installato qualcosa di simile), poi aveva deciso di ricostruire con castello di schiavi (in Ghana ce ne sono molti, uno è vicino a casa dell’artista) ma la sede della mostra era inadatta. Alla fine, El Anatsui, ha dato vita a “Behind the Red Moon”, che conduce i visitatori, partendo da una vela gonfiata dal vento al cui interno si può notare una luna rossa (luna di sangue), fino ad una composizione eterea, apparentemente di figure danzanti, che ricorda vagamente le sculture di Calder e che, guardata da un determinato punto di vista, si tramuta in un globo (qui l’artista usa l’anamorfosi), per poi far naufragare il loro sguardo su un monumentale muro nero, alla cui base si agitano volumi simili alle onde del mare o alle montagne. Dietro quest’ultimo arazzo si scopre una struttura lieve, quasi una rete da pesca, ricoperta di luccicanti elementi multicolore.

Il tema marinaresco, scelto dall’artista per questo progetto, tra le altre cose, ben si adatta al fatto che le sue opere si possano trasportare così facilmente e al fatalismo di cui lui ha sempre dato prova (è famoso per inviare gli arazzi senza nessun tipo di indicazione su come installarli).

Behind the Red Moon” di El Anatsui rimarrà alla Turbine Hall della Tate Modern di Londra fino al prossimo 14 aprile. Dopo questa data bisognerà attendere l’8 ottobre 2024 quando sarà il turno della giovane coreana Mire Lee realizzare la prossima commissione Hyundai nel museo britannico.

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Joe Humphrys)

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Joe Humphrys)

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Joe Humphrys)

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green

El Anatsui di fronte a una delle sue sculture alla  Turbine Hall

Hyundai Commission: El Anatsui: Behind the Red Moon, Installation View, Photo © Tate (Lucy Green