Da luglio la grande pittura di Yan Pei-Ming a Palazzo Strozzi (dopo un anno da record)

Les Funérailles de Monna Lisa, 2009-2018. Ph: André Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

Con 340mila visitatori e ricadute economiche sul territorio che si stimano intorno ai 114milioni di euro, il 2022 di Palazzo Strozzi è stato un anno da record. Quasi interamente dedicato al contemporaneo. Il 2023, invece, è appena iniziato. E sarà completamente all’insegna della contemporaneità. Infatti, mentre “Reaching for the Stars” (l’esposizione che celebra il trentennale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino a Firenze con un’importante selezione di opere) si avvia alla conclusione (il 18 giugno), nella sede espositiva fiorentina ci si prepara già ad inaugurare “Pittore di storie” (dal 7 luglio) dedicata al cino-francese Yan Pei-Ming.

Una mostra che rompe il consueto copione espositivo dello spazio fiorentino, dove l’estate è più spesso dedicata all’arte del passato (l’anno scorso, ad esempio, nelle sale del Piano Nobile è stata allestita “Donatello, il Rinascimento”, che sarebbe stata poi premiata come migliore esposizione dell'anno 2022 dall'Apollo Magazine). Ma lo fa mantenendosi nel solco della grande tradizione pittorica. Di più: di quella che si nutre di un costante dialogo coi classici antichi e moderni.

Il sessantatreenne nato in Cina e naturalizzato francese, Yan Pei-Ming, infatti, non è solo un fuoriclasse di colori e pennelli ma anche un artista capace di costruire il proprio successo sulla base di una pratica costante e sempre più impegnativa del mestiere. Oltre che su un confronto quasi viscerale con la tradizione pittorica occidentale (da alcuni anni a questa parte, Pei-Ming, ha cominciato a rileggere pure quella orientale). Conosciuta in giovane età, in tempi in cui, per un artista cinese si trattava contemporaneamente di un privilegio e di una trasgressione.

Nato a Shanghai da una famiglia povera (parlando della mandre che lo aveva sempre supportato, raccontò, che lei, una volta, chiese a tutta la famiglia di mangiare in piedi per una settimana, permettendogli di usare il tavolo come scrivania, visto che in casa non avevano nient’altro),Yan Pei-Ming, cresce nel periodo della Rivoluzione Culturale maoista. Imparerà a dipingere alle lezioni di propaganda della scuola e a 14 anni creerà uno “studio di propaganda” nel tempo libero. Ma il suo sogno andrà presto in frantumi, quando la domanda per l'ammissione alla Shanghai Art & Design School gli verrà rifiutata a causa della balbuzie.

Nell’80 scappa in Francia, dove si iscriverà all’École des Beaux-Arts de Dijon e comincerà a studiare i classici occidentali. Oggi si definisce un’artista senza una precisa nazionalità, anche se dice di essere grato alla Francia per la possibilità offertagli e continua a vivere a Digione.

In effetti, Yan Pei-Ming, può ben essere riconoscente alla Francia, che gli ha dedicato una mostra negli esclusivi Musée d'Orsay, Musée Courbet e Musée du Louvre, oltre a conservare la sua opera al Centre Georges Pompidou e al Musée des beaux-arts di Digione. E ad avergli attribuito un ruolo nella così detta “diplomazia culturale francese” (ha, ad esempio, accompagnato, insieme ad altri membri dell’intellighenzia d’oltralpe, il presidente Emmanuel Macron nella visita di Stato a Shanghai del 2023).

Pur essendo molto noto soprattutto in Francia, Pei-Ming, è famoso un po’ in tutta Europa e ha ricostruito un buon rapporto anche con la sua patria d’origine. Mentre è meno conosciuto negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Con l’Italia, poi, ha una relazione particolarmente stretta, visto che già nel 2016 ha tenuto una mostra a Villa Medici (Roma) ed è rappresentato dalla galleria del milanese Massimo De Carlo.

Celebri i suoi ritratti (oltre a quelli di Mao, ne ha fatti di Barack Obama, Bruce Lee, Bashar al-Assad, Marylin Monroe e tanti altri), che realizza sulla base di immagini preesistenti (compertine di giornali ma anche fotogrammi di film). Yan Pei-Ming, tuttavia, ha rivisitato in chiave contemporanea anche altri geneneri, come il paesaggio, la natura morta, la pittura storica o religiosa. Oltre all’autoritratto per cui ha sempre avuto un debole.

Usa una tavolozza semplificata (lavora molto in bianco e nero, o usando solo sfumature di rosso) con tratto vigoroso e materico. Spesso sceglie formati enormi. Da quando, agli albori della sua carriera, visitò l’Olanda e si mise a contare ossessivamente le pennellate nei dipinti di Van Gogh, Pei Ming, dipinge anche con un numero minimo di segni, a prescindere dalle dimensioni della tela. Per questo usa pennelli larghissimi (dai 50 agli oltre 120 cm).

Ha l’abitudine di fondere il racconto personale con quello collettivo, di piegare la rappresentazione della Storia alle storie delle persone. Nella sua opera, infine, ritornano constantemente il tema della morte e quello della memoria.

Yan Pei-Ming. Pittore di storie” è  parte del progetto Palazzo Strozzi Future Art, sviluppato con la Fondazione Hillary Merkus Recordati. A cura di Arturo Galansino conterà oltre 30 opere di Yan Pei-Ming.

Chien hurlant, 2022. Ph: Clérin-Morin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

I quadri specchianti, “autoritratti del mondo”, in mostra a San Gimignano per celebrare i 90 anni di Michelangelo Pistoletto

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Emblema di certezza, presenza, identità, o al contrario di inquietudine, assenza, perdita e perfino orrore, lo specchio è una presenza quotidiana e un simbolo narrativo potente. In libri e film lo ritroviamo sempre in bilico tra verità e inganno. Non nell’arte di Michelangelo Pistoletto però, dove lo specchio, inteso non più in senso psicologico, ma principalmente filosofico e sociale, perde gran parte delle sue ambiguità, abbracciando i visitatori ma soprattutto lo spazio e il tempo. Riuscendo persino nell’impresa di contenere l’infinito

Michelangelo Pistoletto, sull’uso di supporti specchianti per una lunga serie di autoritratti e ritratti, che dall’inizio degli anni ’60 ci conduce fino ai giorni nostri, ha gettato le basi di tutta la sua poetica. Un racconto lungo sei decadi, che quest’anno si intreccia con il 90esimo compleanno dell’artista (nato nel luglio del’33 a Novara), e che gli è valso molti tributi. Tra questi una mostra nella sede di San Gimignano, sulle colline senesi, di Galleria Continua, dedicata proprio a “I Quadri Specchianti”.

La storia di questi ultimi, comincia nella seconda metà degli anni ’50, quando Michelangelo Olivero, che ancora aiutava il padre pittore (Ettore Olivero Pistoletto), nella bottega di restauro di famiglia, cerca di rivisitare il tema dell’autoritratto. Sperimenta varie tecniche. Dipinge se stesso in maniera sempre più anonima su fondo uniforme. Finchè nel ’61, dopo aver steso sulla tela un fondo nero e uno spesso strato di vernice si accorge di potervisi specchiare. Una vera epifania. Pistoletto nel corso di quell’anno si ritrarrà frontalmente, di schiena, seduto e in piedi, mentre il fondo catturerà avidamente tutta la vita dietro l’opera d’arte. Questi lavori verranno raggruppati nella serie intitolata semplicemente: “Presente”.

In questa prima fase, l’artista, oltre a rivisitare in maniera sempre più radicale il tema dell’autoritratto, si sofferma soprattutto sulla differenza che passa tra l’immagine immutabile della rappresentazione pittorica e quella in costante trasformazione della realtà. In altre parole la griglia rigorosa della prospettiva rinascimentale va in frantumi e il presente si appropria del quadro in tutta la sua imprevedibile concretezza.

Al di là del movimento dell’Arte Povera, di cui Pistoletto sarebbe diventato un esponente di spicco, l’uso di superfici riflettenti o di veri e propri specchi al posto della tela, tradisce la tensione tra i mezzi a disposizione dell’artista per catturare il presente e un cambiamento epocale dei costumi che di lì a poco avrebbe contribuito alle rivolte studentesche.

Ad ogni modo, Pistoletto non abbandonerà mai i quadri specchianti, rappresentandovi, di volta in volta, oggetti inanimati, gruppi di persone, animali. Nel corso del tempo, utilizzerà anche varie tecniche e materiali per realizzarli: acrilico, smalto plastico, oro, argento, carta velina dipinta su acciaio inox lucidato, fino alla serigrafia su acciaio inox super mirror. Metterà in successione gli specchi e li romperà anche:

La rottura dello specchio ha molte interpretazioni- ha detto intervistato da Marie-Laure Bernadac- La prima è dell'ordine della superstizione: l'idea che lo specchio rotto porti alla sfortuna è una paura sempre molto persistente, perché lo specchio è considerato dotato di potere magico. Quindi, rompendo lo specchio, rompo anche la superstizione. La seconda riguarda la realtà fisica dello specchio, rompo la sua consistenza materiale, ma allo stesso tempo moltiplico le immagini immateriali che accoglie. I frammenti sono tutti diversi, ma conservano tutti la riflessività dello specchio originale.”

Ma soprattutto la riflessione di Pistoletto sui quadri specchianti si farà serrata e sarà determinate per quello che verrà dopo (l’infinito e il terzo paradiso in cui la società civile attraverso l’arte costruisce una comunità nuova ed utopica). Perché nello specchio, secondo l’artista, coesistono presente, passato e futuro. L’esterno (all’opera d’arte) e l’interno si invertono. Non esiste più la distinzione tra opera e spettatore; ciò che quest’ultimo vede davanti a se lo vede anche dietro di se, ritrovandosi al centro di una doppia prospettiva. Il caso, l’incidente, il futile ma anche momenti tanto effimeri quanto importati, il naturale e l’artificiale, entrano tutti nell’opera spontaneamente, in modo totalmente democratico.

Infatti, dei quadri specchianti l’artista ha detto: “sono un autoritratto del mondo”.

Senza contare che, come molti hanno fatto notare, i quadri specchianti anticipano i selfies e l’arte instagrammabile, che avrebbe preso possesso dei musei nei giorni nostri.

Con tre lauree honoris causa (attribuitigli da vari atenei), un Premio Imperiale del Giappone e un Leone d’oro alla carriera della Biennale di Venezia, Michelangelo Pistoletto, è uno degli artisti italiani più rappresentativi a livello internazionale. Le sue opere sono conservate in tante importanti collezioni, in Italia e nel mondo. Tra le altre, quelle: del Musée du Louvre di Parigi, del Museo Reina Sofia di Madrid, del Centre Georges Pompidou di Parigi, della Tate Modern di Londra, del MoMa e del Guggenheim di New York.

In occasione dei suoi 90 anni (per altro portati benissimo) sia Palazzo Reale di Milano (“Michelangelo Pistoletto. La Pace Preventiva”) che il Chiostro del Bramante di Roma (“Michelangelo Pistoletto. Infinity. L’arte contemporanea senza limiti”, in corso, fino al 15 ottobre 2023) gli hanno dedicato una mostra.

Galleria Continua, che lo rappresenta, ha fatto di più e si è inventata un progetto intercontinentale “teso a mettere in luce l’arte di Pistoletto in ogni sua declinazione, dalla genesi a oggi”, che si articola tra le varie sedi della galleria in giro per il mondo. Così, se il 27 maggio la sede di San Gimignano della galleria ha inaugurato “I Quadri Specchianti”, proprio mentre quella di Cuba metteva in scena “Amar las diferencias”, e pochi giorni dopo apriva a Les Moulins (Francia) “60 ans d’identités et d’altérités”, devono ancora cominciare: “Color and Light” (dal 22 giugno al Saint Regis di Roma), “Segno Arte” (dal 23 giugno nella sede di Parigi), “Il Caso” (a San Paolo del Brasile dal 28 ottobre), “Il tempo del giudizio” (dal 18 novembre nella sede di Dubai negli Emirati Arabi) e “QR code possession” (dal 15 novembre a Beijing in Cina).

I quadri specchianti in mostra a San Gimignano sono numerosi e tratteggiano l’intero percorso dell’artista, dagli anni ’50 ad oggi, alcuni sono davvero emblematici, e si concludono con “Qr Code Possession – Autoritratto”. Un’opera del 2022, in cui l’artista appare con la fronte, le braccia e il petto, ricoperti di tatuaggi, ognuno dei quali rappresenta un codice a barre con all’interno un piccolo simbolo del Terzo Paradiso. I codici, una volta scansionati, portano l’utente a una serie di materiali e video online (ci sono conferenze, testi e performances). Chiaramente qui l’artista utilizza la tecnologia per veicolare il proprio messaggio ma anche per meglio definire la propria identità ed il proprio ruolo pubblico, con una punta di autoironia (rara nel suo lavoro). Riferendosi all’opera ha detto: il tatuaggio è “(…) un antico metodo di comunicazione che utilizzo oggi come mezzo di comunicazione artistico-tecnologico. L’autoritratto trasmette la mia identità ma anche quella della società contemporanea all’interno del quadro dell’infinito che può essere trovato in un Quadro specchiante”.

La mostra “I Quadri Specchianti” di Michelangelo Pistoletto resterà nella sede di San Gimignano di Galleria Continua fino al 10 settembre 2023. Le altre esposizioni, organizzate per festeggiare i 90 anni dell’artista di Novara in giro per il mondo, si protrarranno, a staffetta, per circa tutto l’anno.

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Come un labirinto, l’arte ingannevole e stupefacente di Leandro Erlich a Palazzo Reale di Milano:

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Nella penombra che avvolge le sale della reggia milanese, i faretti che illuminano le nuvole intrappolate in una serie di composte teche da Leandro Erlich, sembrano strapparle per un momento ad una vita propria, mutevole e pigramente movimentata. Paiono immobili per strategia, più che per necessità. Tant’è vero che se lo sguardo si sofferma su di loro troppo a lungo, si potrebbe giurare di averle viste trasformarsi, abbandonarsi a un moto delicato e continuo. Eppure sono solo disegnate (in grandezze diverse), su lastre di vetro trasparenti, sovrapposte tra loro. Geometricamente ricomposte, certo, ma pur sempre sezionate.

Le nuvole nelle teche di Erlich - Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Inganni percettivi che riempiono di meraviglia e sono una cifra distintiva dell’opera dell’artista argentino, Leandro Erlich, protagonista dell’importante mostra antologica “Oltre la Soglia” a Palazzo Reale di Milano. La prima con tante opere, così rappresentative, concentrate in un’unica sede, dedicatagli non solo in Italia ma in Europa. Esposizione, che ha richiesto un mese intero di lavoro, per la sola installazione delle sculture negli spazi dello storico edificio che sorge accanto al Duomo.

Ci sono opere degli anni ’90 insieme a lavori più recenti, alcune decisamente importanti, che tratteggiano una poetica che porta lo stupefacente nel cuore della quotidianità, che tramuta in straordinario l’ordinario. Ma Erlich fa di più: insinua il dubbio nelle minute certezze della vita d’ogni giorno. E rende il pubblico parte integrante ed elemento fondamentale dell’opera d’arte.

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Nato a Buenos Aires nel 1973, Leandro Erlich è stato un enfant prodige dell’arte contemporanea (la prima mostra la fa a 18 anni al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires). Dopo un periodo di studi conclusosi negli Stati Uniti, Erlich, ha già sviluppato alcune delle sue opere distintive. E nel 2001 rappresenta l’Argentina alla 49esima Biennale di Venezia con l’installazione “Swimming Pool”. La stessa che nel 2008 esporrà al MOMAPS1 di New York. Adesso vive tra Parigi, Buenos Aires e Montevideo, è un uomo magro e quasi sempre sorridente, che parla tra l’altro un perfetto italiano, segno dei costanti e ripetuti rapporti intrattenuti con l’Italia negli anni (è rappresentato dall’ormai internazionale Galleria Continua nata a San Gimignano, nei colli senesi, dove conserva tutt’ora la sua sede principale) e che si descrive così:

Mi piace presentarmi come un artista concettuale che lavora nel regno del reale e della percezione. Il mio soggetto è la realtà, i simboli e il potenziale di significato. Mi impegno a creare un corpo di opere - soprattutto nella sfera pubblica - che si apra all'immaginazione, sovverta la normalità, ripensi la rappresentazione e proponga azioni che costruiscano e decostruiscano situazioni per sconvolgere la realtà. Parlando in generale”.

Lost Garden, il giardino interno apparentemente a pianta quadrata con 4 finestre, che si scopre averne due ed essere triangolare- Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Erlich viene da una famiglia di architetti, professione a cui sembrava predestinato e che senz’altro avrebbe intrapreso, se non avesse nutrito una così intensa passione per l’arte. Un elemento della biografia di cui si ritrovano le tracce in tutta la sua opera. Che è fondamentalmente urbana. Fatta di ascensori, facciate, pareti, specchi, perfino il traffico.

Capace di porre in modo giocoso domande di tipo filosofico, psicologico e sociale, ma che affonda le sue radici in città.

Gli elementi del paesaggio naturale, quando ci sono, danno l’impressione di essere visti dal fondo di un canyon di palazzi (l’ombra delle foglie di alberi inesistenti in “Shadows”, la pozzanghera che riflette edifici che non ci sono in “Sidewalk”, il giardino interno con piante e finestre apparentemente quadrato di “Lost Garden”, che girato l’angolo si scopre essere triangolare; e poi le nuvole, in tutte le loro molteplici declinazioni). O, a volte, sono forieri d’inquietudine, una sensazione che punteggia il lavoro di Erlich, dietro la costante apparente allegria, esattamente come si insinua nella trama di “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll (così una finestra sospesa su una scala ad incorniciare scampoli di paesaggio nasce dalla tragedia dell’uragano Katrina, la pioggia battente dietro i vetri in una notte immaginaria crea disagio, gli oblò degli aerei a parete risvegliano la paura di volare in chi ne soffre ecc.)

Elevator Pitch- Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

E poi, gli elementi del paesaggio naturale non sono gli unici in grado di suscitare fastidio nel linguaggio di Erlich. Che è capace di produrre spaesamento, come in “Elevator Pitch” (il punto di accesso di un ascensore perfettamente riprodotto, installato a parete e quindi piatto, che quando si apre svela un video in cui compaiono gruppi sempre diversi di passeggeri), in cui l’inganno è chiaro, ma il primo impulso resta quello di entrare. O di risvegliare antiche fobie. Come la paura dell’altezza in “Ascensor” (un ascensore tridimensionale collocato in mezzo alla stanza, che attraverso un gioco di specchi sembra aprirsi all’interno su un precipizio infinito). Erlich, poi, ha pure esplorato il tema della videosorveglianza e quello del voyeurismo (in mostra, ad esempio, “The View”).

Il disagio sociale (capace, però, talvolta di tramutarsi in collaborazione da parte del pubblico che si scatta foto vicendevolmente) e quindi il tema delle regole non scritte che ci spingono a muoverci come automi in mezzo agli altri, viene sviluppato, invece, in opere esposte a Milano come “Hair Salon” (si entra in una stanza che sembra in tutto e per tutto il salone di un parrucchiere, con due specchi davanti e due dietro, ma quelli frontali sono cavi e si aprono su un vero spazio speculare; capita perciò di trovarsi di fronte anziché il proprio riflesso l’immagine di un estraneo).

le barche che si riflettono nel nulla e galleggiano senz’acqua di Port of Reflections - Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Tuttavia, forse nessuna opera come “Port of Reflections” (in mostra) è capace di farci perdere fiducia nei nostri sensi. Qui Erlich ha ricostruito un porticciolo, con tanto di barche a grandezza naturale, che si specchiano nell’acqua e ondeggiano dolcemente. Nella penombra di Palazzo Reale sono davvero stupefacenti per verosimiglianza, pare di sentire l’odore di salsedine. Peccato che l’installazione non comprenda nessun tipo di liquido. Anche guardando in basso è impossibile distinguere la differenza tra queste barche che galleggiano nel vuoto e quelle vere, abbandonate alle onde, in un punto d’approdo. Erlich qui, oltre a farci dubitare di noi stessi, vuole focalizzare l’attenzione sulla realtà prefigurata (il nostro paesaggio interiore) e di conseguenza sulle aspettative illusorie.

La memoria, il senso d’identità (come singoli e parte di un gruppo), sono invece temi al centro di opere come “Classroom (anche questa in mostra, riproduce un’aula scolastica che i visitatori possono vedere attraverso un vetro e in cui il loro riflesso può prendere posto, solo da determinate posizioni, però).

Leandro Erlich, Classroom (2017) Two rooms of identical dimensions, wood, windows, desk, chairs, door, glass, lights, blackboard, school supplies and other classroom decorations, and black boxes Dimensions variable

D’altra parte l’opera di Leandro Erlich, dietro l’invito al gioco e il senso di meraviglia, nasconde un cuore concettuale poliedrico. E’ un po' come quei labirinti fatti di siepi talmente alte che da fuori sembrano percorsi lineari, di tutto riposo, salvo poi perdercisi dentro.

Oltre la Soglia” di Leandro Erlich, a cura di Francesco Stocchi, organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, e promossa da Comune di Milano-Cultura, rimarrà a Milano fino al 4 ottobre 2023.

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia