Come manga 3d le interattive opere d'arte pubblica gonfiabili dello studio Eness

All images © ENESS

Lo studio australiano Eness crea delle coloratissime installazioni che mixano diversi tipi di tecnologie per raggiungere risultati capaci di suscitare stupore. In particolare le opere d’arte pubblica, che realizzano per festival ed eventi vari, sono strutture gonfiabili ma allo stesso tempo capaci di effetti luminosi e dotate di elementi interattivi. A volte suonano, guardano di qua e di la con i loro occhi digitali, una di loro è a tutti gli effetti una fontana. Come grandi illustrazioni 3d, sono popolate di creature fantasiose ma dall’identità incerta: ci sono enormi carpe koi che ricordano anche delle creature marine come gli anemoni e alieni simili a zucche.

Sono fittamente decorate anche in superficie, sia per rendere più gradevoli e particolari le creature che vestono, sia per aumentare l’impatto notturno quando si trasformano in grandi globi luminosi. Eness le concepisce concentrate su se stesse, in modo che le persone possano avere l’impressione di trovarsi in un mondo parallelo. Un po’ come le attrazioni di un luna park.

Eness ha sede a Melbourne ed è composto da un team di creativi multidisciplinare. Tra le sue installazioni “Cupid’s Koi Garden”, con i suoi getti d’acqua (un unicum trattandosi di una struttura gonfiabile), farà parte della mostra “Pop Air” a Parigi. L’esposizione, nata dalla collaborazione tra La Villette e il Baloon Museum, si terrà dal 12 aprile al 21 agosto e occuperà oltre 5mila metri quadrati de La Grande Halle. Oltre all’installazione di Eness ci saranno le opere di altri 14 artisti.

“Cupid’s Koi Garden.” Photo by Diana Snape

“Cupid’s Koi Garden.” Photo by Sam Roberts

“Airship Orchestra.” Photo by Ben Weinstein

"Airship Orchestra.” Photo by Ben Weinstein

“Sky Castle.” Photo by Zu Rui

I virus senza colore di Luke Jerram: sculture di vetro che non cedono alle licenze creative

Ebola. All images © Luke Jerram

Nella serie di sculture Glass Microbiology l’artista britannico Luke Jerram racconta i più temibili killer microscopici tra accuratezza scientifica e bellezza. Usa il vetro soffiato, la grande scala, ma non si prende licenze creative.

Quando si parla di salute pubblica siamo poco propensi a pensare al design. In particolar modo quando ci viene comunicato un messaggio che ha a che fare con un’epidemia. Invece il design ha un ruolo fondamentale nel racconto di un potenziale pericolo invisibile. Soprattutto quando si parla di malattie poco telegeniche. Il caso tristemente noto del coronavirus ha fatto scuola. Al solo nominarlo oltre alla forma, la mente ne richiama i colori accesi quasi ultraterreni. Che però nella realtà non esistono. I virus, più piccoli della più piccola lunghezza d'onda visibile della luce, non hanno colore.

Il Covid 19 che vediamo con gli occhi della mente è un rendering che venne commissionato dall’agenzia di salute pubblica statunitense, Centers for Disease Control and Prevention, agli illustratori medici Alissa Eckert e Dan Higgins chiamati a sensibilizzare la popolazione del pericolo imminente. Si è pure guadagnato un premio (il Beazley Design of the Year). La forma del virus è fedele ma per far meglio presa sul pubblico sono stati aggiunti colori accesi normalmente associati (almeno nella cultura occidentale) al corpo e al pericolo. Col tempo l’immagine si è evoluta, aggiungendo sempre più colore al racconto di una malattia poco telegenica. Infatti, se per l’AIDS ad attirare l’attenzione bastavano l’immagine di un giovane uomo dall’aspetto emaciato e per ebola gli operatori sanitari in una tenuta che (allora) appariva fantascientifica in contrasto alla natura esotica circostante, il Covid 19 non offriva abbastanza materiale. I sintomi erano simili a quelli del raffreddore e la maggior parte dei pazienti gravi erano anziani. Restavano dei buchi nella storia, che vennero riempiti con un’immagine psichedelica del virus.

Tuttavia, adesso molti si chiedono se le licenze creative nella rappresentazione di un richio microbiologico siano corrette. E la serie Glass Microbiology dell’artista inglese Luke Jerram si stà guadagnando notorietà e sedi espositive prestigiose proprio perchè le evita fermamente.

In Glass Microbiology, Luke Jerram, scolpisce in vetro virus e batteri. Per farlo collabora con i virologi dell'Università di Bristol e con i soffiatori di vetro Kim George, Brian Jones e Norman Veitch. Alla fine le immagini rappresentate sono scientificamente accurate e artigianalmente ben riuscite. “Naturalmente, utilizzando il vetro, si crea qualcosa di incredibilmente bello- ha detto Jerram in un’intervista- Lì nasce una tensione, tra la bellezza dell'oggetto e ciò che rappresenta."

I microorganismi sono ritratti in grande scala (nel caso del coronavirus la scultura è quasi 2milioni di volte più grande dell’originale). Ma lucide e trasparenti le installazioni non appaiono monumentali. La trasparenza del materiale, poi, accresce la precisione scientifica dell’oggetto, che ha al centro fili di acido nucleico.

Luke Jerram ha cominciato la serie nel 2004. L’idea gli è venuta vedendo i primi piani a colori dell’HIV su The Guardian. a cui Jerram ha reagito infastidendosi. Lui, infatti, è daltonico. Da quel momento ad oggi ha rappresentato 20 diversi microorganismi potenzialmente mortali. Ha persino preso la peste suina mentre lavorava a una scultura dello stesso virus nel 2009.

Luke Jerram solo in questo mese porterà i suoi enormi microbi di vetro in due mostre: all’ArtScience Museum di Singapore e all’Hanry Moore Institute nel Regno Unito. Sul sito internet personale una sezione a parte è dedicata alla serie Glass Microbiology. (via Colossal)

Sars Cov 19

Malaria 2015

E. Coli

T4 Bacteriophage 2011

Vaiolo, futura mutazione Senza Titolo, HIV

The 8 x Jeff Koons: La seconda Bmw Art Car di Jeff Koons è un’auto democratica, non sessista. E tutto sommato abbordabile

Presentata la scorsa settimana nel corso della fiera d’arte contemporanea Frieze Los Angeles, The 8 x Jeff Koons, la Bmw Serie 8 Grand Coupé firmata da Jeff Koons è un’auto coloratissima in cui i riferimenti alla Pop Art di Roy Lichtenstein sono evidenti. Si tratta della seconda collaborazione del famoso artista statunitense con la casa automobilistica tedesca (Koons è il primo a disegnare due Bmw Art Cars da quando la serie è stata inaugurata nel 1975) ma questa volta l’idea è destinare il risultato al mercato vero e proprio. Ad un prezzo tutto sommato abbordabile visto che la Bmw di Jeff Koons sarà prodotta in 99 esemplari soltanto e ha tempi di lavorazione molto lunghi.

I colori della carrozzeria sono undici e vanno dal blu al grigio fino al giallo. Mentre il rosso è stato utilizzato soprattutto per colorare la pelle pregiata che riveste i sedili. Il design, oltre agli evidenti riferimenti alla Pop Art, si richiama ai supereroi e alla storia del marchio, in un mix di cultura alta e bassa tipico dell’opera di Koons. Com’è tipico il perfezionismo, che l’artista riversa in ogni progetto e che in questo caso si è tradotto in una permanenza di diversi giorni nello stabilimento bavarese di Dingolfing, per discutere le opzioni di design con tutti i dipendenti Bmw coinvolti. E naturalmente nell’attenzione per i dettagli . Jeff Koons, infatti, dichiara che la sola verniciatura della carrozzeria (eseguita a mano) richiede oltre 300 ore di lavoro.

“Volevamo creare qeualcosa di special- ha detto a Frize Jeff Koons- perché, ogni volta che crei qualcosa, stai dimostrando alla persona che interagirà con essa, che si tratti di un'opera d'arte o di un'auto, che tieni a loro.”

L’artista ha poi disegnato la sovraccoperta del Manuale del conducente e scelto di utilizzare vari tipi di vernice per raggiungere l’effetto specchiante che caratterizza la sua scultura. Lo Shine, a cui era dedicata la mostra recentemente conclusasi a Palazzo Strozzi di Firenze (esposizione che ha raggiunto un afflusso di pubblico senza precedenti).

Le superfici specchiate- ha continuato Koons- possono indurre gli spettatori a riflettere. (...) Penso che ci sia una qualità da supereroe nell'auto. Ciò che intendo con questo è la sensazione che, anche se la vita a volte può sembrare difficile, dobbiamo solo trovare la fiducia per fare le cose che vogliamo (…). Ed è quello che cerco di praticare nella vita: non dare giudizi ed essere aperto a tutto, perché tutto è perfetto nel suo essere”.

La Bmw Serie 8 Grand Coupé è una sportiva, mossa da un V8 da 4,4 litri di cilindrata, con una potenza di 530 CV e una coppia massima di 750 Nm. Arriva a 250 km/h e scatta da 0 a 100 km/h in 3,9 secondi. Aspetti che ne fanno un oggetto del desiderio lussuoso, che appare più spesso nell’immaginario maschile. Ma Koons a proposito ha dichiarato: “affrontare questo aspetto è stata una parte molto critica del design dell'auto: disperdere il potere in tutto il veicolo, rendendolo democratico (…) Penso davvero che, quando le persone guarderanno gli individui in questo veicolo, avranno la sensazione di essere carichi d’adrenalina”.

L’automobile su cui l’artista newyorkese ha lavorato è una quattro porte. Una caratteristica da lui ritenuta fondamentale per creare un oggetto in grado di celebrare la gioia di stare insieme.

The 8 x Jeff Koons sarà accompagnata da un certificato firmato dall’artista e dall’amministratore delegato di Bmw. Sul mercato statunitense le automobili verranno vendute a 350.995 dollari. Un prezzo tutto sommato ragionevole se si considera che il modello base della Serie 8 Gran Coupé costa 100 mila euro.

La Bmw Art Car di Jeff Koons, presentata in anteprima mondiale a Frieze Los Angeles, verrà esposta al Rockefeller Plaza di Manhattan e in numerosi altri eventi. Un’auto firmata dall’artista però, verrà messa all’asta da Christie’s a New York il 4 aprile. Il ricavato andrà all’International Centre for Missing & Exploited Children a cui l’artista è legato da parecchi anni a questa parte.