Palimpsest: lo stupefacente memoriale di Doris Salcedo impresso nella sabbia e scritto con l'acqua alla Fondazione Beyeler

Doris Salcedo, Palimpsest, 2013–2017 Installation view, Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2022 Hydraulic equipment, ground marble, resin, corundum, sand and water; dimensions variable © the artist photo: Mark Niedermann

Frutto di dieci anni di lavoro, l’installazione Palimpsest dell’artista colombiana Doris Salcedo, attualmente in mostra alla Fondazione Beyeler (nel comune di Riehen, nei pressi di Basilea, in Svizzera), è davvero stupefacente. Si tratta di un semplice memoriale a pavimento. Ma i nomi dei defunti, anzichè essere incisi nella pietra o nel metallo, sono impressi nella sabbia o si formano dall’unirisi di piccolissime gocce d’acqua.

Palimpsest è dedicata alle persone morte in mare durante i movimenti migratori verso l’Europa. Salcedo, infatti, vista la sua storia personale (i membri della sua stessa famiglia sparirono durante un momento travagliato della storia colombiana), da sempre focalizza la sua opera sul ciclo di violenza, indignazione, ricordo e oblio. E in quest’opera usa un linguaggio poeticamente carico ma anche in grado di stupire, basato sulla forza simbolica di acqua e sabbia.

Nata nel 1958 a Bogotà in Colombia, dove abita tutt’ora dopo un periodo negli Stati Uniti, Doris Salcedo, è un’artista internazionale molto nota. Tra le sedi più prestigiose in cui sono stati esposti suoi lavori ci sono sia la Tate Modern che la Tate Britain di Londra, documenta di Kassel, il  Museum of Contemporary Art di Chicago, il Guggenheim Museum di New York, oltre al Castello di Rivoli a Torino e al MAXXI (Roma). Iconici sono diventati, i suoi assemblaggi dolenti di oggetti della quotidianità e i suoi mobili mal in arnese riempiti di cemento. Al centro del suo lavoro sempre il dolore della perdita che scaturisce da un evento violento e le successive fasi di elaborazione del lutto (personali ma soprattutto collettive) fino alla perdita del ricordo. Salcedo ha, inoltre, da tempo adottato un approccio “giornalistico” alla preparazione dell’opera: intervistando famigliari delle vittime, visitando obitori e luoghi di un disastro.

Anche per preparare Palimpsest, difatti, l’artista colombiana ha passato 5 anni a fare ricerche. A dire il vero, in questo caso, i tempi avrebbero potuto essere sensibilmente più brevi se l’Unione Europea, a cui Salcedo aveva chiesto l’elenco dei nomi delle vittime, glielo avesse fornito. Ma non lo ha fatto. Così lei è partita scandagliando i social media, per incrociare poi i risultati con gli articoi di giornale ed arrivare in seguito ai contatti con sopravvissuti e parenti. Alla fine ha messo insieme 300 nomi.

Alla Fondazione Beyeler tuttavia se ne possono leggere 171. I nomi sono distribuiti su 66 lastre di pietra (posate, a loro volta, su una superficie di circa 400 metri quadrati), che compongono la base del memoriale. Una scultura fragile e raffinata al tempo stesso, che ha avuto bisogno di atri 5 anni per essere realizzata.

L’installazione Palimpsest (in italiano Palinsesto), prende il nome dalla parola di origine greca che si usa per indicare un manoscritto con parole cancellate e coperte da nuove frasi. Anche l’opera di Salcedo, infatti, si compone di due cicli di nomi sovrapposti. Nel primo, i nomi dei migranti morti antecedentemente al 2010, sono impressi nella sabbia fine che ricopre le lastre di pietra. Nel secondo, quelli delle persone che hanno perso la vita in mare tra il 2011 e il 2016, appaiono lentamente sopra gli altri. Dapprima come fossero solo minuscole gocce d’acqua, che poi però si uniscono componendo delle nuove lettere. In questo modo l’artista fa riferimento all’affievolirsi della memoria collettiva fino all’oblio. Tant’è vero, che anche i nomi scritti con l’acqua sono destinati ad avere vita breve, riassorbiti dalla sabbia.

Doris Salcedo, che ha cominciato la sua carriera parlando delle tragedie che hanno segnato la Colombia, nel tempo ha dedicato la sua opera anche ad eventi luttuosi in altre parti del mondo, come le vittime delle armi negli Stati Uniti. Ha detto che a colpirla nella storia dei migranti, non è solo il doloroso epilogo ma l’incompiutezza. Come se il viaggio, anzichè essere un ponte era il prima e il dopo nella vita di queste persone, fosse una parentesi a se stante, e scomparire senza raggiungere la meta diventasse metafora di esistenze sospese.

Il memoriale Palimpsest, realizzato dal museo svizzero in stretta collaborazione con l'artista, il suo studio, e la galleria White Cube, è coordinato dall’Associate Curator, Fiona Esse, e rimarrà alla Fondazione Bayeler fino al 17 settembre 2023. Quest’ultima, il prossimo autunno, a Doris Salcedo dedicherà anche un’importante restrospettiva.

Le gocce d’acqua si uniscono lentamente per formare i nomi delle persone scomparse in mare. Immagine da video

Doris Salcedo, Palimpsest, 2013–2017 Installation view, Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2022 Hydraulic equipment, ground marble, resin, corundum, sand and water; dimensions variable © the artist photo: Mark Niedermann

Doris Salcedo, Palimpsest, 2013–2017 Installation view, Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2022 Hydraulic equipment, ground marble, resin, corundum, sand and water; dimensions variable © the artist photo: Mark Niedermann

Doris Salcedo, Palimpsest, 2013–2017 Installation view, Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2022 Hydraulic equipment, ground marble, resin, corundum, sand and water; dimensions variable © the artist photo: Mark Niedermann

Doris Salcedo, Palimpsest, 2013–2017 Installation view, Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2022 Hydraulic equipment, ground marble, resin, corundum, sand and water; dimensions variable © the artist photo: Mark Niedermann

Doris Salcedo, Palimpsest, 2013–2017 Installation view, Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2022 Hydraulic equipment, ground marble, resin, corundum, sand and water; dimensions variable © the artist photo: Mark Niedermann

Doris Salcedo, Palimpsest, 2013–2017 Installation view, Fondation Beyeler, Riehen/Basel, 2022 Hydraulic equipment, ground marble, resin, corundum, sand and water; dimensions variable © the artist photo: Mark Niedermann

Le gocce d’acqua si uniscono lentamente per formare i nomi delle persone scomparse in mare. Immagine da video

The Fondation Beyeler in winter. Photo: Mark Niedermann

Con l'opera "Have a Good Day!" le artiste del collettivo Neon Realism hanno fatto musica dei pensieri delle cassiere di un supermercato

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Andata in scena ai Teatri di Vita di Bologna lo scorso weekend, in occasione della settimana di iniziative Art City che accompagna Arte Fiera, l’opera "Have a Good Day!" del terzetto di artiste lituane Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė e Rugilė Barzdžiukaitė (le stesse del collettivo Neon Realism). Novanta posti, tre appuntamenti, tutti esauriti già prima della presentazione ai media. D’altra parte si trattava di un successo annunciato.

Minimale e ironica, infatti, la performance che mette in musica i pensieri delle cassiere di un supermercato, è pluripreamiata. E il fatto che sia opera delle stesse autrici dell’installazioneSun & Sea (Marina), cioè il Padiglione Lituania che si è aggiudicato il Leone d’Oro come miglior partecipazione nazionale alla Biennale di Venezia del 2019, di certo non guasta.

Basata su una scenografia rigorosa e frontale, ridotta allo stretto necessario (seggiole e neon; il pianoforte suonato dall’adetto alla sicurezza è fuori campo), così come i costumi (pantaloni, camicia e grembiule per le signore, divisa azzurra e cappellino snapback per il pianista), "Have a Good Day!", parla di alienazione attraverso un desiderabile vocabolario pop ridotto a ritornelli.

Il colore è bandito (fatta eccezione per quello dei volti delle interpreti e per il loro grembiule blu). I prodotti di consumo (alimentari e non), esistono nell'opera, ma solo sotto forma di parole.

Il costante e monotono 'beep' emesso dalla cassa ogni volta che è scansionato un prodotto- spiegano gli organizzatori- si trasforma in un suono chiave udibile durante tutta la durata dell'opera, in forma più acuta o più debole, che si alterna e sovrappone a una serie di canzoni, anch'esse monotone come il processo di acquisto e vendita. La musica, al posto di diventare il centro focale dell'opera, serve a enfatizzare i pensieri dei personaggi, facilitando l'ascolto delle loro voci”.

La prospettiva, enfatizzata dalla scenografia minimale, ha un dupplice scopo. Da una parte, infatti, sottolinea la solitudine delle protagoniste (ognuna delle quali prende posto su un proprio piccolo palco), dall’altra le avvicina al pubblico (spinto a guardarle), quando il loro pensieri. sottratti all’oscurità, si fanno canto vivace ed ironico.

Il ritmo non perde colpi. Il fraseggio parlato veloce delle interpreti è, a volte, simile a un rap del quotidiano tratteggiato da un’ironia surreale. Atre si fa coro, altre ancora canto ricco di svolazzi e barocca vitalità. D’altra parte "Have a Good Day!" è un opera lirica contemporanea.

Le luci hanno un ruolo fondamentale. Sia i neon che si spengono e si accendono, riducendo le distanze, accompagnado le canzoni; talvolta lasciando il posto ai fari e all’oscurità circostante le protagoniste, quando il mondo interiore delle commesse prende vita. Sia quelle pulsanti degli scanner che punteggiano, inumani ed esigenti ma anche vitali ed allegri, tutta la performance.

"Nell'opera, la critica alla società capitalistica contemporanea è espressa con ironia, humour, poesia e paradosso, evitando qualsiasi giudizio moralistico. Il mosaico delle diverse vite delle cassiere si fonde in un coro comune, un poema universale che afferma il piacere del consumo".

"Have a Good Day!" è interpretata in lituano ma viene sottotitolata di volta in volta in varie lingue (a Bologna sia in inglese che in italiano). Vaiva Grainytė (poetessa e scrittrice) è l’autrice del libretto, Lina Lapelytė (artista, compositrice e performer) ne è la compositrice e direttrice musicale mentre Rugilė Barzdžiukaitė (regista e artista) qui è regista e scenografa.

Le tre artiste che uniscono i loro sforzi anche nel collettivo Neon Realism, recentemente, hanno realizzato il film “Acid Forest”, che è stato proiettato in molti festival cinematografici internazionali.

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Vaiva Grainytė, Lina Lapelytė, Rugilė Barzdžiukaitė Have a Good Day! Teatri di Vita, Bologna, 2023 Foto Ornella De Carlo Courtesy Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna

Meredith Monk parlerà del suo lavoro e dell'amico Bruce Nauman all'Hangar Bicocca. Prima però sarà in concerto alla Triennale

Dopo l’attesissimo concerto-anteprima alla Triennale di Milano, Meredith Monk, sarà al Pirelli Hangar Bicocca per parlare della sua amicizia con Bruce Nauman (ancora al centro del prestigioso spazio espositivo con la mostra “Neons Corridors Rooms”), di quanto l’arte dell’uno abbia preso da quella dell’altra e viceversa, ma anche della retrospettiva "Meredith Monk. Calling" che il prossimo autunno vedrà il suo lavoro sessantennale protagonista dell’ Haus der Kunst di Monaco di Baviera.

Converserà con Andrea Lissoni (il direttore italiano del famoso museo d’arte contemporanea tedesco che ospiterà la sua mostra), e l’evento sarà ad ingresso gratuito.

Si tratta di un appuntamento importante perchè Meredith Monk è una figura cardine della performance art. Pluripremiata, insignita da numerosi riconoscimenti tra cui la National Medal of Arts (che le conferì Barack Obama) e l'investitura a Chevalier de l'Ordre des Arts et des Lettres della Repubblica Francese.

Nata nel ‘42 a New York City, Meredith Jane Monk è compositrice, cantante, regista, coreografa e filmmaker. La sua musica è stata utilizzata nel film "Il grande Lebowski" dei fratelli Coen, in "Nouvelle Vague" e "Notre musique" di Jean-Luc Godard. Figlia d’arte, la madre, infatti, era cantante professionista e i nonni materni musicisti. Monk, è stata una pioniera di quella che oggi viene chiamata "tecnica vocale estesa"  (che prevede l’utilizzo di particolari tecniche timbriche e armoniche per ampliare la tavolozza dei suoni) e "performance interdisciplinare". In sostanza, ha esplorato con la voce territori fino ad allora inesplorati e nel contempo l’ha mixata con il movimento del corpo. Le sue performance, sono spesso concepite o adattate in funzione dello spazio in cui si esibisce, rendendo effimera e ancora più carica poeticamente la sua virtuosa arte.

Il sito internet della statunitense, in proposito dice: "Crea opere che prosperano all'intersezione di musica e movimento, immagine e oggetto, luce e suono, scoprendo e intrecciando nuove modalità di percezione. La sua innovativa esplorazione della voce come strumento, come linguaggio eloquente in sé e per sé, espande i confini della composizione musicale, creando paesaggi sonori che portano alla luce sentimenti, energie e ricordi per i quali non ci sono parole”. Lei invece ha spesso dichiarato che intende “la musica così visivamente”.

Per il Teatro della Triennale si esibirà, in compagnia di due tra le sue collaboratrici più fidate, in una scelta di brani che abbracciano cinquant’anni della sua produzione, da “Songs from the Hill” (1975-1976) e “The Games” (1984) fino ai più recenti “Mercy” (2001) e “Cellular Songs” (2018). Lo spettacolo, che si intitola semplicemente "Meredith Monk in concerto con Katie Gissinger e Allison Sniffin", si terrà sabato 18 febbraio alle 19 e 30. I biglietti sono in vendita sul sito della Triennale.

Il giorno successivo invece (domenica19 alle 21) Meredith Monk sarà in conversazione al Pirelli Hangar Bicocca con Andrea Lissoni. Al centro dell’intervento dal vivo dell’artista americana la natura multidisciplinare del suo lavoro e di quello di Bruce Nauman. L’appuntamento è gratuito ma visto il numero limitato di posti è richiesta la prenotazione. Per farlo si dovrà andare sul sito del museo da venerdì 10 febbraio.