Da luglio la grande pittura di Yan Pei-Ming a Palazzo Strozzi (dopo un anno da record)
Con 340mila visitatori e ricadute economiche sul territorio che si stimano intorno ai 114milioni di euro, il 2022 di Palazzo Strozzi è stato un anno da record. Quasi interamente dedicato al contemporaneo. Il 2023, invece, è appena iniziato. E sarà completamente all’insegna della contemporaneità. Infatti, mentre “Reaching for the Stars” (l’esposizione che celebra il trentennale della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino a Firenze con un’importante selezione di opere) si avvia alla conclusione (il 18 giugno), nella sede espositiva fiorentina ci si prepara già ad inaugurare “Pittore di storie” (dal 7 luglio) dedicata al cino-francese Yan Pei-Ming.
Una mostra che rompe il consueto copione espositivo dello spazio fiorentino, dove l’estate è più spesso dedicata all’arte del passato (l’anno scorso, ad esempio, nelle sale del Piano Nobile è stata allestita “Donatello, il Rinascimento”, che sarebbe stata poi premiata come migliore esposizione dell'anno 2022 dall'Apollo Magazine). Ma lo fa mantenendosi nel solco della grande tradizione pittorica. Di più: di quella che si nutre di un costante dialogo coi classici antichi e moderni.
Il sessantatreenne nato in Cina e naturalizzato francese, Yan Pei-Ming, infatti, non è solo un fuoriclasse di colori e pennelli ma anche un artista capace di costruire il proprio successo sulla base di una pratica costante e sempre più impegnativa del mestiere. Oltre che su un confronto quasi viscerale con la tradizione pittorica occidentale (da alcuni anni a questa parte, Pei-Ming, ha cominciato a rileggere pure quella orientale). Conosciuta in giovane età, in tempi in cui, per un artista cinese si trattava contemporaneamente di un privilegio e di una trasgressione.
Nato a Shanghai da una famiglia povera (parlando della mandre che lo aveva sempre supportato, raccontò, che lei, una volta, chiese a tutta la famiglia di mangiare in piedi per una settimana, permettendogli di usare il tavolo come scrivania, visto che in casa non avevano nient’altro),Yan Pei-Ming, cresce nel periodo della Rivoluzione Culturale maoista. Imparerà a dipingere alle lezioni di propaganda della scuola e a 14 anni creerà uno “studio di propaganda” nel tempo libero. Ma il suo sogno andrà presto in frantumi, quando la domanda per l'ammissione alla Shanghai Art & Design School gli verrà rifiutata a causa della balbuzie.
Nell’80 scappa in Francia, dove si iscriverà all’École des Beaux-Arts de Dijon e comincerà a studiare i classici occidentali. Oggi si definisce un’artista senza una precisa nazionalità, anche se dice di essere grato alla Francia per la possibilità offertagli e continua a vivere a Digione.
In effetti, Yan Pei-Ming, può ben essere riconoscente alla Francia, che gli ha dedicato una mostra negli esclusivi Musée d'Orsay, Musée Courbet e Musée du Louvre, oltre a conservare la sua opera al Centre Georges Pompidou e al Musée des beaux-arts di Digione. E ad avergli attribuito un ruolo nella così detta “diplomazia culturale francese” (ha, ad esempio, accompagnato, insieme ad altri membri dell’intellighenzia d’oltralpe, il presidente Emmanuel Macron nella visita di Stato a Shanghai del 2023).
Pur essendo molto noto soprattutto in Francia, Pei-Ming, è famoso un po’ in tutta Europa e ha ricostruito un buon rapporto anche con la sua patria d’origine. Mentre è meno conosciuto negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Con l’Italia, poi, ha una relazione particolarmente stretta, visto che già nel 2016 ha tenuto una mostra a Villa Medici (Roma) ed è rappresentato dalla galleria del milanese Massimo De Carlo.
Celebri i suoi ritratti (oltre a quelli di Mao, ne ha fatti di Barack Obama, Bruce Lee, Bashar al-Assad, Marylin Monroe e tanti altri), che realizza sulla base di immagini preesistenti (compertine di giornali ma anche fotogrammi di film). Yan Pei-Ming, tuttavia, ha rivisitato in chiave contemporanea anche altri geneneri, come il paesaggio, la natura morta, la pittura storica o religiosa. Oltre all’autoritratto per cui ha sempre avuto un debole.
Usa una tavolozza semplificata (lavora molto in bianco e nero, o usando solo sfumature di rosso) con tratto vigoroso e materico. Spesso sceglie formati enormi. Da quando, agli albori della sua carriera, visitò l’Olanda e si mise a contare ossessivamente le pennellate nei dipinti di Van Gogh, Pei Ming, dipinge anche con un numero minimo di segni, a prescindere dalle dimensioni della tela. Per questo usa pennelli larghissimi (dai 50 agli oltre 120 cm).
Ha l’abitudine di fondere il racconto personale con quello collettivo, di piegare la rappresentazione della Storia alle storie delle persone. Nella sua opera, infine, ritornano constantemente il tema della morte e quello della memoria.