C’è un porto dove si radunano misteriosi personaggi in bilico tra passato e presente; hanno già fatto o stanno per fare una scelta difficile; si percepisce che hanno una storia. Ma c’è anche una cameriera che continua ad occuparsi delle faccende domestiche, con tanto di uniforme, in un rudere. E poi navi, anzi barconi, in balia di un mare agitato e degli sguardi delle star della Hollywood degli anni d’oro.
Il Padiglione Australia dell’artista Tracey Moffatt porta un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà alla Biennale di Venezia 2017. Attraverso una fotografia studiata e pittorica. Ma soprattutto spiccatamente cinematografica. Come se ogni immagine in mostra fosse un film condensato.
Intitolata “My Horizon” (“Il mio Orizzonte”), l’esposizione di Tracey Moffatt, presenta 2 serie di fotografie (“Passage”- “Traversata”-; “Body remembers” -Il corpo ricorda-) e 2 video (“Vigil” - “Veglia”-; “The white ghosts sailed in” - “I fantasmi bianchi giunsero dal mare”) . E’ curata dal critico Natalie King.
“Succede a volte nella vita di riuscire a vedere ‘ciò che viene sull’orizzonte’- dice Tracey Moffatt - ed è questo il momento di attivarsi oppure di non fare nulla e stare ad aspettare qualsiasi cosa stia per arrivare”.
Ogni serie è ricca di riferimenti letterari e cinematografici ma a colpire è quanto l’artista riesca a rendere naturali i virtuosismi stilistici e a fonderli con una sensibilità decisamente femminile per la storia e i personaggi.
Passage (Traversata): è un racconto aperto, ambientato in un porto. La collocazione geografica della storia non è chiara e anche il periodo in cui si svolge non vuole esserlo. L’atmosfera oscilla tra quella di un colossal a sfondo epico, di un noir, di un western fino al sapore della pelliccola on-the-road. E non contenta di tutto questo cinema, la Moffatt, è riuscita a mettere anche un bel po’ di pittura in ogni scatto (da Turner a Hopper) e (perché no?!) anche quel tanto di fumetto che basta.
I personaggi misteriosi e tormentati di questa serie sono tutti quelli che intraprendono un lungo viaggio: “Ciò che Tracy Moffat intende evocare sono gli ardimentosi viaggi per mare- scrive Natalie King nel catalogo della mostra- (…) Smantellando le convenzioni del narrare, racconta per immagini una storia di viaggio e rifugio, di fuga e oblio”. Insomma anche l’artista australiana è stata catturata dal tema dei richiedenti asilo e ne ha fatto i principali protagonisti di “Passage”.
Body remembers (Il corpo ricorda): declinata sull’ocra è una serie più intima, con una connotazione autobiografica. Racconta di una cameriera che torna nella casa in cui fu a servizio tanti anni prima.