I settant’anni del grande Thomas Schütte in tre mostre:

Installation view of Thomas Schütte, on view at The Museum of Modern Art, New York from September 29, 2024 through January 18, 2025. Photo: Jonathan Dorado.

Nell’estate del 1972, Thomas Schütte, che allora aveva 17 anni ed era in procinto di scegliere cosa avrebbe fatto da grande, visitò due volte di fila Documenta (un’importante manifestazione d’arte contemporanea che si tiene a scadenza quadriennale nella cittadina di Kassel, in Germania) e rimase folgorato. Aveva preso la sua decisione. In seguito disse: “A Kassel, ho visto per la prima volta tutta la varietà di possibilità nel mondo dell'arte”. Ed oggi, tanti anni dopo, quegli orizzonti sconfinati di opzioni, fatte le debite proporzioni, sono diventati la cifra distintiva dell’opera di Schütte. Amata e odiata per una eterogeneità che contribuisce a renderla difficile da cogliere a pieno. Che ne fa anzi un universo misterioso, non necessariamente benevolo, a tratti imperscrutabile.

Ma un luogo in cui vale la pena entrare e che va celebrato. Lo ha fatto lui stesso aprendo un museo di 700 metri quadri nei pressi di Düsseldorf (città in cui vive e lavora) che ha anche disegnato (inaugurato nel 2016 espone pure altri artisti). Lo ha fatto la Biennale di Venezia, che, già nel 2005, gli ha conferito il Leone d’Oro. E in occasione del suo settantesimo compleanno (che cade il 16 del mese prossimo) lo stanno facendo alcuni tra i più prestigiosi musei del mondo.

La Beyeler Foundation di Riehen (Basilea) ha inserito il suo lavoro nella collettiva “Daughter of Freedom” (che propone un riallestimento di modernisti e contemporanei di loro proprietà) destinando alla scultura del tedesco una sala dedicata. Ma soprattutto lo ha fatto il Museum of Modern Art di New York (il famoso MoMa) con una retrospettiva che ripercorre cinquant’anni di carriera di Thomas Schütte attraverso sculture, disegni, stampe, esperimenti di architettura e che occupa l’intero sesto piano dell’edificio. Organizzata da Paulina Pobocha (curatrice senior di Robert Soros presso l'Hammer Museum di Los Angeles ed ex curatrice associata del MoMA) e da Caitlin Chaisson (assistente curatrice del Dipartimento di pittura e scultura del MoMA), è la sua prima mostra nella Grande Mela da oltre vent’anni.

La prossima primavera, invece, sarà la volta del Museo di Punta della Dogana a Venezia. Anche in questo caso si tratterà di un grande show con opere che dagli esordi porteranno ai giorni nostri.

Installation view of Thomas Schütte, on view at The Museum of Modern Art, New York from September 29, 2024 through January 18, 2025. Photo: Jonathan Dorado.

Nato nel ’54 ad Oldemburg (una cittadina a nord-est della Germania), Thomas Schütte, non ha vissuto il periodo della guerra, se non attraverso i racconti degli altri. Il padre (come tutti i tedeschi del resto) aveva combattuto per Hitler e, secondo quanto riportato dal figlio, forse perché tenente, alla fine del conflitto era stato deportato in Unione Sovietica dove aveva scontato una pena di 5 anni ai lavori forzati, ma non ne aveva mai voluto parlare. Mentre è stato testimone diretto degli anni delle due germanie e di quelli del crollo del muro di Berlino. Intorno la metà degli anni ’70 frequentò l’Accademia d'arte di Düsseldorf che, in quel periodo, contava tra i propri insegnanti il pittore Gerhard Richter (oggi ha 92 anni ed è considerato uno dei più grandi artisti della nostra epoca), oltre ai coniugi Bernd e Hilla Becher, pionieri della fotografia concettuale. Tra gli altri studenti, invece, c’erano nomi che negli anni successivi tutti avrebbero imparato a conoscere (come: Katharina Fritsch, Isa Genzken, Andreas Gursky e Thomas Struth). Schütte si avvicinò molto a Richter mentre cercava la sua strada, ma guardò anche ad altri, come all’americano Richard Serra (la cui opera aveva avuto occasione di vedere dal vivo).

A quel tempo si fece notare per l’acume concettuale. Ne è un’esempio “Amerika”: un grande supporto bianco, su cui l’artista, con forza e precisione, ha tracciato migliaia di segni di grafite fino a renderlo quasi completamente nero (il nome dell’opera fa riferimento alle matite a basso costo con cui era stato eseguito il disegno, ma anche al fatto che con i soldi guadagnati da un eventuale vendita sarebbe andato negli Stati Uniti). Ma anche “Große Mauer” (“Large Wall”, 1977), cioè un’opera composta da piccole tele astratte affiancate in maniera da farle sembrare un muro di mattoni. Per realizzare questo pezzo che cita diversi movimenti artistici, Schütte, che nell’estate di quell’anno stava lavorando in una residenza per anziani, aveva esplorato tutti i cantieri e gli edifici abbandonati della zona per riprodurne i colori. I riquadri (tanto per fare un dispetto ai minimalisti con la loro ossessione per l’ordine) erano appesi un po’storti.

Installation view of Thomas Schütte, on view at The Museum of Modern Art, New York from September 29, 2024 through January 18, 2025. Photo: Jonathan Dorado

Ad ogni modo, Schütte, che già allora dava l’impressione di essere un bastian contrario (la curatrice Lynne Cooke, che ha lavorato con lui più volte ha recentemente affermato: “Thomas è un arcicontrario. Se dici sinistra, lui dirà destra”), non voleva ripercorrere i passi di Richter ma neppure dedicarsi all’Arte Concettuale o al Minimalismo (ai tempi in gran voga).

Sarebbe poi diventato famoso per una rilettura espressionista e del tutto personale della scultura classica. Anche se in un certo periodo era stato ossessionato dai piani orizzontali; fissazione curata dall’amore per l’architettura, che si sarebbe tradotto in modelli e veri e propri edifici. Al Moma ci sono tanti esempi di questo filone del suo lavoro, compreso una sorta di rifugio antiatomico a grandezza naturale dall’aria inquietante e inospitale (“Schutzraum” in inglese “Shelter” che significa, proprio, riparo; 1986).

Le sue più note sculture, invece, (sovente figure umane dai volti caricaturali o abbozzati) sono animate da un’inquietudine costante che si riflette nelle forme caotiche e dinamiche. a momenti sul punto di liquefarsi, mentre i personaggi effigiati osservano coi loro occhi vuoti chi gli passa di fronte. Schütte usa i materiali classici della scultura (acciaio, ceramica laccata, persino bronzo), il più delle volte rievocando i monumenti degli antichi o statuette e busti commemorativi che nei secoli passati finivano nelle case della gente. Naturalmente però, il suo approccio all’opera è opposto: i soggetti sono frutto di innesti tra la storia dell’arte, la tradizione farsesca, la scenografia cinematografica, i teatri dei burattini e persino i reperti conservati in formalina nei musei di storia naturale.

Thomas Schütte. United Enemies, 1994. Two figures of modeling clay, fabric, string, and wood on plastic pedestal with glass bell jar. 74 × 9 13/16 × 9 13/16″ (188 × 25 × 25 cm). De Pont Museum, Tilburg, Netherlands. Photo: Peter Cox. © 2024 Thomas Schütte / Artists Rights Society (ARS), New York / VG Bild-Kunst, Bonn

Un esempio piuttosto chiaro del suo punto di vista sulla scultura monumentale, ce lo da’ “Zeichnung für Alain Colas” (“Disegno per Alain Colas” del 1989). Alain Colas era un velista francese che tentò di attraversare l’Atlantico da solo in motoscafo, l’aveva già fatto e, primo al mondo, era arrivato in America, ma quella volta qualcosa andò storto e né lui né la sua barca vennero mai ritrovati. Era il 16 novembre del 1978, il giorno del compleanno di Schütte. Una decina di anni dopo, Clamecy (città natale di Colas), chiese proprio all’artista tedesco un monumento per commemorare la scomparsa del velista. E lui progettò un busto figurativo su un alto basamento, da ancorare alla baia come fosse una boa, perché ogni giorno l’alta marea lo sommergesse. Ovviamente l’opera non sarebbe mai stata realizzata.

All’inizio degli anni ’90 Schütte venne in Italia; era stato ammesso a una residenza riservata agli artisti tedeschi a Villa Massimo a Roma. Fu per lui l’occasione di vedere le sculture degli antichi, che lo ispirarono. Così nacquero gli “United Enemies”, una serie di sculture in teche di vetro, in cui compaiono due figure in argilla legate l’una all’altra con volti caricaturali affiancati e corpi composti da ritagli di vestiti e altri materiali di recupero. Il susseguirsi di personaggi della serie regala all’opera una dimensione narrativa che fa pensare al cinema: primo amore di Schütte (prima di iscriversi al corso d’arte all’università, aveva preso in considerazione solo quello di cinema, di cui sarebbe rimasto un appassionato spettatore). “United Enemies”, tuttavia, ha una carica trasgressiva che travalica tutto questo. Un critico ci vide le due germanie finamente riunite, e per nulla felici di esserlo. Schütte non si trovò d’accordo. D’altra parte, pare che lui raramente condivida un’interpretazione. E poi i protagonisti delle sue opere sono riflessi di un’ansia, situata in uno spazio e in un tempo indefinito, che in definitiva ognuno può leggere a modo proprio.

Il critico d’arte statunitense Blake Gopnik, in un recente articolo ha scritto (riferendosi a varie sculture del tedesco): “Tali opere rappresentano un ripudio della tradizione modernista in cui Schütte era stato istruito. Rappresentano anche l'intransigenza che è tipica dello Schütte classico”.

Schütte stesso, invece, ha detto: “Cerco di vedere una cosa da cinque punti di vista e continuo a muovermi, lavorando attorno a un punto centrale. Ma cosa sia non lo so. Non appena lo definisci, è finito”.

Daughter of Freedom”, con la sua saletta di sole sculture di Schütte, rimarrà alla Beyeler Foundation fino al 5 gennaio. La grande retrospettiva del Moma si chiuderà più tardi (il 18 gennaio 2025). Mentre la mostra che Punta della Dogana di Venezia dedicherà a Thomas Schütte si inaugurerà il 6 aprile per concludersi il 23 novembre del 2025.

Thomas Schütte. Vater Staat (Father State), 2010 (detail). Patinated bronze. 149 5/8 × 61 × 55″ (380 × 155 × 139.7 cm). Collection Anne Dias Griffin Photo: Steven E. Gross. © 2024 Thomas Schütte / Artists Rights Society (ARS), New York / VG Bild-Kunst, Bonn

nstallation view of Thomas Schütte, on view at The Museum of Modern Art, New York from September 29, 2024 through January 18, 2025. Photo: Jonathan Dorado.

Thomas Schütte. Bronzefrau Nr. 17 (Bronze Woman No. 17), 2006. Patinated bronze on steel table. 80 3/8 × 49 1/4 × 98 1/2″ (204 × 125 × 250 cm). The Art Institute of Chicago. Through prior gifts or bequests of Leo S. Guthman, Fowler McCormick, Albert A. Robin, Marguerita S. Ritman, Emily Crane Chadbourne, Florence S. McCormick, and Judith Neisser; purchased with funds provided by Per Skarstedt; 20th Century Purchase and Robert and Marlene Baumgarten funds. Photo: The Art Institute of Chicago / Art Resource, New York. © 2024 Thomas Schütte / Artists Rights Society (ARS), New York / VG Bild-Kunst, Bonn

Installation view of Thomas Schütte, on view at The Museum of Modern Art, New York from September 29, 2024 through January 18, 2025. Photo: Jonathan Dorado.

Thomas Schütte. Selbstportrait. 30/31.5.75 (Self-portrait: 5/30–31/75), 1975. Oil on nettle cloth. 23 5/8 × 17 11/16″ (60 × 45 cm). Collection the artist, Düsseldorf. Photo: Luise Heuter © 2024 Artists Rights Society (ARS), New York / VG Bild-Kunst, Bonn. © 2024 Thomas Schütte / Artists Rights Society (ARS), New York / VG Bild-Kunst, Bonn

La video-installazione di Arthur Jafa "Love is the Message, The Messsage is Deth" da stasera sarà in streaming per 48 ore

Installation view of Arthur Jafa's Love Is the Message, The Message Is Death, 2016, in the Hirshhorn's 2017 exhibition "The Message: New Media Works." CATHY CARVER/COURTESY ARTHUR JAFA AND GAVI N BROWN’S ENTERPRISE, NEW YORK/ ROME

Installation view of Arthur Jafa's Love Is the Message, The Message Is Death, 2016, in the Hirshhorn's 2017 exhibition "The Message: New Media Works." CATHY CARVER/COURTESY ARTHUR JAFA AND GAVI N BROWN’S ENTERPRISE, NEW YORK/ ROME

Il video ritmico e toccante dell’artista e cineasta afroamericano Arthur Jafa, “Love is the Message, The Message is Deth”, da stasera (26 giungno 2020 ore 20 qui) si potrà vedere in streaming per 48 ore. E’ la prima volta che succede, anche se l’opera è da tempo conservata in molti imporanti musei. Da domani inoltre sarà proiettata a Palazzo Grassi Punta della Dogana di Venezia.

Arthur Jafa, leone d’oro come miglior artista partecipante alla Biennale d’Arte di Venezia 2019 “May you Live in Interesting Times”, è conosciuto anche per essere direttore della fotografia nei film di Spike Lee e regista di molti video musicali. In una dichiarazione pubblicata sul sito della Tate ha detto: “Voglio fare cinema nero con il potere, la bellezza e l'alienazione della musica nera. Questo è il mio grande obiettivo "

“Love is the Message, The Message is Deth” del 2016, è un viaggio nella coscienza collettiva afroamericana, e di conseduenza nelle ragioni dei disordini di queste settimane, attraverso un collage di immagini provenienti da varie fonti (video youtube, riprese dell’artista stesso ecc.). L’opera segue il ritmo hip-hop del brano ispirato al Vangelo di Kanye West , “Ultralight Beam” e lo fa con un montaggio che è come una danza; mixando oggi e ieri, collettivo e personale, colore e bianco e nero.

L’opera, oltre ad essere visibile in streming sul sito di Palazzo Grassi Punta della Dogana di Venezia si potrà vedere anche nello spazio web di Dallas Museum of Art, Dallas, Texas ; Glenstone Museum, Potomac, Md. High Museum of Art, Atlanta, Ga.; Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington, DC; Museum of Contemporary Art, Los Angeles; Studio Museum in Harlem, New York, NY; Julia Collezione Stoschek, Berlino, Germania; Luma Arles, Arles, Francia; Luma Westbau, Zurigo, Svizzera ;Collezione Pinault, Parigi, Francia; Smithsonian American Art Museum, Washington, DC; Stedelijk Museum, Amsterdam, Paesi Bassi Tate, Londra. Tutti i musei coinvolti proietteranno anche la video installazione nei loro spazi fisici.

“Love is the Message, The Message is Deth” di Arthur Jafa dura 7 minuti. In basso ne allego un brano di bassa qualità trovata su Youtube, ma il sito di Palazzo Grassi Punta della Dogana ne avrà in streaming la versione completa e ad altadefinizione. Da vedere qui da stasera alle 20 fino a domenica alle 20.

Inoltre, alle ore 20 di sabato 27 giugno e di domenica 28 giugno, sarà possibile seguire online qui due tavole rotonde convocate dall'artista.

Dentro le stanze di “Treasures from the wreck of the unbelivable” la super-mostra di Damien Hirst a Palazzo Grassi. Tutte le foto

demon with bowl (exhibition enlargement)photo by prudence cuming associates | all images © damien hirst and science ltd. all rights reserved, DACS/SIAE 2017

demon with bowl (exhibition enlargement)
photo by prudence cuming associates | all images © damien hirst and science ltd. all rights reserved, DACS/SIAE 2017

A Palazzo Grassi va in scena il discusso e multi-milionario artista inglese Damien Hirst. Che abbandonate le provocazioni della gioventù mette in scena una fiaba, fatta di miti, scultura, corallo. E false opere d’arte dell’antichità.

La mostra, sviluppata da Hirst in 5mila metri quadri tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana, si intitola “Treasures from the wreck of the unbelivable” (“Tesori dal relitto dell’incredibile”) ed à composta da fotografia e qualche accenno video ma soprattutto da tanta scultura. La precarietà dell’installazione è quasi del tutto assente. Ci sono, invece, numerosi riferimenti alla produzione del passato di Damien Hirst, dall’uso di materiali preziosi, al sapore ossessivo degli armadietti dei medicinali (che qui si trasformano in vasi).

hydra and kali discovered by four diversphoto by christoph gerigk

hydra and kali discovered by four divers
photo by christoph gerigk

Per questa mostra Damien Hirst si immagina il viaggio epico di uno schiavo liberato Aulus Calidius Amotan (figura leggendaria nota per la sua vasta fortuna), in mare, verso il tempio del Dio Sole. La nave affonda, ma i suoi tesori sopravvivono ai secoli e vengono ripescati ai giorni nostri.
“Treasures from the wreck of the unbelivable” è l’esposizione filologica e in grande stile dei tesori ritrovati. Con tanto di video che documenta la missione subacquea e di fotografie della spedizione. Ovviamente oggetti e materiale documentario sono opera di Hirst.

aspect of katie ishtar ¥o-landiphoto by prudence cuming associates

aspect of katie ishtar ¥o-landi
photo by prudence cuming associates

Forse il titolo come prosa potrà lascia un po’ a desiderare ma la mostra si regge su un progetto che ammicca al grande pubblico e ha richiesto ben 10 anni per essere realizzato. Come ogni kolossal che si rispetti.

Se volete visitare “Treasures from the wreck of the unbelivable” avete tempo fino al 3 dicembre. Per seguire le opere di Damien Hirst potete, invece, scegliere tra il suo sito e i suoi account Facebook e Instagram.

skull of a cyclopsphoto by prudence cuming associates

skull of a cyclops
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sphinxphoto by prudence cuming associates

sphinx
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(da sinistra a destra) hydra and kali (due versioni), hydra and kali beneath the waves (photography christoph gerigk)photo by prudence cuming associates

(da sinistra a destra) hydra and kali (due versioni), hydra and kali beneath the waves (photography christoph gerigk)
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the severed head of medusaphoto by prudence cuming associates

the severed head of medusa
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a collection of vessels from the wreck of the unbelievablephoto by prudence cuming associates

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remnants of apollophoto by prudence cuming associates

remnants of apollo
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skull of a cyclops, skull of a cyclops examined by a diver (photography christoph gerigk)photo by prudence cuming associates

skull of a cyclops, skull of a cyclops examined by a diver (photography christoph gerigk)
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the sadness
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pair of masks (sinistra), sphinx (destra)photo by prudence cuming associates

pair of masks (sinistra), sphinx (destra)
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