Furti, falsi, dubbie attribuzioni: è l’altra metà dell’arte, quella oscura. Ma tutto questo non vale, per l’arte digitale. Almeno quella certificata in NFT (cioè la cripotarte). Che non si può rubare ne falsificare come un dipinto, anche se riprodotta milioni di volte. Come se avesse delle impronte digitali o ancora meglio un dna. Una caratteristica che l’ha resa una forma di investimento sicuro e che ha fatto macinare record d’asta ad opere poco conosciute, tramutando in star i loro autori
“Let’s Get Digital- ha detto Arturo Galsino direttore di Palazzo Strozzi e dell'omonima Fondazione- rappresenta una delle prime e più importanti mostre dedicate alla rivoluzione NFT mai realizzate da una istituzione culturale del nostro paese e si pone l’obiettivo di avvicinare il grande pubblicoa opere e temi che stanno trasformando in maniera radicale il nostro rapporto con l’arte, e con il mondo digitale nel suo complesso. Nell’ambito del programma Palazzo Strozzi Future Art con la Fondazione Hillary Merkus Recordati, questa mostra si pone come un ulteriore tassello di sperimentazione e visione sull’arte del presente".
L’esposizione si affianca a quella di Donatello (per ricordare che il passato è vivo solo attraverso il presente e la prospettiva di un futuro). Ed è a misura di grande pubblico, fornendo sia un modo veloce e piacevole per apprendere l’abc di un fenomeno nuovo (con tanto di glossario), che lo spazio per approfondimenti (c’è una biblioteca sull’argomento).
Partendo, appunto, dalla definizione di NFT: "Acronimo per Non-Fungible Token, gettone non fungibile/riproducibile, un NFT è un video, un’immagine o un qualunque contenuto digitale che viene certificato (o in gergo “mintato”, coniato) attraverso la blockchain. Letteralmente una catena di blocchi, questa tecnologia rende i file crittografati, non modificabili e registrati in un archivio che garantisce a un file di essere visualizzato da tutti ma posseduto solo da un singolo individuo o, per meglio dire, da un singolo wallet, un indirizzo identificativo ma anonimo".
Il pezzo forte di “Let’s Get Digital! è la grande opera di Refik Anadol "Machine Hallucination - Renaissance Dreams". Realizzata appositamente per il cortile di Palazzo Strozzi dall’artista turco-statunitense, è alta 9 metri e larga sei. L’enorme monitor, tuttavia, sembra privo di una forma fisica chiara: a volte appare un semplice schermo altre dà l’impressione di essere concavo. Su di lui masse di colore si agitano come onde, si fondono e scontrano impetuose. Sono i colori di tutte le opere del Rinascimento che Anadol ha dato in pasto a una macchina . E il lavoro non è nient’altro che quello che lei vede se le si chiede di visualizzarli tutti insieme.
La grande opera d’arte pubblica (accessibile a tutti gratuitamente com’è tradizione di Palazzo Strozzi in occasione delle sue mostre contemporanee) introduce al percorso pensato per gli spazi della Strozzina (che poi sono i sotterranei dell’edificio rinascimentale).
Lì ci sono le opere, decisamente molto pop e spesso fastidiosamente caricaturali, di chi la rivoluzione degli NFT l’ha fatta esplodere diventandone l’indiscusso protagonista. Lo statunitense Mike Winkelmann, in arte Beeple, infatti, grazie al suo collage digitale "Everydays: the First 5000 Days" (in mostra), ha guadagnato 69,3 milioni di dollari diventando d'un giorno all'altro l'artista più quotato al mondo dopo David Hockney e Jeff Koons (anche lui recentemente protagonista di una mostra a Palazzo Strozzi).
Ma anche il busto del Louvre proveniente dalla Collezione Borghese che si forma ed erode continuamente dello statunitense Daniel Arsham. Dietro di lui le stagioni cambiano, in omaggio alla ciclicità orientale e a un gusto per la bellezza senza tempo, che Arsham affianca sempre alle sue opere legate a un concetto di futuro di ineluttabile scomparsa e solitudine (anche la scultura protagonista di quest’opera è programmata per scomparire del tutto nel corso di mille anni).
Poi la quotidianità sospesa e poetica dell’argentino Andrés Reisinger, le atmosfere, allo stesso tempo rilassanti e distopiche, della casa su marte immaginata dall’unica donna del gruppo: la canadese Krista Kim. E gli ibridi ingenuo-nostalgici tra macchine e natura del collettivo italiano Anyma (Matteo Milleri e Alessio De Vecchi).
“Let’s Get Digital!” non è una grande mostra (non come quella che dal 22 settembre Palazzo Strozzi dedicherà a Olafur Eliasson e che occuperà gran parte del museo) ma ha il pregio di condensare opere importanti e in modo molto diverso profondamente rappresentative della rivoluzione NFT. Curata da Arturo Galansino è co-curata da Serena Tabacchi (Direttrice del MoCDA, Museo d’arte digitale contemporanea), si potrà visitare fino al 31 luglio.