A Milano la fotografia surreale e teatrale di Yelena Yemchuck

Yelena Yemchuck, Guinevere #18, 2018 Courtesy l’artista

Se esiste un risvolto positivo della guerra in Ucraina, è di sicuro la grande visibilità dedicata negli ultimi tempi agli artisti provenienti dall’ ex paese dell’ Unione Sovietica (soprattutto in Europa). Tra questi anche la fotografa, pittrice e regista,Yelena Yemchuck, che è attualmente in mostra nel concept store milanese dello stilista Antonio Marras. L’esposizione si intotola “Characters” e vorrebbe tratteggiare l’universo di personaggi che popola l’immaginazione di Yemchuck attraverso dipinti e foto.

Yelena Yemchuck è originaria di Kiev ma fin dall’adolescenza vive a Brooklyn (New York). Anche adesso, piuttosto nota, sposata con l’attore Ebon Moss-Bachrach e madre di due figli, non ha cambiato ne quartiere ne città. Il corpo principale del suo lavoro è costituito dalla fotografia di moda, anche se è molto conosciuta in particolare per la collaborazione (in qualità di regista, direttore della fotografia ecc.) per il gruppo rock alternativo statunitense, Smashing Pumpkins.

A Milano ci sono due serie di lavori, la recente YYY Depart Pour L’image, (2022) e Ten Years After (2006) nata dalla collaborazione (appunto) con Antonio Marras. Tutte le opere sono permeate da un’atmosfera surreale. Le fotografie, spesso teatrali, curate nei minimi particolari, in cui Yemchuck dimostra la straordinaria abilità (la sua passione per quest’arte nasce a 14 anni, quando il padre le regala la prima macchina fotografica), sono giustapposte con altre diverse nello stile, che sottolineano l’indole narrativa delle immagini.

Si tratta di racconti aperti. L’atmosfera è quella di una favola nera, enigmatica, surreale. Anche se i costanti riferimenti a violenza e sesso, che si ritrovano in diverse fotografie e in moltissimi dipinti, la rendono decidamente scabrosa, per quanto bella e patinata possa apparire.

La mostra Characters di Yelena Yemchuk è stata inaugurata al Nonostante Maras in occasione del Photo Vogue Festival 2022 (che si è tenuto a Milano tra il 17 e il 20 novembre), ma proseguirà fino all’8 gennaio 2023.

ATTENZIONE: L’esposizione è inadatta ai bambini.

Yelena Yemchuck, Flowers, Kyiv, 2019 Courtesy l’artist

Yelena Yemchuck, Warrior Girls #2, 2020 Courtesy l’artista

Yelena Yemchuck, Hands, Puglia, 2018 Courtesy l’artista

Yelena Yemchuck, Mykolaiv, 2019 Courtesy l’artista

Yelena Yemchuck, 120, Rue de la Gare, 2017 Courtesy l’artista

Yelena Yemchuck, Somewhere I Don’t Know Where, 2001 Courtesy l’artista

Yelena Yemchuck, ana and Triss, 2019 Courtesy l’artista

Yelena Yemchuck, Mirabelle Bloody Nose, 2018 Courtesy l’artista

La pittura malinconica e surreale dell'afroamericano Noah Davis vola in asta

Noah Davis, The Conductor, 2014 Oil on canvas 175.3 × 193 cm The Estate of Noah Davis All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Scomparso nel 2015 a soli 32 anni, il pittore afroamericano Noah Davis, in mostra a Venezia durante gli ultimi giorni d’apertura della 59. Esposizione Internazionale d’Arte- Il latte dei sogni, è stato uno dei protagonisti dell’asta tenutasi da Christie’s a New York la settimana scorsa. Il suo olio su tela, Congo #7, infatti, è stato aggiudicto per un milione e mezzo di dollari, superando la stima massima attribuitagli di 300 mila dollari. D’altra parte, tutti gli afroamericani sono andati a gonfie vele, con la nigeriana che vive a Los Angeles, Njideka Akunyii Crosby, arrivata alla bella cifra di 4 milooni e 700 mila dollari per un dipinto.

Noah Davis, figlio di un avvocato ed una educatrice, cominciò a dipingere con impegno fin dalla prima adolescenza, tanto che pare avesse già uno studio a soli 17 anni. Nel 2012, insieme alla moglie, la scultrice Karon Davis e al fratello Kahlil Joseph (artista a sua volta), ha fondato l’Underground Museum, nel quartiere storicamente popolare afroamericano e latinoamericano di Arlington Heights, a Los Angeles. L’idea era di portare l’arte dei musei ad una comunità che, in linea di massima, nei musei non metteva piede. Davis tuttavia, colpito da una rara forma di tumore ai tessuti molli, morirà solo tre anni dopo, senza avere il tempo di apprezzare i risultati del suo progetto.

Il successo della sua opera ha fatto, invece, in tempo a intravederlo. Sfumato forse, come una delle figure al centro dei suoi dipinti. Sempre sospese, tra realtà, ricordi e universi onirici.

"Richiamando- scrive di lui Ian Wallace sul sito della Biennale di Venezia- una generazione precedente di artisti americani, come Fairfield Porter, Jacob Lawrence e Palmer Hayden, la sua opera è parimenti influenzata dalla figurazione di Marlene Dumas e Luc Tuymans".

Ma il lavoro di Noah Davis, ricorda anche altri artisti. Per esempio, Francis Bacon, di cui però gli manca la rabbia lacerante. Al centro della pittura di Davis spesso ci sono momenti atemporali, sospesi. L’inquietudine può far sentire il suo respiro ma non è mai al centro dell’istante ritratto o della storia tratteggita. Spesso c’è anche un soffio di amara ironia, come in: 40 Acres and a Unicorn (2007). Il titolo si riferisce ai “quaranta acri e un mulo” che si diceva sarebbero stati dati alle famiglie degli schiavi liberati alla fine della Guerra civile americana. "con l’ironia del Realismo Magico, evoca l’amara delusione di fronte agli sforzi del governo statunitense volti a fornire manodopera salariata alle piantagioni piuttosto che ai diritto dei neri".

Più spesso però, nelle sue storie, inumidite di malinconia o ferite dai toni scuri della tavolozza, a colpire è l’atmosfera surreale. Come quando, in Isis, la moglie di Davis, vestita con un costume dorato, con ai lati due grandi ventagli simili ad ali, si trasforma nella dea egizia della magia. O in The Conductor, un uomo in smoking. in ecquilibrio su una sedia, dirige un’orchestra invisibile. Nulla di tutto ciò in Congo #7, dove i pensieri dei tre giovani protagonisti riempiono la scena, retta da una composizione rigorosa e da una tavolozza dai pochi colori ma studiata con attenzione.

Le atmosfere surreali della pittura solida e ricercata di Noah Davis, si potranno vedere all’Arsenale, fino alla conclusione della Biennale di Venezia (il 27 novembre), ormai arrivata al rush finale.

Noah Davis « Congo #7» (particolare). Immagine: screenshot da video

Noah Davis, The Future’s Future, 2010 Oil on canvas 152.4 × 188 cm Private Collection All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Noah Davis, Installation view. All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Noah Davis, Installation view. All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

L'universo scultoreo ingannevole e minimal di Alicja Kwade, che da il meglio nel paesaggio

Alicja Kwade: Big Be-Hide 2019 ©Maija Toivanen/HAM/Helsinki Biennial 2021

Il lavoro dell’artista di origini polacche ma tedesca d’adozione, Alicja Kwade, esplora la nostra percezione dello spazio e del tempo. Riflettendo sull’argomento sia in termini scientifici che filosofici. In altre parole, Kwade, si pone domande vecchie come il mondo con un indole insospettabilmente dissidete. Partendo da assiomi scientifici assodati, lei manipola, distorce, e lo fa con leggererezza. Solo un pochino. Con un vocabolario di forme semplici e pulite (sfere che alludono al cosmo, finestre di metallo che aprono a punti di vista diversi). Elegante e minimale, quasi austero. Ma surreale e capace di dare il suo meglio una volta a contatto con il paesaggio.

Sono affascinata dai confini tra scienza e sospetto- da detto in un'intervista tempo fa- Tutti i punti nel messo. Il signor Houdini è uno dei miei più grandi eroi

In effetti Kwade è un’illusionista della scultura. E la cosa strana è che riesce a manipolare lo spazio con poco. Magari delle finestre di metallo e, tutt’al più, una o due superfici specchianti. E chi guarda si ritrova a perdere i punti di riferimento. O sfere di marmo che sembrano pianeti. E ovviamente i pianeti non dovrebbero starsene placidamente distesi accanto al mare o nel giadino di un museo.

Sto cercando di intuire quale potrebbe essere la struttura della realtà- ha spiegato nella stessa intervista- Voglio dire, viviamo su una palla che vola in giro. È pazzesco . Immaginando questo, tutto è possibile. Perché comunque non possiamo capirlo. Siamo solo animali, il nostro cervello è troppo piccolo."

Sarà anche per questa oggettiva impossibilità di dare una risposta alle domande poste dalle opere, che il suo lavoro è piuttosto ermetico. Alicja Kwade, spesso, a un primo sguardo ti lascia a contemplarlo con un punto interrogativo in entrambi gli occhi. E’ una volta scoperta la chiave d’ingresso che cominci a divertirti. Perchè il suo universo è sempre pervaso dal brio del pensiero critico e da un filo d’ironia. Magari ben nascosta, ma sempre presente. E poi, Kwade, non è certo avida di mondi da scoprire. Anzi, spesso, raddoppia le forme, per ricordarci la teoria secondo la quale esisterebbero diverse dimensioni temporali sovrapposte (e quindi altrettante concatenazioni di eventi diversi).

Irresistibilmente attratta dallo scorrere del tempo (sia come fenomeno fisico, che come umana convenzione), ha nel suo studio di Berlino, orologi con tutti i fusi orari del mondo. Invece a Central Park, nel 2015, ha installato un grande orologio con le lancette che giravano al contrario (Against the Run). A volte però, l’artista, si pone anche domande meno profondamente coinvolgenti. Come: chi e cosa determina il valore delle cose? (ha persino fatto tagliare delle pietre da un gioielliere come fossero diamanti).

Alicja Kwade, ha recentemente partecipato a Desert X AlUla 2022 e lo scorso anno è stata ospite della Biennale di Helsinki. Durante questa manifestazione, resa molto suggestiva dalla bellezza selvaggia della natura dell’isola di Vallisaari, nell’arcipelago di Helsinki (la prossima si terrà dal 12 giugno al 18 settembre 2023 e verrà curata da Joasia Krysa), l’artista ha giocato con la tessitura ricca del paesaggio ma soprattutto con la mutevole e sfuggente forza attrattiva dell’orizzonte. Tra le opere presentate in quell’occasione, Pars per Totò (otto globi fatti di marmi provenienti dai diversi continenti), di cui una versione è stata esposta alla Biennnale di Venezia nel 2017. Attualmente, un ciondolo in oro disegnato da lei è in vendita online e il ricavato sarà interamente devoluto a favore dei bambini abbandonanti in Benin.

Alicja Kwade, In Blur, installation view, Desert X AlUla 2022, Courtesy the artist and Desert X AlUla photo by Lace Gerber

Alicja Kwade: Pars pro Toto, 2018 ©Maija Toivanen/HAM/Helsinki Biennial 2021