L’artista Sigurður Guðjónsson, con la mostra “Perpetual Motion”, per la 59esima Esposizione internazionale d’Arte- La Biennale di Venezia, presenta un Padiglione Islanda completamente diverso da quello accogliente e psichedelico immaginato da Shoplifter nel 2019. Il suo è uno spazio minimale e meditativo, sottilmente poetico, in bilico tra realismo (sarebbe anzi meglio dire iperrealismo) e astrazione. Ma non meno visivamente appagante.
D’altra parte è la prima volta che il piccolo paese insulare nord europeo presenta la sua installazione nei visitatissimi spazi dell’Arsenale (nelle due edizioni precedenti della manifestazione, per esempio, aveva avuto sede alla Giudecca). E probabilmente ci tiene a dare la migliore impressione possibile di se. Questo è un aspetto che riecheggia (e non è l’unico) uno dei leitmotiv della kermesse lagunare di quest’anno, che è una Biennale delle prime volte (per la prima volta curata da una donna italiana, per la prima volta le artiste superano gli artisti ecc.).
Guðjónsson, parte dalla porzione di un oggetto comune fino a pochi anni fa. Si potrebbe addirittura spingersi a definirlo un rifiuto. Si tratta, infatti, di un piccolo disco magnetico (prelevato da un vecchio altoparlante), con polvere di metallo sul bordo. Poi riprende quest'ultima. Ne fa un primo piano più che ravvicinato mentre ruota. Rendendo possibile all’occhio umano vedere il materiale e il suo movimento perpetuo (di qui il titolo “Perpetul Motion”) attratto dal campo magnetico. Il video dura 45 minuti e non è stato tagliato ma naturalmente al visitatore non è richiesto che qualche minuto della propria attenzione.
Ispirato dai soffitti alti dello spazio espositivo, l’artista di Reykjavík, ha deciso di sviluppare l’opera su uno schermo alto sei metri a parete, che sembra specchiarsi in uno a pavimento. Non sono state posizionate sedute perchè chi osserva si senta libero di muoversi e sostare nella penombra del padiglione il tempo che ritiene necessario. Guðjónsson, dice persino che il visitatore può interpretare il lavoro come una scultura, o una sorta di dipinto in movimento.
In effetti, l’opera nel suo scorrere lento e mutevole, non è solo ricca di forme che di volta in volta evocano paesaggi ultraterreni, semplici pattern decorativi, formazioni rocciose, forme vegetali e quant’altro, ma anche di colori e giochi di luce. A Sigurður Guðjónsson piaceva l’idea che qualcosa di tangibile, pur senza essere in alcun modo rimaneggiato, diventasse alieno. Spingendoci contemporaneamente a riflettere sulla visione limitata e distorta della realtà che riceviamo dai nostri sensi e a meravigliarci di nuovo di fronte ad essa.
"Sono orgoglioso- ha detto- di presentare Perpetual Motion al Padiglione Islandese. L’opera è concepita come uno spettacolo ai confini fra realtà e finzione, mostrando qualcosa che è reale ma ci sfugge in quanto oltre i nostri campi percettivi. La mia speranza è di offrire ai visitatori un’esperienza poetica e multisensoriale della materialità, che unisce ampiezza, luce, dimensioni e movimento, usando il suono e il video per trasformare lo spazio in modo scultoreo."
L’Islanda, nonostante la ridottissima popolazione (366 700 abitanti nel 2020), ha un panorama musicale molto vivace e stimato. Guðjónsson, che collabora sempre con compositori contemporanei, in quest’opera ha dato particolare importanza al suono. La colonna sonora di Perpetual Motion, infatti, definita "viscerale" dai commenti ufficiali alla mostra, è stata creata dall'artista insieme al musicista islandese Valgeir Sigurðsson, e sovrappone suoni elettromagnetici manipolati attraverso sintesi granulare. Creando in sostanza una sorta di epidermide sonora alle immagini. Che non le distorce ma le completa. E le rende ancora più poetiche.