'Gharfa' di Edoardo Tresoldi sembra un castello, in cui vuoti e pieni, pesantezza e leggerezza, luce e ombra, si rincorrono. Il risultato coniuga la potenza maestosa di un edificio fortificato con l’effimero fascino di un accampamento. E pensare che è fatto soltanto di rete metallica e sughero.
'Gharfa' di Edoardo Tresoldi è un padiglione ideato per far vivere esperienze, all’interno del progetto creativo temporaneo “Diriyah Oasis”, (progettato e curato dallo studio di Dubai Designlab Experience a Diriyah) nella capitale saudita Riyadh. Firmato da Studio Studio Studio, di cui Tresoldi è direttore artistico, è frutto della collaborazione tra l’artista milanese, lo street artist Alberonero, il musicista Max Magaldi e il green designer Matteo Foschi.
La struttura architettonica di Tresoldi, tuttavia, fa la parte del leone. Si tratta di un vero e proprio edificio dai tratti possenti che riecheggiano i palazzi del At-Turaif District (sito storico patrimonio UNESCO, al centro di un piano di sviluppo che prevede l’apertura di musei e istituzioni culturali) che sorge non lontano dal padiglione. I muri sono a tratti pieni di sughero, interrompendo il rapporto senza soluzione di continuità con l’esterno ma creando anche intimità e vere e proprie stanze
Ed è proprio grazie a queste pareti che 'Gharfa' diventa spazio espositivo. Al centro, infatti, c’è un’installazione video che fa ardere un fuoco virtuale nel cuore dell’edificio. Ma basta spostarsi per incontrare delle effimere nuvole artificiali che fanno da contraltare al tappeto (elemento iconico della cultura araba). Poi c’è l’installazione, ispirata alle decorazioni mediorientali, di Edoardo Tresoldi e Matteo Foschi realizzata con piante e materiali industriali. A Max Magaldi è stato affidato, invece, il commento sonoro. All’esterno, ‘Duna’ di Alberonero, cinge il castello con un drappo di tessuto semitrasparente: "rappresenta il simbolo di un orizzonte bianco e percorso nel vuoto. Una soglia tra visibile e invisibile".
In generale padiglione 'Gharfa' di Edoardo Tresoldi a Riyadh fa tesoro dell’esperienza di Simbiosi ad Artesella e si discosta dall’opera creata, per esempio, ad Abu Dhabi e in genere a tutta la sua produzione precedente, proprio per l’uso del sughero che, quando necessario, interrompe la fusione dell’architettura con l’ambiente.
Così l’artista ha spiegato l’opera: “Ogni elemento di Gharfa vive di vita propria ma è pensato all’interno di una composizione orchestrale che interpreta le contaminazioni culturali come patrimonio da cui nascon i linguaggi del domani.”