Conosciuta per i suoi “trapuntos”, opere d’arte concepite per essere trasportate in cui i confini tra pittura e quilting si fondono, l’artista filippino-americana, Pacita Abad, dopo essere stata a lungo dimenticata, sta conoscendo una crescente fama postuma. Non solo le sue quotazioni nelle aste di Sotherby’s e Christi’s in Asia, da qualche anno a questa parte, superano le attese, ma Abad, dopo essere stata protagonista lo scorso anno di un’importante retrospettiva al Walker Art Center di Minneapolis (in Minnesota), verrà celebrata dal MoMA PS1 di New York, mentre Adriano Pedrosa ha incluso il suo lavoro in “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere” la 60esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Del resto già nel 2020 Google l’aveva commemorata con uno dei suoi Doodles.
Non che, Pacita Abad, nata nel ’46 nelle isole Batanes al nord delle Filippine da una famiglia di politici Ivatan (un gruppo etno-linguistico specifico della zona e diverso rispetto al resto del Paese) e in seguito diventata cittadina degli Stati Uniti, in vita sia stata completamente ignorata. Ha fatto anzi mostre in tutto il mondo ed è stata la prima donna ad aggiudicarsi un importante premio assegnato agli artisti nelle Filippine (il TOYM Award), Tuttavia la fama vera non è mai arrivata e dopo la prematura morte (è mancata nel 2004, a soli 58 anni, per un tumore ai polmoni) l’artista fu dimenticata. Eppure Abad, che ha lasciato ben 4mila e 500 opere, per lo più di grandi dimensioni, non ha mai smesso di sperimentare. I “trapuntos”, che lei creava imbottendo e trapuntando la tela (anziché fissarla ad un telaio) per poi dipingerla con colori vivaci e accostamenti cromatici allegri, oltre a inserire perline, paillettes, conchiglie, elementi di bigiotteria e sovrapporre tessuti, sono le sue opere più note, ma l’artista ha spaziato dall’uso della carta alla lavorazione della ceramica e del vetro, fino ai costumi. A Singapore c’è persino un ponte da lei dipinto.
Abad, che immediatamente dopo il suo arrivo negli Stati Uniti (nel ’71) è stata sposata per un breve periodo con il pittore George Kleinmen (il suo lavoro in qualche modo risentirà anche di questo rapporto) si sarebbe presto legata all’economista dello sviluppo, Jack Garrity, e, insieme a lui, avrebbe viaggiato e vissuto in 60 Paesi nel mondo, incorporando nella sua pratica artistica quello che, di volta in volta, imparava dalle popolazioni locali. Tra le altre cose: ricami a specchio del Rajasthan, ornamenti di conchiglie di ciprea papuasi, pittura coreana con pennello a inchiostro e batik indonesiano.
Uno sforzo che non poteva portarle, però, il riconoscimento del mondo dell’arte: "In un certo senso- ha detto Garrity a New York Times lo scorso anno- era come una corrispondente estera, che diceva alla gente, questo è quello che sta succedendo in questi posti". Lei la chiamava “vita ai margini”. Niente di più distante dal gusto dell’epoca in occidente che tra gli anni ’80 e ’90 disdegnava il ricamo ed era dominato da un’estetica minimale.
Quando le chiesero cosa il suo lavoro avesse portato agli Stati Uniti, rispose: “Il colore”. E sono proprio i colori (tanti, pulsanti e tropicali), concentrati nelle grandi composizioni insieme a una moltitudine di segni diversi, il filo conduttore della sua produzione, che altrimenti spazia senza scomporsi dalla figurazione all’astrattismo, dalle profondità sottomarine animati da pesci e coralli ai volti dei migranti, da ammassi di frutti variopinti alle maschere rituali, da composizioni fatte da migliaia di punti, o pennellate similia a liane, a divinità dall’incerta origine.
La sua pratica artistica onnivora e innovativa ha fatto nascere la leggenda che Abad fosse una professionista ingenua, quasi un’autodidatta sotto acculturata. In realtà, si era laureata in scienze politiche nelle Filippine dove aveva cominciato anche giurisprudenza, sia suo padre che sua madre avevano ricoperto ruoli politici importanti (la sua famiglia si era presto trasferita a Manila), una volta negli Stati Uniti aveva conseguito un master in storia asiatica e le era anche stata offerta una borsa di studio per il corso di legge a Berkeley. Quando poi aveva deciso di dedicarsi all’arte a tempo pieno aveva preso lezioni di pittura sia alla Corcoran School of Art che alla Art Students League di New York. Ma è vero pure, che Abad, in ogni viaggio che compiva, si faceva insegnare tecniche artistiche ed artigiane tradizionali dalla gente del luogo oltre ad apprendere tratti della cultura locale.