I Pilastri della Creazione in una foto senza precedenti del telescopio Webb della Nasa

All images courtesy of NASA, ESA, CSA, STScI; Joseph DePasquale (STScI), Anton M. Koekemoer (STScI), Alyssa Pagan (STScI)

Il Telescopio Spaziale James Webb è il principale osservatorio mondiale di scienze spaziali e ha recentemente scattato una fotografia senza precedenti dei cosidetti Pilastri della Creazione. Il progetto, che fa capo alla Nasa ma che la vede in collaborazione all'Agenzia spaziale europea (ESA) e all'Agenzia spaziale canadese (CSA), promette di capire meglio come si formano le stelle.

I Pilastri della Creazione sono appunto dense nubi di gas e polveri all’interno delle quali si formano nuove stelle. Nel 1995 l’allora telescopio spaziale più evoluto, Hubble, li fotografò una prima volta. E l’immagine, considerata iconica ancora oggi, fornì moltissime nuove informazioni agli scienziati. Nonostante i colori, la definizione e il dettaglio non avessero niente a che vedere con la nuova versione. Che dai suoi 122 megapixel di peso può ben dirsi uno scatto senza precedenti.

La fotografia coglie la formazione di nuove stelle nella Nebulosa Aquila, che si trova a 6.500 anni luce di distanza dalla Terra. "Ogni strumento avanzato- spiega il sito dell' l'agenzia spaziale statunitense- offre ai ricercatori nuovi dettagli su questa regione, che è praticamente traboccante di stelle."

Le stelle appena formate sono le sfere rosso vivo che si vedono all'esterno di uno dei pilastri di polveri.

"Quando i nodi con una massa sufficiente si formano all'interno dei pilastri di gas e polvere, iniziano a collassare per la loro stessa gravità, a riscaldarsi lentamente e alla fine a formare nuove stelle."

La fotografia, che si è avvalsa anche degli infrarossi, può illuderci di scorgere in lontananza distanze ancora maggiori. Ma non è così. Perchè come la Nasa ci spiega "La Via Lattea, blocca la nostra visione dell'universo più profondo."

Anche così la nuova immagine dei Pilastri della Creazione scattata dal Telescopio Spaziale James Webb, lascia a bocca aperta per la sua bellezza e ci consente di viaggiare fino ad altezze impensabili. Sul sito della Nasa è persino possibile scaricare la versione non compressa, a piena risoluzione, della fotografia.

La fotografia dell'800 in Svizzera, tra paesaggi ritratti e documentazione di eventi storici

Adolphe Braun, Il ghiacciaio del Rodano, 1864 Albumina ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv

Nel 1839 a Parigi nasce ufficialmente la Fotografia. Da quel momento in avanti la sua diffusione sarà rapida in tutto il vecchio e nuovo continente. E a contribuire in modo determiante a questo processo inarrestabile saranno i fotografi itineranti che con le loro pesanti macchine fotografiche si fermeranno anche nei più remoti villaggi, in pianura come in montagna, per scattare ritratti. Era il tempo dei dagherrotipi, sviluppati su lastra di rame, unici, e non riproducibili, da guardare da una determinata angolazione per cogliere l’immagine nella sua pienezza ma anche dotati di una nitidezza d’immagine e di una resa della realtà quasi tridimensionale.

E’ da quel periodo che prende le mosse la mostra “ Dal Vero Fotografia svizzera del XIX secolo” (curata da Martin Gasser e Sylvie Henguely), in corso al Museo d’arte della Svizzera italiana (MASI) di Lugano. L’esposizione, che raccoglie 400 fotografie provenienti da 60 collezioni pubbliche e private, è, infatti, un’indagine approfondita sulla fotografia nel paese d’oltralpe dalla sua comparsa fino all’ultimo decennio dell’800. Una cinquantina d’anni, imprevedibilmente ricchi di trasformazioni che le immagini documentano.

Considerati un’alternativa economica al ritratto pittorico, gli scatti fotografici, in poco tempo supporteranno l’industria turistica in espansione, contribuiranno a sviluppare un senso d’identià nella popolazione, congeleranno le scoperte scientifiche, la nascita di nuove infrastrutture e gli eventi storici.

“All’epoca, la gente non riusciva a capacitarsi che queste immagini erano vere e proprie riproduzioni della realtà e che l’artista non avesse modo di lustrarle o abbellirle a piacimento.” scriveva già nel 1865 la rivista di Berna “Illustrirter Volks-Novellist”. In poche parole le persone rimanevano spiazzate e spesso contrariate dall’impossibilità di alterare in qualche modo l’apparenza con la fotografia come si sarebbe fatto dipingendo. Ed è per questo che gli scambi tra foto e pittura nell’800 furono innumerevoli. Si coloravano e ornavano le stampe, si creavano degli sfondi (anche drettamente sul negativo) ma non solo: alcuni artisti producevano modelli fotografici per le proprie opere come promemoria o per evitare di dover realizzare schizzi dal vivo (è il caso per esempio del pittore e incisore svizzero Karl Stauffer-Bern).

La mostra è piuttosto esaustiva e arriva fino a delineare le origini delle foto segnaletiche o dei moderni documenti d’identità. “ Dal Vero Fotografia svizzera del XIX secolo” rimarrà al MASI di Lugano fino al 3 luglio 2022, dove è ancora in corso anche l’importante mostra dedicata a James Barnor.

Traugott Richard, Costume bernese, dalla serie «Costumes Suisses» 1883 c. Albumina, dipinta Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Francis Frith, La cascata di Staubbach nella valle di Lauterbrunnen, 1863 c. Albumina ETH-Bibliothek Zürich, Bildarchiv

Carl Taeschler-Signer, Soldati francesi internati nella chiesa di St.Mangen, San Gallo, 1871 Albumina Stadtarchiv der Ortsbürgergemeinde St. Gallen

Jean Geiser, Donna velata, Algeri, 1870 c. Albumina Thomas Walther Collection

Adolphe Braun, Costruzione della ferrovia del Gottardo, ingresso del tunnel a Airolo, 1881-1882 Albumina Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Gebrüder Taeschler, Ritratto di bambina, San Gallo, 1873 c. Stampa al carbone Collezione Fotostiftung Schweiz, Winterthur

Bulacher & Kling, Disastro ferroviario a M[ü]nchenstein, 1891 Albumina H. R. Gabathuler, Photobibliothek.ch, Diessenhofen

Anonimo, L’aspirante missionario David Asante 1862 c. Ambrotipia Archiv der Basler Mission

John Ruskin e John Hobbs, Il Cervino e il riflesso nel lago alpino. 8 agosto 1849 Dagherrotipo Courtesy of K & J Jacobson, UK

Gli scatti ingenui e spettacolari di Emile Rakotondrazaka, il padre della fotografia in bianco e nero del Madagascar

ÉCLIPSE SOLAIRE À ANTANANARIVO DU 21-06-2001 (photos prises toutes les 10 minutes, entre 16h et 17h)

Gli scatti del fotografo Emile Rakotondrazaka o Ramily, raccontano il Madagascar come una terra poetica ed atemporale. E lo fanno con la tecnologia della prima metà del secolo scorso (fotografia in bianco e nero stampata su carta al bario). Senza bizze: tra un paesaggio, un tramonto e un ritratto. Ma con una costruzione dell’immagine solida, che ne fanno una colonna portante nella ricerca contempomporanea del Paese insulare dell’Oceano Indiano.

Emile Rakotondrazaka nasce nel 1939 e dalla seconda metà degli anni ‘50 comincia ad appassionarsi e dedicarsi alla fotografia. Farà l’assistente di un fotografo itinerante girando nelle aree rurali a scattare foto-tessera per le carte d’identià. Dagli anni ‘60 in poi sarà uno dei primi proprietari di uno studio fotografico e tecnico della fotografia in Madagascar. Il suo lavoro raggiungerà la fama e la maturità tra gli anni ‘70 e gli anni ‘90 del secolo scorso. In particolar mondo in quel lasso di tempo, il suo laboratorio diventerà un punto di riferimento per le più eminenti personalità della cultura e della politica del Madagascar. Dai primi anni del nuovo millennio vivrà costretto su una sedia a rotelle ma morirà in tempi relativamente recenti (nel 2017).

Il suo soggetto preferito era il paesaggio. E il gusto con cui costruiva i suoi scatti, ingenui ma comunque spettacolari, è un mix di influssi, in cui l’Oriente è stranamente molto presente. Inutile dire che gli è suopravvissuto un grande archivio, composto da centinaia di paesaggi, stampe artisticamente lavorate, scatti di matrimoni in bianco e nero, ma anche eventi solenni e poesie.

Ramily è considerato il padre della fotografia in bianco e nero del Madagascar e la sua opera ha fortemente influenzato tutte le generazioni successive. Tra gli altri ha lavorato con Pierrot Men (anche lui malgascio, ma nato nel 1954). Adesso la sua opera è in mostra nella capitale del Madagascar, Antananarivo, nello spazio espositivo senza scopo di lucro, Hakanto Contemporary (ben 300 metri quadri), finanziato dall’amministratore delegato di Filatex (immobiliare ed energia pulita) e collezionista, Hasnaine Yavarhoussen.

Ma a volere dedicare questa retrospettiva- tributo al fotografo, Emile Rakotondrazaka, è stato il direttore: l’artista Joël Andrianomearisoa (conosciuto per aver rappresentato il Madagascar alla Biennale di Venezia 2019). L’esposizione si intitola RAMILY ILAY NANAO NY MARAINA (Ramily: The one who will reveal the day) e ne ripercorre l’intera carriera. Sarà visitabile dal 28 aprile fino al 31 luglio, anche se nel non proprio vicinissimo Paese insulare africano.

LES DEUX VISAGES DU LAC ANOSY.

LES AMOUREUX D’IHOROMBE (BESSA SY LOLA). 1998.

LES REFLETS DU COUCHER DE SOLEIL À SOAVINANDRIANA.

AUTOPORTRAIT

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