I quadri specchianti, “autoritratti del mondo”, in mostra a San Gimignano per celebrare i 90 anni di Michelangelo Pistoletto

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Emblema di certezza, presenza, identità, o al contrario di inquietudine, assenza, perdita e perfino orrore, lo specchio è una presenza quotidiana e un simbolo narrativo potente. In libri e film lo ritroviamo sempre in bilico tra verità e inganno. Non nell’arte di Michelangelo Pistoletto però, dove lo specchio, inteso non più in senso psicologico, ma principalmente filosofico e sociale, perde gran parte delle sue ambiguità, abbracciando i visitatori ma soprattutto lo spazio e il tempo. Riuscendo persino nell’impresa di contenere l’infinito

Michelangelo Pistoletto, sull’uso di supporti specchianti per una lunga serie di autoritratti e ritratti, che dall’inizio degli anni ’60 ci conduce fino ai giorni nostri, ha gettato le basi di tutta la sua poetica. Un racconto lungo sei decadi, che quest’anno si intreccia con il 90esimo compleanno dell’artista (nato nel luglio del’33 a Novara), e che gli è valso molti tributi. Tra questi una mostra nella sede di San Gimignano, sulle colline senesi, di Galleria Continua, dedicata proprio a “I Quadri Specchianti”.

La storia di questi ultimi, comincia nella seconda metà degli anni ’50, quando Michelangelo Olivero, che ancora aiutava il padre pittore (Ettore Olivero Pistoletto), nella bottega di restauro di famiglia, cerca di rivisitare il tema dell’autoritratto. Sperimenta varie tecniche. Dipinge se stesso in maniera sempre più anonima su fondo uniforme. Finchè nel ’61, dopo aver steso sulla tela un fondo nero e uno spesso strato di vernice si accorge di potervisi specchiare. Una vera epifania. Pistoletto nel corso di quell’anno si ritrarrà frontalmente, di schiena, seduto e in piedi, mentre il fondo catturerà avidamente tutta la vita dietro l’opera d’arte. Questi lavori verranno raggruppati nella serie intitolata semplicemente: “Presente”.

In questa prima fase, l’artista, oltre a rivisitare in maniera sempre più radicale il tema dell’autoritratto, si sofferma soprattutto sulla differenza che passa tra l’immagine immutabile della rappresentazione pittorica e quella in costante trasformazione della realtà. In altre parole la griglia rigorosa della prospettiva rinascimentale va in frantumi e il presente si appropria del quadro in tutta la sua imprevedibile concretezza.

Al di là del movimento dell’Arte Povera, di cui Pistoletto sarebbe diventato un esponente di spicco, l’uso di superfici riflettenti o di veri e propri specchi al posto della tela, tradisce la tensione tra i mezzi a disposizione dell’artista per catturare il presente e un cambiamento epocale dei costumi che di lì a poco avrebbe contribuito alle rivolte studentesche.

Ad ogni modo, Pistoletto non abbandonerà mai i quadri specchianti, rappresentandovi, di volta in volta, oggetti inanimati, gruppi di persone, animali. Nel corso del tempo, utilizzerà anche varie tecniche e materiali per realizzarli: acrilico, smalto plastico, oro, argento, carta velina dipinta su acciaio inox lucidato, fino alla serigrafia su acciaio inox super mirror. Metterà in successione gli specchi e li romperà anche:

La rottura dello specchio ha molte interpretazioni- ha detto intervistato da Marie-Laure Bernadac- La prima è dell'ordine della superstizione: l'idea che lo specchio rotto porti alla sfortuna è una paura sempre molto persistente, perché lo specchio è considerato dotato di potere magico. Quindi, rompendo lo specchio, rompo anche la superstizione. La seconda riguarda la realtà fisica dello specchio, rompo la sua consistenza materiale, ma allo stesso tempo moltiplico le immagini immateriali che accoglie. I frammenti sono tutti diversi, ma conservano tutti la riflessività dello specchio originale.”

Ma soprattutto la riflessione di Pistoletto sui quadri specchianti si farà serrata e sarà determinate per quello che verrà dopo (l’infinito e il terzo paradiso in cui la società civile attraverso l’arte costruisce una comunità nuova ed utopica). Perché nello specchio, secondo l’artista, coesistono presente, passato e futuro. L’esterno (all’opera d’arte) e l’interno si invertono. Non esiste più la distinzione tra opera e spettatore; ciò che quest’ultimo vede davanti a se lo vede anche dietro di se, ritrovandosi al centro di una doppia prospettiva. Il caso, l’incidente, il futile ma anche momenti tanto effimeri quanto importati, il naturale e l’artificiale, entrano tutti nell’opera spontaneamente, in modo totalmente democratico.

Infatti, dei quadri specchianti l’artista ha detto: “sono un autoritratto del mondo”.

Senza contare che, come molti hanno fatto notare, i quadri specchianti anticipano i selfies e l’arte instagrammabile, che avrebbe preso possesso dei musei nei giorni nostri.

Con tre lauree honoris causa (attribuitigli da vari atenei), un Premio Imperiale del Giappone e un Leone d’oro alla carriera della Biennale di Venezia, Michelangelo Pistoletto, è uno degli artisti italiani più rappresentativi a livello internazionale. Le sue opere sono conservate in tante importanti collezioni, in Italia e nel mondo. Tra le altre, quelle: del Musée du Louvre di Parigi, del Museo Reina Sofia di Madrid, del Centre Georges Pompidou di Parigi, della Tate Modern di Londra, del MoMa e del Guggenheim di New York.

In occasione dei suoi 90 anni (per altro portati benissimo) sia Palazzo Reale di Milano (“Michelangelo Pistoletto. La Pace Preventiva”) che il Chiostro del Bramante di Roma (“Michelangelo Pistoletto. Infinity. L’arte contemporanea senza limiti”, in corso, fino al 15 ottobre 2023) gli hanno dedicato una mostra.

Galleria Continua, che lo rappresenta, ha fatto di più e si è inventata un progetto intercontinentale “teso a mettere in luce l’arte di Pistoletto in ogni sua declinazione, dalla genesi a oggi”, che si articola tra le varie sedi della galleria in giro per il mondo. Così, se il 27 maggio la sede di San Gimignano della galleria ha inaugurato “I Quadri Specchianti”, proprio mentre quella di Cuba metteva in scena “Amar las diferencias”, e pochi giorni dopo apriva a Les Moulins (Francia) “60 ans d’identités et d’altérités”, devono ancora cominciare: “Color and Light” (dal 22 giugno al Saint Regis di Roma), “Segno Arte” (dal 23 giugno nella sede di Parigi), “Il Caso” (a San Paolo del Brasile dal 28 ottobre), “Il tempo del giudizio” (dal 18 novembre nella sede di Dubai negli Emirati Arabi) e “QR code possession” (dal 15 novembre a Beijing in Cina).

I quadri specchianti in mostra a San Gimignano sono numerosi e tratteggiano l’intero percorso dell’artista, dagli anni ’50 ad oggi, alcuni sono davvero emblematici, e si concludono con “Qr Code Possession – Autoritratto”. Un’opera del 2022, in cui l’artista appare con la fronte, le braccia e il petto, ricoperti di tatuaggi, ognuno dei quali rappresenta un codice a barre con all’interno un piccolo simbolo del Terzo Paradiso. I codici, una volta scansionati, portano l’utente a una serie di materiali e video online (ci sono conferenze, testi e performances). Chiaramente qui l’artista utilizza la tecnologia per veicolare il proprio messaggio ma anche per meglio definire la propria identità ed il proprio ruolo pubblico, con una punta di autoironia (rara nel suo lavoro). Riferendosi all’opera ha detto: il tatuaggio è “(…) un antico metodo di comunicazione che utilizzo oggi come mezzo di comunicazione artistico-tecnologico. L’autoritratto trasmette la mia identità ma anche quella della società contemporanea all’interno del quadro dell’infinito che può essere trovato in un Quadro specchiante”.

La mostra “I Quadri Specchianti” di Michelangelo Pistoletto resterà nella sede di San Gimignano di Galleria Continua fino al 10 settembre 2023. Le altre esposizioni, organizzate per festeggiare i 90 anni dell’artista di Novara in giro per il mondo, si protrarranno, a staffetta, per circa tutto l’anno.

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Michelangelo Pistoletto, I Quadri Specchianti; vedute della mostra Galleria Continua, San Gimignano Photo by: Ela Bialkowska OKNO Studio Courtesy: the artist and GALLERIA CONTINUA

Come un labirinto, l’arte ingannevole e stupefacente di Leandro Erlich a Palazzo Reale di Milano:

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Nella penombra che avvolge le sale della reggia milanese, i faretti che illuminano le nuvole intrappolate in una serie di composte teche da Leandro Erlich, sembrano strapparle per un momento ad una vita propria, mutevole e pigramente movimentata. Paiono immobili per strategia, più che per necessità. Tant’è vero che se lo sguardo si sofferma su di loro troppo a lungo, si potrebbe giurare di averle viste trasformarsi, abbandonarsi a un moto delicato e continuo. Eppure sono solo disegnate (in grandezze diverse), su lastre di vetro trasparenti, sovrapposte tra loro. Geometricamente ricomposte, certo, ma pur sempre sezionate.

Le nuvole nelle teche di Erlich - Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Inganni percettivi che riempiono di meraviglia e sono una cifra distintiva dell’opera dell’artista argentino, Leandro Erlich, protagonista dell’importante mostra antologica “Oltre la Soglia” a Palazzo Reale di Milano. La prima con tante opere, così rappresentative, concentrate in un’unica sede, dedicatagli non solo in Italia ma in Europa. Esposizione, che ha richiesto un mese intero di lavoro, per la sola installazione delle sculture negli spazi dello storico edificio che sorge accanto al Duomo.

Ci sono opere degli anni ’90 insieme a lavori più recenti, alcune decisamente importanti, che tratteggiano una poetica che porta lo stupefacente nel cuore della quotidianità, che tramuta in straordinario l’ordinario. Ma Erlich fa di più: insinua il dubbio nelle minute certezze della vita d’ogni giorno. E rende il pubblico parte integrante ed elemento fondamentale dell’opera d’arte.

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Nato a Buenos Aires nel 1973, Leandro Erlich è stato un enfant prodige dell’arte contemporanea (la prima mostra la fa a 18 anni al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires). Dopo un periodo di studi conclusosi negli Stati Uniti, Erlich, ha già sviluppato alcune delle sue opere distintive. E nel 2001 rappresenta l’Argentina alla 49esima Biennale di Venezia con l’installazione “Swimming Pool”. La stessa che nel 2008 esporrà al MOMAPS1 di New York. Adesso vive tra Parigi, Buenos Aires e Montevideo, è un uomo magro e quasi sempre sorridente, che parla tra l’altro un perfetto italiano, segno dei costanti e ripetuti rapporti intrattenuti con l’Italia negli anni (è rappresentato dall’ormai internazionale Galleria Continua nata a San Gimignano, nei colli senesi, dove conserva tutt’ora la sua sede principale) e che si descrive così:

Mi piace presentarmi come un artista concettuale che lavora nel regno del reale e della percezione. Il mio soggetto è la realtà, i simboli e il potenziale di significato. Mi impegno a creare un corpo di opere - soprattutto nella sfera pubblica - che si apra all'immaginazione, sovverta la normalità, ripensi la rappresentazione e proponga azioni che costruiscano e decostruiscano situazioni per sconvolgere la realtà. Parlando in generale”.

Lost Garden, il giardino interno apparentemente a pianta quadrata con 4 finestre, che si scopre averne due ed essere triangolare- Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Erlich viene da una famiglia di architetti, professione a cui sembrava predestinato e che senz’altro avrebbe intrapreso, se non avesse nutrito una così intensa passione per l’arte. Un elemento della biografia di cui si ritrovano le tracce in tutta la sua opera. Che è fondamentalmente urbana. Fatta di ascensori, facciate, pareti, specchi, perfino il traffico.

Capace di porre in modo giocoso domande di tipo filosofico, psicologico e sociale, ma che affonda le sue radici in città.

Gli elementi del paesaggio naturale, quando ci sono, danno l’impressione di essere visti dal fondo di un canyon di palazzi (l’ombra delle foglie di alberi inesistenti in “Shadows”, la pozzanghera che riflette edifici che non ci sono in “Sidewalk”, il giardino interno con piante e finestre apparentemente quadrato di “Lost Garden”, che girato l’angolo si scopre essere triangolare; e poi le nuvole, in tutte le loro molteplici declinazioni). O, a volte, sono forieri d’inquietudine, una sensazione che punteggia il lavoro di Erlich, dietro la costante apparente allegria, esattamente come si insinua nella trama di “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Lewis Carroll (così una finestra sospesa su una scala ad incorniciare scampoli di paesaggio nasce dalla tragedia dell’uragano Katrina, la pioggia battente dietro i vetri in una notte immaginaria crea disagio, gli oblò degli aerei a parete risvegliano la paura di volare in chi ne soffre ecc.)

Elevator Pitch- Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

E poi, gli elementi del paesaggio naturale non sono gli unici in grado di suscitare fastidio nel linguaggio di Erlich. Che è capace di produrre spaesamento, come in “Elevator Pitch” (il punto di accesso di un ascensore perfettamente riprodotto, installato a parete e quindi piatto, che quando si apre svela un video in cui compaiono gruppi sempre diversi di passeggeri), in cui l’inganno è chiaro, ma il primo impulso resta quello di entrare. O di risvegliare antiche fobie. Come la paura dell’altezza in “Ascensor” (un ascensore tridimensionale collocato in mezzo alla stanza, che attraverso un gioco di specchi sembra aprirsi all’interno su un precipizio infinito). Erlich, poi, ha pure esplorato il tema della videosorveglianza e quello del voyeurismo (in mostra, ad esempio, “The View”).

Il disagio sociale (capace, però, talvolta di tramutarsi in collaborazione da parte del pubblico che si scatta foto vicendevolmente) e quindi il tema delle regole non scritte che ci spingono a muoverci come automi in mezzo agli altri, viene sviluppato, invece, in opere esposte a Milano come “Hair Salon” (si entra in una stanza che sembra in tutto e per tutto il salone di un parrucchiere, con due specchi davanti e due dietro, ma quelli frontali sono cavi e si aprono su un vero spazio speculare; capita perciò di trovarsi di fronte anziché il proprio riflesso l’immagine di un estraneo).

le barche che si riflettono nel nulla e galleggiano senz’acqua di Port of Reflections - Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Tuttavia, forse nessuna opera come “Port of Reflections” (in mostra) è capace di farci perdere fiducia nei nostri sensi. Qui Erlich ha ricostruito un porticciolo, con tanto di barche a grandezza naturale, che si specchiano nell’acqua e ondeggiano dolcemente. Nella penombra di Palazzo Reale sono davvero stupefacenti per verosimiglianza, pare di sentire l’odore di salsedine. Peccato che l’installazione non comprenda nessun tipo di liquido. Anche guardando in basso è impossibile distinguere la differenza tra queste barche che galleggiano nel vuoto e quelle vere, abbandonate alle onde, in un punto d’approdo. Erlich qui, oltre a farci dubitare di noi stessi, vuole focalizzare l’attenzione sulla realtà prefigurata (il nostro paesaggio interiore) e di conseguenza sulle aspettative illusorie.

La memoria, il senso d’identità (come singoli e parte di un gruppo), sono invece temi al centro di opere come “Classroom (anche questa in mostra, riproduce un’aula scolastica che i visitatori possono vedere attraverso un vetro e in cui il loro riflesso può prendere posto, solo da determinate posizioni, però).

Leandro Erlich, Classroom (2017) Two rooms of identical dimensions, wood, windows, desk, chairs, door, glass, lights, blackboard, school supplies and other classroom decorations, and black boxes Dimensions variable

D’altra parte l’opera di Leandro Erlich, dietro l’invito al gioco e il senso di meraviglia, nasconde un cuore concettuale poliedrico. E’ un po' come quei labirinti fatti di siepi talmente alte che da fuori sembrano percorsi lineari, di tutto riposo, salvo poi perdercisi dentro.

Oltre la Soglia” di Leandro Erlich, a cura di Francesco Stocchi, organizzata da Palazzo Reale e Arthemisia, e promossa da Comune di Milano-Cultura, rimarrà a Milano fino al 4 ottobre 2023.

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

Leandro Erlich, Oltre la Soglia, Palazzo Reale Milano, Visione dell'installazione. Foto di Fabrizio Spucches per Arthemisia

La pittura senza confini di David Hockney in Giappone dopo 27 anni

The Arrival of Spring in Woldgate, East Yorkshire in 2011 (twenty eleven), 2011, Oil on 32 canvases (91.5 x 122 cm each), 365.6 x 975.2 cm, Centre Pompidou, Paris. Musée national d'art moderne-Centre de création industrielle © David Hockney Photo: Richard Schmidt

Convinto libertario, figura controcorrente, artista sperimentatore, viaggiatore e immenso pittore, David Hockney, che in luglio compirà 86 anni. è tornato ad esporre in Giappone dopo una lunga pausa. La vasta retrospettiva intitolata semplicemente "David Hockney", in corso al Museo d'Arte Contemporanea di Tokyo (o Mot Art Museum), infatti, arriva 27 anni dopo il suo precendente show nella capitale del Giappone.

E lo fa in grande stile con 120 opere (alcune delle quali davvero molto rappresentative), divise in otto sezioni. Inoltre, la mostra presenta per la prima volta in Asia il dipinto del 2011 "The Arrival of Spring in Woldgate, East Yorkshire in 2011 (twenty eleven)" (la rappresentazione di un bosco in primavera su una pergamena lunga 90 metri). Per la prima volta in Giappone poi, anche 12 disegni per iPad di grandi dimensioni stampati su carta. Ma soprattutto, l’intera seconda metà della mostra, è una novità (dal vivo s’intende) per il popolo del Sol Levante.

Nel lasso di tempo che separa questo appuntamento da quello precedente di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Per l’Hocknay artista poi, che è sempre stato in costante movimento, ancora di più. Basti pensare che la Royal Academy di Londra (nel 2012) e il Centre Pompidou di Parigi (nel 2017) gli hanno dedicato una personale, ed entrambe le mostre hanno superato i 600mila visitatori, facendone uno degli artisti più popolari al mondo. Nel 2018 l’opera di Hockney è diventata anche la più preziosa, quando il dipinto del ‘72 "Portrait of an Artist (Pool with Two Figures)" (una delle sue tante immagini della vita in Califormia durante quel periodo, quando Hockney cercava avidamente di catturare ogni riflesso di luce nell'acqua delle piscine), è stato battuto dalla casa d’aste Christie’s di New York per 90 milioni di dollari, superando il record del "Balloon Dog (Orange)" di Jeff Koons. Koons quel record se lo sarebbe ripreso un anno dopo, ma per un solo milione. Nel 2017 Hockney ha anche esposto per la prima volta in Italia (alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia).

Nato a Bradford nel Regno Unito, David Hockney, nel corso della sua carriera è stato un pittore, disegnatore, incisore, scenografo e fotografo. Amante delle nuove opportunità offerte dalla tecnologia per sviluppare il suo lavoro, ha sperimentato i materiali più vari: dal fax alla pasta di carta, dalle applicazioni per computer ai programmi di disegno per iPad (le sue performance con questo insolito medium sono diventate famose ma Hockney dopo un po’ è ritornato alla pittura ad olio). Non ha mai fatto Nft, però.

Gay dichiarato dall’età di 23 anni, è stato anche uno dei primi a dipingere la quotidianità degli omosessuali senza drammi o particolari rivendicazioni. Il suo lungo periodo di vita nella East-Cost è sottolineato da tutte le sue biografie, insieme alle opere che ne sono nate (il sole abbacinante della California, le piscine sfavillanti animate da onde placide e luci, sopratutto luci; ma anche oggetti più anonimi come gli irrigatori), ma Hockney è stato un grande viaggiatore. Visitando e lavorado (talvolta anche comprando casa) in tanti luoghi diversi: Colorado, Iowa, l'Artico a nord della Norvegia, la Francia rurale, ma pure Parigi, Londra, New York e Kyoto, oltre a Bridlington e Los Angeles. Ed attingendo dalle sollecitazioni e dalla storia di ognuno di questi luoghi per creare. Nell’elenco compare persino Lucca. Adesso l’artista però vive prevalentemente in Normandia, con il compagno di lunga data Jean-Pierre Gonçalves de Lima (detto JP) e da anni ha problemi d’udito, anche se non ha mai perso l’ironia, una certa bizzarra e ricercata eleganza, insieme all’amore per i piccoli piaceri della vita fra i quali il fumo (di cui è rimasto un acceso sostenitore).

Sovente torna in Inghilterra, dov’è celebrato come una sorta di sovrano, non a caso è accademico reale (uno solo della sfilza di riconoscimenti attribuitigli dalla sua patria). E a ragione, perchè l’opera di Hockney affonda le sue radici nelle rappresentazioni del paesaggio del natio Yokshire e della campagna inglese in generale. Risuona di riferimenti ad artisti del Regno Unito, amati in Gran Bretagna come in nessuna altra parte del mondo (come, ad esempio, Turner e Constable). Pure se a cadenza ciclica si sono imposte le sue rivisitazioni di altri generi classici, come il ritratto, l’autoritratto e la natura morta. E anche se, tutto sommato, l’animo inquieto di Hockney ha esplorato, nel tempo, interi libri di storia dell’arte, stabilendo che le proprie stelle polari risiedessero altrove. Da giovane venne colpito dalla pittura di Jackson Pollock (fece persino l’autostop per andare a vedere una sua mostra a Londra), ma nel corso degli anni non ha mai fatto mistero di stimare l’opera di Vermeer, Degas e van Gogh, come quella di nessun altro. A parte il suo eroe prediletto, ovviamente: Pablo Picasso.

E poi c’è la storia della sua epifania: avvenuta di fronte alla pittura cinese, quando ha superato per sempre la gabbia della prospettiva rinascimentale e della fotografia. Ritrovandosi in un punto di vista più realistico, morbido, labile e decisamente meno geometrico.

Impossibile non soffermarsi un secondo sui ritratti, spesso strettamente realistici, a volte inseriti in un ambiente volto a mettere in luce e a terminare di raccontare i protagonisti, altre lasciando il soggetto da solo in un corpo a corpo, amichevole, ma serrato con l’artista. Hockney, infatti, oltre a dipingere ‘en plain air’, ha ritratto anche le persone dal vivo, facendole posare nel suo studio, come praticamente non faceva più nessuno, grosso modo dall’invenzione della fotografia in poi.

Per i ritratti realizzati in tempi relativamente recenti, in occasione di una mostra alla Royal Accdemy of Arts (Londra), l’artista ha dichiarato di domandare almeno tre giorni di posa alle persone ma di arrivare a volte a sei o più. Tuttavia, nell’ormai iconico "Mr and Mrs Clark and Percy", in cui il pittore ha lavorato con la fotografia (anche se i Signori Clarck hanno posato per lui molte volte), alcune difficoltà tecniche insieme alla ferma volontà di raggiungere il massimo, hanno gonfiato i tempi a dismisura. Tanto che Hockney ha cominciato a scattare immagini e fare bozzetti nel 1969, a lavorare sulla tela nella primavera del’70 per terminarla solo nel ‘71. L’opera rappresenta l’amico stilista Ossie Clarck insieme alla moglie Celia Birtwell (disegnatrice di motivi per le stoffe e cara amica di David a sua volta) e alla loro micetta Percy. Hockney ha dipinto la testa di Ossie Clarck ben 12 volte prima di esserne soddisfatto.

La gattina Percy (che può essere letta come un simbolo del comportamento libertino di Ossie), ha anticipato i bellissimi ritratti dell’artista ai suoi cani (alcuni attualmente in mostra nella collettiva "Portraits of Dogs: From Gainsborough to Hockney" alla Wallace Collection di Londra).

Anche "Mr and Mrs Clark and Percy" adesso è esposto al Museum of Contemporary Art di Tokyo (Mot). L’importante retrospettiva nipponica dedicata a David Hockney si concluderà il 5 novembre 2023.

Mr and Mrs Clark and Percy, 1970-71, Acrylic on canvas, 213.4 x 304.8 cm, Tate: Presented by the Friends of the Tate Gallery 1971 © David Hockney

No. 118, 16th March 2020, from "The Arrival of Spring, Normandy, 2020", 2020, iPad painting printed on paper, 56.3 x 75.0 cm, Collection of the artist © David Hockney

A Lawn Sprinkler, 1967, Acrylic on canvas, 125.8 x 123.8 cm, Museum of Contemporary Art Tokyo © David Hockney

A Year in Normandie 2020-2021 (detail), 2020-21, Composite iPad painting, 100 x 9000 cm, Collection of the artist © David Hockney