Le sculture in legno del taiwanese Hsu Tung Han non aspirano a rappresentare la realtà ma degli ologrammi mal riusciti.
Sono ritratti iperrealisti con dei pixel cubici qua e là, che interrompono l’illusione dello spettatore di trovarsi di fronte a un proprio simile (seppur color legno) e lo riportano alla cruda realtà: sta’ guardando la copia scultorea di un’immagine digitale. Ma di un’immagine tridimensionale che in quanto tale un po’ di inquietudine la crea.
Così come i soggetti che Han sceglie, usciti pari-pari dalle pagine di una rivista patinata o dai fotogrammi di un film. E poco importa se si tratta di imperatrici cinesi del passato (o abbigliate piu’ o meno come tali), di modelle a passeggio, o di gangster con tanto di tatuaggi.
Con i pixel, insomma, Han sospende la narrazione, gela l’attimo e un pochino anche l’osservatore.
Per arrivare a questi risultati Hsu Tung Han deve perdere molto tempo per ogni pezzo, facendo schizzi preparatori e modelli di creta prima di cominciare a lavorare il legno.
Guardate da vicino le sculture sono raffinate opere di intarsio dove i pixel sono anche la scusa per giocare con la tessitura del legno.