Archiviato il successo di Anthropocene, il MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) di Bologna ha inaugurato sabato scorso (in contemporanea ad Artefiera) UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK. Un’altra mostra fuori dai canoni, intelligente, che questa volta si interroga sul significato e le caratteristiche dell’abbigliamento professionale. Usando, coraggiosamente, solo il linguaggio della fotografia.
Ovviamente se UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK dovesse anche solo avvicinarsi ai numeri raggiunti da Anthropocene per il museo sarebbe una vittoria. Con un totale di 155mila visitatori, infatti, Anthropocene è stata prolungata per ben due volte consecutive, arrivando a durare otto mesi: ben il doppio del tempo preventivato. Tanto da far commentare al curatore Urs Stahel: “Le code per visitarla si sono allungate sempre di più nelle ultime settimane e negli ultimi giorni. Stupefacente, sorprendente e inaspettato.” Tuttavia l’esposizione frutto della collaborazione quadriennale tra il fotografo Edward Burtynsky e i registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier aveva al suo arco, oltre al pluripremiato film Anthropocene: The Human Epoch (che è stato proiettato per tutta la durata della mostra), anche esperienze in realtà aumentata e intelligenza artificiale.
UNIFORM INTO THE WORK/OUT OF THE WORK si regge, invece, quasi interamente sulla sola fotografia. Composta dalla collettiva "La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi" e dalla personale “Ritratti Industriali” dell’artista americano Walead Beshty, l’esposizione prende le mosse dalla conflittualità dei sinonimi uniforme e divisa. Che se da una parte suggeriscono omologazione e perdita d’identità dall’altra parlano di un gruppo di persone che si separa dalla massa e assume per questo anche un’identità più marcata.
"La mostra-spiega la nota stampa dell'evento- è un viaggio tra le uniformi, che sollecita una riflessione sull’essere e sull’apparire".
"La divisa da lavoro nelle immagini di 44 fotografi" (allestita nella PhotoGallery) raccoglie gli scatti di celebri protagonisti della storia della fotografia tra cui, Manuel Alvarez Bravo, Walker Evans, Arno Fischer, Irving Penn, Herb Ritts, August Sander e fotografi contemporanei come Paola Agosti, Sonja Braas, Song Chao, Clegg & Guttmann, Hans Danuser, Barbara Davatz, Roland Fischer, Andrè Gelpke, Helga Paris, Tobias Kaspar, Herline Koelbl, Paolo Pellegrin, Timm Rautert, Oliver Sieber, Sebastião Salgado, immagini tratte da album di collezionisti sconosciuti e otto contributi video di Marianne Müeller.
L’esposizione partendo da un affresco comosito di epoche e luoghi, ci conduce attraverso le professioni, dalle più comuni a quelle più elitarie. Senza trascurare il mestiere della politica, come testimoniano i ritratti di Angela Merkel di Herlinde Koelbl, artista tedesca che ha dedicato un progetto pluriennale, “Traces of Power” alla raffigurazione anno per anno di alcuni dei maggiori leader tedeschi della caduta del Muro di Berlino in avanti. Questa parte della mostra si conclude con una riflessione sul rapporto che lega abbigliamento da lavoro e moda.
“Ritratti Industriali” (allestita nella Gallery/Foyer), invece, raccoglie 364 immagini selezionate tra la mole imponente di ritratti scattati da Walead Beshty ai professionisti del mondo dell’arte con cui ha lavorato nel corso di 12 anni. Ci sono curatori, galleristi, tecnici, direttori di museo e operatori vari, divisi in sette gruppi da 52 fotografie ciascuno.