"Between Stillness and Silence". l’ultima mostra di Toshihiko Shibuya nella sala da tè di Sapporo (nella prefettura di Hokkaido) Gukyu-an, è allo stesso tempo un’ode alla misteriosa bellezza della natura e alle antiche forme d’arte tradizionali giapponesi ma anche una frizzante rilettura contemporanea della consuetudine in chiave ecologista.
L’atmosfera sospesa dell’ambiente in cui a inizio mese si è svolta l’esposizione (dall’8 al 10 giungo 2024) ben la descrive l’artista stesso: “Lì il tempo trascorre nell'immobilità con il suono metallico dei ‘Fuutaku’ (campanelle a vento ndr) che risuonano nell’aria, il rumore dell'acqua nello ‘tsukubai’ (fontanella tradizionale usata per purificarsi ndr), i cinguettii degli uccelli selvatici, e poi ci sono momenti in cui ogni suono svanisce nel silenzio”.
D’altra parte le sale da tè giapponesi sono spazi molto particolari strutturati sulla base di regole centenarie e la Gukyu-an, annessa al monastero buddista Higashi Honganji Sapporo Betsuin e chiamata così a memoria del calligrafo Gennyo Shonin (detto, appunto, Gukyu, fervente fedele, che molto fece per la crescita del Buddismo sull’isola di Hokkaido), non fa eccezione. Con la sua dimensione di quattro tatami e mezzo (pannelli modulari tradizionali da pavimento usati anche come unità di misura dello spazio) considerata perfetta per questi ambienti dove la ritualità trasforma una riunione conviviale in un evento culturale profondamente influenzato da precetti religiosi; una fontana in legno per purificarsi (gli ospiti della Cerimonia del Tè si sciacquavano le mani prima di entrare, come si usa anche nei monasteri, per abbandonare metaforicamente il mondo secolare) e un giardino zen (anche quest’ultimo si percorreva per liberarsi delle ansie della vita) visibile fin dall’interno, la Gukyu-an è una sala da tè vera e propria. Ma posta al terzo piano di uno stabile, così che il giardino roccioso creato su un terrazzo è circondato dalle cime degli alberi.
Anche meglio per Toshihiko Shibuya, che ha giocato ampiamente con il verde di questa cornice di foglie mosse dal vento ma anche con il senso di straniamento e atemporalità suggerite dalla location e sottolineate dal silenzioso punto di vista sopraelevato.
Sul terrazzo ne danno prova tre sculture bianche della serie “Generation” mimetizzate tra i toni di grigio e beige chiarissimi della ghiaia e affiancate a larghe ciotole in cui il verde profondo del muschio risuona di affinità con l’ambiente circostante e guida l’occhio fin all’interno dello spazio espositivo. “Il colore verde- dice- collega il vassoio di muschio nella sala da tè ai vassoi nel giardino di pietra, e poi agli alberi all’esterno creando un forte senso di prospettiva”.
I larghi recipienti in cui l’artista posiziona il muschio che raccoglie nei boschi e di cui poi si prende cura sono stupefacenti. Non tanto nel giardino roccioso dove, come al solito, il loro colore e la tessitura vengono per lo più sottolineate da decine di puntine da disegno a testa sferica, quanto nella sala da tè che ospita “Zushi” (il titolo fa riferimento a un contenitore dai poteri spirituali cui l’anima può essere affidata) sul cui muschio si sono sviluppate innumerevoli piantine selvatiche “sconosciute”. Qualcuna è alta, altre tappezzanti, un numero imprecisato di minuscoli fiori bianchi a momenti l’accendono di bellezza, ricorda contemporaneamente un paesaggio onirico in miniatura, un curioso bonsai e un romantico giardino inglese da passeggio. “Tutto è l'origine- commenta l’artista- e la fonte della vita, il ciclo della vita”.
Shibuya con queste opere allude alla bellezza e al mistero del quotidiano, all’incapacità dell’uomo di cogliere i mutamenti dell’ambiente e di ammirare lo splendore mutevole della natura ma anche alla cura e al rispetto necessari perché la vita prosperi. Oltre a fare riferimento alla fragilità dell’ecosistema e dell’esistenza, così come agli innumerevoli segreti nascosti nei vegetali a cui prestiamo meno importanza (di muschio, ad esempio, esistono migliaia di specie e si tratta anche di una pianta pioniera la cui origine viene fatta risalire a 460 milioni di anni fa). Con “Zushi” tuttavia l’artista si spinge oltre, attraverso un dialogo serrato con l’ambiente che ospita l’opera. Nelle sale da tè, infatti, è consuetudine collocare composizioni floreali, costruite secondo regole dello Chabana (comunemente tradotto come ‘Fiore del Tè’, è una disciplina che affonda le sue radici nell’Ikebana e codifica i tipi di fiori più adatti per il rito a seconda del periodo dell’anno e altri fattori) cui l’artista contrappone il caso e la forza rigeneratrice della natura.
Il concetto è poi sottolineato dalla stampa monotipo “Enso”, che Shibuya ha collocato al posto della tradizionale Calligrafia (anche questa punto focale dell’ambiente dove si svolge la Cerimonia del Tè) e che ad un’opera di scrittura artistica giapponese assomiglia parecchio. In realtà però “Enso” (cioè, il cerchio dipinto con un singolo tratto attraverso la calligrafia Zen, nella quale rappresenta anche la perfetta pace della mente) è una stampa in rilievo della forma inferiore di una delle sculture della serie “Generation”. La più importante visto che è stata collocata nella nicchia riservata alla statua del Buddha. Lui ha spiegato: “Assomigliava a un immagine del Buddha per questo l’ho messa lì”.
Queste opere, che l’artista originario di Sapporo ama chiamare oggetti per sottolineare il fatto di non averle manipolate ma prelevate tali e quali dalla foresta, sono cortecce dipinte di bianco. Su di loro centinaia di candide puntine da disegno a testa sferica, richiamano alla mente funghi, uova e forme di vita minuscola in genere. Di solito Shibuya le colloca in verticale, come fantasmi di un pullulante mondo nascosto pronto a svanire sotto gli occhi dell’osservatore. Lo ha fatto anche nella Sala da Tè, dove ha anche disseminato lo spazio a sua disposizione di soffioni, a volte posizionati in bella vista come vere e proprie sculture, altre nascosti come magiche reliquie di un tempo e un luogo in perenne fuga.