Quando venne scattata la prima fotografia della Storia (1816), la Pittura non sapeva ancora di avere i giorni contatati. Ma, da un certo punto di vista, era proprio così: rinnovarsi o morire. Riuscire a riprodurre la realtà bene, come quella nuova macchina sapeva fare, era impossibile con un pennello. Partita chiusa.
Ma se adesso, a duecento anni esatti da allora, si osservano i dipinti del reggiano Marco Grassi, si arriva a mettere in discussione tutto questo.Ci sono memorie della Storia dell’Arte nei suoi quadri, certo, ma c’è soprattutto il soggetto. Ritratto con una perizia e con un’abilità senza pari. Se ci si avvicina si possono vedere i pori della pelle e i capelli. Ogni singolo capello. Sembra proprio di trovarsi davanti a una fotografia. Una bella fotografia. Di quelle senza errori, senza sbavature. Solo un particolare ci rivela l’inganno: talvolta si tratta di un tatuaggio a colori troppo vivi, altre di uno intagliato nella pelle.
Ma resta il dubbio: un effetto di Photoshop? E, invece no, sono proprio ritratti pittorici. Oli ed acrilici su tela smaltata. Grassi ha dichiarato in una sua intervista a Huffingtonpost di impiegare dai due ai tre mesi per ogni opera “vista la complessità del disegno e della tecnica di realizzazione”. (via huffingtonpost edizione Usa)