La pittura malinconica e surreale dell'afroamericano Noah Davis vola in asta

Noah Davis, The Conductor, 2014 Oil on canvas 175.3 × 193 cm The Estate of Noah Davis All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Scomparso nel 2015 a soli 32 anni, il pittore afroamericano Noah Davis, in mostra a Venezia durante gli ultimi giorni d’apertura della 59. Esposizione Internazionale d’Arte- Il latte dei sogni, è stato uno dei protagonisti dell’asta tenutasi da Christie’s a New York la settimana scorsa. Il suo olio su tela, Congo #7, infatti, è stato aggiudicto per un milione e mezzo di dollari, superando la stima massima attribuitagli di 300 mila dollari. D’altra parte, tutti gli afroamericani sono andati a gonfie vele, con la nigeriana che vive a Los Angeles, Njideka Akunyii Crosby, arrivata alla bella cifra di 4 milooni e 700 mila dollari per un dipinto.

Noah Davis, figlio di un avvocato ed una educatrice, cominciò a dipingere con impegno fin dalla prima adolescenza, tanto che pare avesse già uno studio a soli 17 anni. Nel 2012, insieme alla moglie, la scultrice Karon Davis e al fratello Kahlil Joseph (artista a sua volta), ha fondato l’Underground Museum, nel quartiere storicamente popolare afroamericano e latinoamericano di Arlington Heights, a Los Angeles. L’idea era di portare l’arte dei musei ad una comunità che, in linea di massima, nei musei non metteva piede. Davis tuttavia, colpito da una rara forma di tumore ai tessuti molli, morirà solo tre anni dopo, senza avere il tempo di apprezzare i risultati del suo progetto.

Il successo della sua opera ha fatto, invece, in tempo a intravederlo. Sfumato forse, come una delle figure al centro dei suoi dipinti. Sempre sospese, tra realtà, ricordi e universi onirici.

"Richiamando- scrive di lui Ian Wallace sul sito della Biennale di Venezia- una generazione precedente di artisti americani, come Fairfield Porter, Jacob Lawrence e Palmer Hayden, la sua opera è parimenti influenzata dalla figurazione di Marlene Dumas e Luc Tuymans".

Ma il lavoro di Noah Davis, ricorda anche altri artisti. Per esempio, Francis Bacon, di cui però gli manca la rabbia lacerante. Al centro della pittura di Davis spesso ci sono momenti atemporali, sospesi. L’inquietudine può far sentire il suo respiro ma non è mai al centro dell’istante ritratto o della storia tratteggita. Spesso c’è anche un soffio di amara ironia, come in: 40 Acres and a Unicorn (2007). Il titolo si riferisce ai “quaranta acri e un mulo” che si diceva sarebbero stati dati alle famiglie degli schiavi liberati alla fine della Guerra civile americana. "con l’ironia del Realismo Magico, evoca l’amara delusione di fronte agli sforzi del governo statunitense volti a fornire manodopera salariata alle piantagioni piuttosto che ai diritto dei neri".

Più spesso però, nelle sue storie, inumidite di malinconia o ferite dai toni scuri della tavolozza, a colpire è l’atmosfera surreale. Come quando, in Isis, la moglie di Davis, vestita con un costume dorato, con ai lati due grandi ventagli simili ad ali, si trasforma nella dea egizia della magia. O in The Conductor, un uomo in smoking. in ecquilibrio su una sedia, dirige un’orchestra invisibile. Nulla di tutto ciò in Congo #7, dove i pensieri dei tre giovani protagonisti riempiono la scena, retta da una composizione rigorosa e da una tavolozza dai pochi colori ma studiata con attenzione.

Le atmosfere surreali della pittura solida e ricercata di Noah Davis, si potranno vedere all’Arsenale, fino alla conclusione della Biennale di Venezia (il 27 novembre), ormai arrivata al rush finale.

Noah Davis « Congo #7» (particolare). Immagine: screenshot da video

Noah Davis, The Future’s Future, 2010 Oil on canvas 152.4 × 188 cm Private Collection All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Noah Davis, Installation view. All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Noah Davis, Installation view. All works with the additional support of David Zwirner 59th International Art Exhibition – La Biennale di Venezia, The Milk of Dreams Photo by: Roberto Marossi Courtesy: La Biennale di Venezia

Va all’asta il primo campione di polvere lunare raccolto da Neil Armstrong. La vendita è frutto di un’incredibile serie di eventi

La borsa che conteneva il campione di polvere lunare. Image Courtesy of Bonhams

Il mese prossimo la casa d’aste Bonham metterà in vendita il primo campione di polvere lunare raccolto dall’astronauta statunitense Neil Armstrong, durante la sua celebre passeggiata nello spazio, tramessa in mondovisione nell’estate del ’69. Il reperto, oltre a rendere possibili ulteriori scoperte sulle caratteristiche del suolo lunare con l’evolversi della tecnologia (come testimonia questa recente notizia), ha una grande importanza storica. La Nasa, infatti, era fermamente contraria alla vendita ad un privato della polvere lunare raccolta dalla missione Apollo 11, che riteneva materiale per un museo.

E proprio per questo motivo la casa d’aste sta pubblicizzando l’evento come irripetibile e l’oggetto come: "l'unico campione Apollo che può essere venduto legalmente".

In effetti, le circostanze che hanno portato sul mercato il campione si suolo lunare raccolto durante la missione Apollo 11, sono talmente particolari da escludere che si possano verificare una seconda volta. D’altra parte i reperti vennero considerati cruciali fin dal principio tanto da spingere l’agenzia spaziale a pronunciare la frase: “Prima salvate le rocce lunari. Abbiamo solo una scatola di pietre. Mentre abbiamo un sacco di astronauti" (riportata n seguito da Mike Mallory, un membro della squadra di recupero dell'Apollo 11).

Tuttavia la sacca con il materiale a un certo punto sparì dai magazzini della Nasa. Fino a quando nel 2002 non si scoprì che l’aveva rubata Max Ary, ex direttore e presidente del museo spaziale Cosmosphere di Hutchinson in Kansas. Ary, venne condannato per riciclaggio di denaro, frode e furto, e la borsa diventò proprietà del governo. Che la mise all’incanto senza nemmeno sapere cosa contenesse. Così, nel 2015, l’avvocato, Nancy Lee Carlson, la comprerà per 995 dollari, attirata dalla descrizione: “Borsa gonfia con cerniera per il ritorno dei campioni lunari con polvere lunare”. Dopo essersela aggiudicata, Carlson, vuole saperne di più e la spedisce al Johnson Space Center di Houston (in Texas). Dove ne analizzano il contenuto e si rifiutano di restituirgliela: "questo manufatto, crediamo, appartenga al popolo americano e dovrebbe essere esposto al pubblico". Carlson fa causa allo Space Center e il giudice, comprensibilmente, le da ragione. Questo le frutterà oltre 1 milione e 800 mila dollari (oltre 1 milione e 600 mila euro al cambio attuale), quando il campione andrà all’asta da Sotheby’s per la prima volta nel 2017.

Il 13 aprile 2022 il campione torna all’asta per la seconda volta ed è stimato tra gli 800 mila e il milione e 200 mila dollari. Cifra più modesta di quella pagata la prima volta ma che potrebbe crescere se la vendita avrà successo. L’asta si chiama “Space History Featuring the First Lunar Sample” e oltre alla polvere lunare presenterà altri lotti come un frammento di alluminio originale dello Sputnik 1. (via Artnet)

Image Courtesy of Bonhams

Image Courtesy of Bonhams

Banksy benefico da record: "Game Changer" battuto all'asta per 19milioni e 400mila euro

All images Courtesy of Banksy

All images Courtesy of Banksy

Banksy ha battuto Banksy. All’asta nella sede londinese di Christie’s, “Game Changer” (di cui ho già parlato qui), realizzato durente la pandemia e donato al NHS (il servizio sanitario inglese) consegnandolo all’ospedale di Southampton, è arrivato ieri alla cifra record di 16,7 milioni di sterline. Un prezzo mai raggiunto dall’artista. Il ricavato andrà in beneficienza ma le quotazioni restano.

Stimato tra le 2,5 e le 3,5 milioni di sterline, “Game Changer”, ha quasi raddoppiato la cifra più alta mai toccata da un opera del writer bitannico. Svettando alle 16,7 milioni di sterline (esattamente 16 milioni e 758 mila, commissioni incluse). Nel 2019, infatti, “Devolved Parliament”, un grande olio su tela in cui i politici britannici, rappresentati come scimpanzè, sono accalorati in una discussione alla Camera dei Comuni, venne battuto per 9,9 milioni di sterline (circa 12,2 milioni di dollari al cambio del periodo). L’opera del 2020, invece, con 14,4 milioni di sterline nette di vendita (16 miloni e 700 mila euro circa) si attesterebbe quasi a 20 milioni di dollari (19milioni e 700 mila al cambio di oggi). Incluse le commissioni della casa d’aste si arriva appunto a 16,7 milioni di sterline (19milioni e 400 mila euro), cioè 23 milioni in moneta a stelle e striscie. Un traguardo mica male, se si pensa che la chiacchieratissima “Love is in the Bin” semi-distrutta da Sotherby’s, si era fermata a 1,4 milioni di dollari, e era sembrata un’asta da capogiro.

Il fatto che il ricavato della vendita di “Game Changer” vada in beneficienza (inclusa parte delle commissioni, secondo quanto dichiarato dalla casa d’aste), ha sicuramente influito positivamente sulla sua performance. Non a caso i banditori , hanno definito il lavoro, un "tributo personale a coloro che continuano a investire sulle sorti della pandemia". Ma è inutile nascondere che l’opera, ben più semplice, sia tecnicamente che concettualmente, rispetto a “Devolved Parliament”, rimarrà a scandire le future quotazioni di Banksy.

I proventi della vendita della tecnica mista, in cui un bambino gioca con una bambola-infermiera in veste di super-eroina, saranno uilizzati per sostenere le organizzazioni sanitarie e gli enti di beneficenza in tutto il Regno Unito.

Game Changer” non è l’unica opera realizzata da Banksy durante la pandemia. Prima ci sono i ratti dipinti ‘nel bagno di casa’, poi quelli sulla metropolitana di Londra. Mentre più recentemente ’artista di Bristol ha citato la chiusura dello scorso anno con “Create Escape”.

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