I clan di sculture in spazzatura di Leilah Babirye in Biennale e allo Yorkshire Sculpture Park
L’artista di origine ugandese Leilah Babirye crea sculture con ceramica, legno, oggetti trovati, come ruote di biciclette, copertoni e tutto ciò che si può scovare tra i rifiuti a Brooklyn. Babirye, infatti, costretta a fuggire dal suo paese perché lesbica dichiarata, vive a New York, dove ha cominciato a scolpire meno di sei anni fa (prima dipingeva e disegnava soltanto). Adesso il suo lavoro è focalizzato sulle opere tridimensionali, ha due studi nella Grande Mela (uno a Brooklyn, e l’altro nel Queens), è tra gli artisti chiamati da Adriano Pedrosa a partecipare a “Stranieri Ovunque- Foreigners Everyere”, (la Biennale di Venezia 2024) e da marzo è in mostra nella Cappella dello Yorkshire Sculpture Park (famoso parco scultoreo e sede espositiva inglese, nei pressi della cittadina di Wakefield, a circa due ore di treno da Londra).
Rigorosa nei ritmi di lavoro e abitudinaria, Babirye, ha una pratica basata sul contatto diretto con i materiali di cui si appropria e sceglie di utilizzare. Preferendo spesso strumenti che presuppongono forza e velocità nello scolpire, come la sega elettrica o la fiamma ossidrica con cui annerisce le sue opere, dopo essersi fatta guidare dal legno stesso (ne segue le venature, si ispira alla sagoma del tronco) per definirne la forma. Sia questo aspetto che l’uso di oggetti trovati fanno del caso e dell’occasionalità elementi poco appariscenti ma vitali nella scultura dell’artista ugandese-statunitense.
Lei ha spiegato così il proprio impegno: “Il mio lavoro consiste fondamentalmente nell'utilizzare la spazzatura, nel dargli nuova vita e renderla bella. È sempre influenzato da dove sono, userò tutto ciò che c'è. Ecco perché il lavoro sembra sempre diverso, perché non sono sicura di cosa troverò. Il legno con cui lavoro qui è un legno tenero, mentre a New York di solito è il pino, che è un legno più duro. Ciò conferisce alle sculture un aspetto diverso e contribuisce alle loro diverse personalità.”
Babirye, che crea anche opere in ceramica poi rivestite di smalti colorati e luminosi, attraverso le sue sculture parla della cultura del suo paese natale, di questioni coloniali ma soprattutto della comunità queer di cui fa parte e di come i diritti dei gay in Africa vegano calpestati. Babirye, infatti, nel 2018 è stata pubblicamente accusata di preferire intrattenere rapporti intimi con persone del suo stesso sesso da un giornale ugandese, ha avuto problemi all’università dove stava frequentando un master ma soprattutto la sua famiglia l’ha ripudiata. E tutto sommato avrebbe potuto andarle anche molto peggio visto che in Uganda l’omosessualità è illegale e può essere punita con la pena di morte.
Nella sua opera gli scarti (usati sia per comporre che abbellire il lavoro) sono, infatti, un riferimento al termine ‘abasiyazi’, cioè la parte della canna da zucchero da buttare, che in lingua luganda si usa per indicare una persona gay. L’artista è stata profondamente ispirata da Henry Moore e utilizza le maschere africane, che non sono tipiche della sua patria ma di un’altra parte del continente, per citare l’amore che scultori e pittore dell’Occidente di quegli anni nutrivano per questa forma espressiva africana. I titoli (a volte in qualche misura autobiografici) portano, invece, i nomi di clan ugandesi (cioè famiglie allargate di cui fanno parte i membri di una stessa comunità) a loro volta rubati ad animali e piante locali. Naturalmente nel suo linguaggio questi elementi hanno anche ulteriori significati: le maschere diventano un mezzo per esprimere le diversità delle persone queer, mentre i titoli fanno riferimento ai clan da cui le persone gay sono state cacciate.
Nata nel 1985 a Kampala dove ha frequentato la Makerere University, Leilah Babirye, ha ottenuto asilo negli Stati Uniti nel 2018, dopo aver preso parte lì ad una residenza a Fire Island. Nella Cappella dello Yorkshire Sculpture Park presenta un clan composto da sette sculture lignee più cinque in ceramica smaltata, realizzate la scorsa estate direttamente nel parco scultoreo inglese dove l’artista ha soggiornato. Il legno utilizzato proveniva da alberi morti (tra loro anche un faggio settecentesco piantato più o meno nello stesso periodo in cui venne costruita la Cappella).
“La scultura senza compromessi di Leilah- ha detto la direttrice dello Yorkshire Sculpture Park, Clare Lilley- è sempre efficace. Il fatto che queste sculture siano state create presso YSP, con Leilah che sfrutta al meglio ciò che questo posto ha da offrire, è davvero speciale. Per quasi 300 anni, la nostra Cappella è stata un luogo di comunità e contemplazione, e siamo privilegiati che Leilah ne abbia fatto una casa per il suo clan di opere d'arte avvincenti. "