"Floating Flower Garden": il giardino fluttuante di orchidee TeamLab

Teamlab, Floating Flower Garden: Flowers and I are of the Same Root, the Garden and I are One, Teamlab Planets. Interactive Kinetic Installation, Endless, Sound: Hideaki Takahashi Orchids(except Vanda and Renanthera): Haruyuki Kato(Zama Orchids Center) Vanda and Renancera: Kazuki Kaneta(moku), Yoshinobu Ueda(ACRE8) , teamLab. All images courtesy Teamlab

Trecimila orchidee per sentirsi tutt’uno con i fiori. Ecco il "Floating Flower Garden", aperta durante la pandemia, è già una delle opere più amate del museo di Teamlab a Tokio (Teamlab Planets). Un installazione che è anche un giardino. Fluttuante.

Campioni indiscussi delle mostre immersive, imbattibili nel costruire scenari magici in cui il pubblico si muove come in sogno, attraverso giochi di specchi, video e tecnologia digitale, il collettivo giapponese composto da artisti e scienziati, Teamlab, ha da qualche anno più di un museo. Di quello di Shangai abbiamo già parlato ma il più importante è a Tokio. Si chiama Teamlab Planets ed è attualmente ubicato nell’isola artificiale di Toyosu (dove rimarrà fino alla fine del 2023).

Lo spazio espositivo ha un successone tra i turisti, che costituiscono più della metà dei loro visitatori. Un pubblico di stranieri che individua nel museo del collettivo nipponico un ingresso privilegiato al cuore del Giappone. Anzi per molti di loro Teamlab Planets è il motivo principale del viaggio nel paese del Sol Levante. Con ricadute economiche importanti per l’intera isola. Perchè stiamo parlando di oltre 3milioni di visitatori dall’inaugurazione nel 2018 allo scorso anno.

Numeri sgonfiati dalle restrizioni all’ingresso degli stranieri durante la pandemia. Che su Teamlab Planets hanno avuto un peso determinante. Come dimostra l’aumento del 136 per cento nella vendita di biglietti, che lo spazio espositivo ha toccato quando sono state abbandonate.

Oltre ad aver cambiato sede (in origine era ad Odaiba), il museo, dalla sua inaugurazione, ha subito ampliamenti e aggiustamenti. Attualmente è composto da 4 installazioni su larga scala e due giardini. Non è rimasto immutato nemmeno durante la pandemia quando ha, ad esempio. aperto il ristorante di ramen vegano. Ma anche il "Floating Flower Garden".

Il giardino delle orchidee sospese, il cui nome completo è "Floating Flower Garden: Flowers and I are of the Same Root, the Garden and I are One", è composto da una massa di piante in fioritura senza apparente soluzione di continuità. 13mila epifite, in alcuni casi profumate, di vari generi (dalla comune Phalaenopsis fino a Vanda e Renanthera) appese a varie altezze. Che, per via della luce (in questo caso naturale) e degli specchi, danno la sensazione di essere infinite.

"I fiori- spiega Teamlab sul proprio sito web- di questa opera d'arte sono orchidee. La maggior parte delle orchidee è in grado di crescere senza terra assorbendo l'acqua dall'aria. I fiori di questa opera d'arte sono vivi, crescono e sbocciano ogni giorno che passa. Si potrebbe dire che stanno crescendo a mezz'aria".

Tuttavia, per garantire la perfezione multicolore di questa spettacolare opera-giardino, le orchidee vengono spesso sostituite e gli spettatori, facendo un salto al negozio di fiori del museo, possono portarsene a casa una. Cioè un pezzettino di questa grande scultura vivente.

D’altra parte lo scopo del lavoro, come dice il titolo stesso , è proprio quello di dare al pubblico l’impressione di essere tutt’uno con questa foresta tropicale. Condividendo con le piante lo spazio vitale, l’aria e la luce. Inoltre, i visitatori, messi nelle condizioni di passeggiare nelle aree in cui le piante sono più in alto sono spinti a contemplarle nella loro stupefacente bellezza.

"Quando qualcuno continua a guardare un fiore da vicino, il fiore guarda indietro e in quel momento diventa tutt'uno con il fiore e può davvero vedere i fiori per la prima volta".

Secondo il collettivo, l’opera è un monumento alla bellezza della Natura ma anche alla ricchezza della biodiversità. Di cui le orchidee costituiscono un esempio lampante.

"Le piante da fiore sono state le ultime specie vegetali ad apparire sulla terra. E le orchidee sono state gli ultimi fiori ad apparire, il che significa che sono le piante più evolute (...)  Si dice che circa il 10% di tutte le specie vegetali terrestri appartenga alla famiglia delle orchidee (...)"

"Floating Flower Garden" di Teamlab cambia anche costantemente odore (e un po’, visto che è viva, anche aspetto). Perchè a seconda del momento in cui viene osservata (mattina, pomeriggio, sera), alcune specie fanno sentire più intensamente il loro profumo o lo modificano.

Le fotografie di Noritaka Minami congelano l'intimità degli alloggi della Nakagin Capsule Tower prima della demolizione

“B1004” (2011). All images © Noritaka Minami

La demolizione dell’iconica Nakagin Capsule Tower, cominciata il 12 aprile scorso, procede molto lentamente ma dovrebbe essere ultimata per la fine dell’anno. E nonostante i problemi strutturali l’avessero resa inevitabile, di sicuro la mancanza del palazzo lascerà un vuoto. Che forse si colmerà in un prossimo futuro (nel Metaverso o nella realtà) visto che i diritti per la ricostruzione della torre dell’architetto Kishō Kurokawa sono attualmente in vendita sotto forma di NFT.

Difficilmente però la Nakagin Capsule Tower rinascerà nel quartiere di Shimbashi e sarà identica in tutto e per tutto alla prima versione.

Per questo molti hanno fotografato l’edificio finchè è stato possibile. Ma dall’esterno (era infatti severamente vietato a turisti e curiosi immortalarne l’interno). L’artista statunitense Noritaka Minami invece si è attardata in un gran numero di casette. Cercando di cogliere e mettere in evidenza le similitudini del design di ognuna e le differenti personalità degli abitandi attraverso la disposizione dei loro oggetti. Congelando l’intimità dei blocchi nelle sue fotografie e contemporaneamente raccogliendo una testimonianza preziosa.

La Nakagin Capsule Tower, progettata dall’architetto giapponese Kishō Kurokawa (che fu tra i fondatori del movimento metabolista), venne completata, dopo appena due anni, nel 1972. Composta da due torri collegate tra loro di 11 e 13 piani. Al centro di ognuna c’erano scale e ascensori, mentre ai lati sbucavano i 140 moduli prefabbricati. Questi ultimi non erano però collegati tra loro ma solo alla struttura portante centrale. Una caratteristica che creava problemi importanti all’edificio. D’altra parte i moduli erano stati concepiti per essere sostituiti ogni 25 anni. Ai tempi della progettazione venne persino inventato un macchinario per estrarre quelli vecchi e inserire quelli nuovi ma non fu mai usato. Semplicemente, all’atto pratico, non si poteva fare.

Al di là delle infiltrazioni e dell’usura, la Nakagin Capsule Tower non era antisismica. "Per noi- scrivono gli architetti Filipe Magalhães, Ana Luisa Soares che hanno abitato nell'edificio- vedere le cellule sbattere l’una contro l’altra è stata un’esperienza spaventosa. Ci siamo precipitati verso le scale in cemento, che sembravano un luogo più sicuro, e mentre correvamo giù abbiamo incontrato alcuni vicini che si comportavano come se niente fosse." L’interno dei moduli abitativi era caldissimo d’estate e freddissimo d’inverno. Gli inquilini avrebbero dovuto usare l’impianto di climatizzazione centralizzato per modulare la temperatura ma i tubi erano guasti in più punti e zeppi d’amianto.

Per questo alla fine si è deciso di abbattere l’edificio. Il panorama urbano giapponese è in continuo mutamento per via del concetto d’impermanenza, che permea l’architettura nipponica. Tuttavia la decisione di demolire la Nakagin Capsule Tower è arrivata dopo un lungo dibattito, che ha visto anche molte voci contrarie.

L’edificio, infatti, era un raro esempio di architettura del movimento metabolista.

All’interno i moduli, di circa 2 metri per quattro, erano essenziali. Gli elettrodomestici già presenti all’epoca della progettazione erano incassati nelle pareti, così come l’armadio. Poi c’era qualche ripiano, un bagno (che è stato descritto come “una capsula dentro la capsula”) e una finestra circolare (che si poteva schermare con una tenda circolare su misura).

E’ questo l’ambiente seriale fotografato da Noritaka Minami. Eppure, a seconda del padrone di casa, il minuscolo teatro cambiava diametralmente, riflettendone gusti e personalità.

Minami sottoilinea questa rivincita dell’individuo, mantenendo la camera nella stessa posizione in ogni scatto e consentendole di attardarsi solo su particolari creativi incongruenti con le dimensioni spartane dello spazio.

Noritaka Minami ha esposto le sue fotografie della Nakagin Capsule Tower nella mostra 1972/Accumulations (fino al 8 dicembre) in corso al MAS Context Reading Room di Chicago. Parecchie immagini si possono , comunque, vedere anche sul suo sito internet. (via Colossal)

Emanuelle Moureaux con 6000 strisce di nastro adesivo colorato ha creato un ambiente pittorico tridimensionale

All images by Daisuke Shima, courtesy of Emmanuelle Moureaux

L’architetto e designer francese Emanuelle Moureaux vive a Tokyo da parecchi anni ormai. A colpirla, non solo il fascino che la società giapponese nel suo complesso esercita su molti occidentali, ma anche i colori vivi della città. Secondo lei in grado di creare spazi tridimensionali indipendenti dai volumi nel tessuto urbano.

A questa impressione si ispirano le sue installazioni che negli anni ha realizzato in forme sempre più complesse per grandi marchi attivi in Giappone.

L’ultima, commissionata da Mt che produce nastro adesivo in carta washi, fa parte della serie 100 Colors. E si compone appunto di cento toni cromatici diversi. Per realizzarla Emanuelle Moureaux ha fissato 6000 strisce di nastro Mt dello spessore di 15 millimetri in verticale e diagonale, arrivando quasi a raggiungere il soffitto dell’ampio spazio industriale dov’è stata posizionata l’opera. Ma senza dimenticare di lasciare libera una sorta di galleria per permettere al visitatore di immergersi in questo effimero edificio di puro colore. Quasi un tratteggio che ha a che fare con la pittura e l’Astrattismo storico.

"Uso i colori come elementi tridimensionali- scrive Moureaux sul suo sito- come strati, per creare spazi, non come rifiniture applicate alle superfici."

L’architetto di origine francese per ultimare questo imponente progetto ha utilizzato in tutto 28 chilometri di nastro edesivo. Ma non è inconsueto per lei servirsi di grandi quantità di materiali colorati per realizzare le sue installazioni architettoniche.

"Shikiri è un nome di fantasia in giapponese che letteralmente significa 'dividere lo spazio usando i colori'. Uso i colori cioè come elementi tridimensionali, come fossero strati. Lo Shikiri è spirato dagli elementi spaziali tradizionali giapponesi come gli schermi scorrevoli".

Emanuelle Moureaux ha un sito internet e un account Instagram dove vedere altri dei suoi impressionanti ambienti di puro colore, costruiti immancabilmente coi materiali più disparati ed improbabili.