A Palazzo Grassi va in scena il discusso e multi-milionario artista inglese Damien Hirst. Che abbandonate le provocazioni della gioventù mette in scena una fiaba, fatta di miti, scultura, corallo. E false opere d’arte dell’antichità.
La mostra, sviluppata da Hirst in 5mila metri quadri tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana, si intitola “Treasures from the wreck of the unbelivable” (“Tesori dal relitto dell’incredibile”) ed à composta da fotografia e qualche accenno video ma soprattutto da tanta scultura. La precarietà dell’installazione è quasi del tutto assente. Ci sono, invece, numerosi riferimenti alla produzione del passato di Damien Hirst, dall’uso di materiali preziosi, al sapore ossessivo degli armadietti dei medicinali (che qui si trasformano in vasi).
Per questa mostra Damien Hirst si immagina il viaggio epico di uno schiavo liberato Aulus Calidius Amotan (figura leggendaria nota per la sua vasta fortuna), in mare, verso il tempio del Dio Sole. La nave affonda, ma i suoi tesori sopravvivono ai secoli e vengono ripescati ai giorni nostri.
“Treasures from the wreck of the unbelivable” è l’esposizione filologica e in grande stile dei tesori ritrovati. Con tanto di video che documenta la missione subacquea e di fotografie della spedizione. Ovviamente oggetti e materiale documentario sono opera di Hirst.
Forse il titolo come prosa potrà lascia un po’ a desiderare ma la mostra si regge su un progetto che ammicca al grande pubblico e ha richiesto ben 10 anni per essere realizzato. Come ogni kolossal che si rispetti.