Varsavia venne ricostruita con materiali di recupero. Questa storia è al centro di una mostra, insieme ad opere d'arte contemporanea
La mostra "Warsaw 1945-1949: Rising from Rubble", in corso al Museo di Varsavia (Muzeum Warszawy), racconta con reperti vari ed eterogenei, la ricostruzione post-bellica della capitale polacca. Che avvenne attraverso materiali di recupero. Del resto, da riutilizzare c’era parecchio, visto che il conflitto si lasciò dietro 22milioni di metri cubi di macerie.
In mostra ci sono mattoni, resti di vasi, sculture e quant’altro, oltre a fotografie, disegni e quadri. Ma anche opere contemporanee, che suggeriscono che questa pagina della Storia del Paese, abbia influenzato in maniera indelebile anche l’arte, oltre all’architettura della Polonia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, le città di tutta Europa, fecero ricorso a grandi quantità di materiali edilizi, per ricostruire tutto ciò che era andato distrutto nei bombardamenti. In genere, si utilizzavano materie prime prodotte sul territorio e in qualche modo emblematiche. Ma, appunto, non fu così per Varsavia.
"Il marmo di Carrara a Roma - spiega il curatore della mostra, Adam Przywara - il calcare di Portland a Londra o la 'pietra di Parigi' a Parigi: le storie di molte capitali europee possono essere decifrate osservando i materiali con cui sono state costruite. Nella seconda metà del XX secolo, Varsavia si distingueva anche per il suo carattere materiale unico: la città è stata ricostruita dalle macerie".
Sulle prime, anche i polacchi non pensavano ad altro che a buttare quella massa apparentemente inesauribile di macerie. Ma dopo un po’, cominciarono a raccogliere le rovine e ad utilizzarle per produrre nuovi materiali da costruzione. Si recuperavano mattoni e ferro, e si producevano blocchi di cemento e pietrisco. Fu un lavoro durissimo, massacrante (compiuto anche da squadre di donne), che il regime comunista, trasformò nel simbolo del futuro radioso che spettava al popolo polacco.
Tuttavia, oggi, questa storia, secondo gli organizzatori di "Warsaw 1945-1949: Rising from Rubble", ha qualcosa da insegnarci, per l’involontaria sostenibilità del monumentale progetto portato a termine in quegli anni.
“La storia della rivalutazione delle macerie- continua Adam Przywara- può servire come riferimento diretto al dibattito contemporaneo sull'edilizia sostenibile al tempo della crisi climatica, basata sul recupero e il riciclo dei materiali. Il principio delle 3R (vale a dire ridurre, riutilizzare, riciclare) è stato applicato su vasta scala nella Varsavia del dopoguerra ".
"Warsaw 1945-1949: Rising from Rubble", conta su oltre 500 reperti, distribuiti in sette sale. La narrazione procede in ordine cronologico, dalle immagini della capitale devastata dai bombardamenti, le demolizioni, fino al riutilizzo delle macerie di cemento. La mostra si chiude con uno sguardo al paesaggio urbano di Varsavia, che ha subito un'importante trasformazione, evidente nella griglia stradale e nello sviluppo edilizio. Adesso della capitale polacca fanno parte anche il Warsaw Uprising Mound, il Moczydłowska e la Szczęśliwicka Hill (tutti fatti di macerie).
Oltre alle macerie originali e ai materiali utilizzati durante la ricostruzione della città, fotografie, cartoline, mariali video e mappe sono esposte anche opere di artisti del tempo (Zofia Chomętowska , Jan Bułhak , Alfred Funkiewicz , Wojciech Fangor , Antoni Suchanek) . Ma anche lavori d'arte contempornea di: Monika Sosnowska (particolamente interessante in questa cornice, perchè Sosnowska, che qui presenta un’installazione site-specific, è una scultrice che si appropria di materiali da costruzione), Tymek Borowski o Diana Lelonek (anche lei presente con un lavoro fatto per l’occasione, in cui riflette sulla collezione del Museo di Varsavia, composta da 300mila pezzi, e sulla vita quotidiana degli oggetti tutelati).