A Letter from the Front: Gli artisti ucraini mandano film dalla guerra, mentre un'organizzazione lavora per metterli in salvo
Nel 2009 l’artista ucraino Oleksiy Sai è stato inserito nella ristretta rosa di candidati al prestigioso premio del Pinchuk Art Centre. Da quel momento in avanti ha esposto in numerose sedi ma nulla è paragonabile alla visibilità che la sua opera ha ricevuto dalla stampa nelle ultime settimane. D’altra parte con una serie intitolata Bombed (composta da rappresentazioni di mappe aeree del Donbas bucate con una smerigliatrice, a simulare la devastazione dei bombardamenti), non poteva essere altrimenti.
E’ quello che ha attirato l’attenzione del New York Times che recentemente ha raccontato la fortunata storia dei galleristi Julia e Max Voloshyn (si sono presi il covid e non sono potuti partire poi è scoppiato il conflitto) e della loro mostra pop-up di Miami prorogata ad oltranza, di cui l’opera di Sai faceva parte. Non si sa se l’artista sia stato tra quelli che si sono rifugiati nella galleria dei coniugi Voloshyn a Kiev (è sotto un palazzo di sette piani ed è stata un rifugio anti-aereo nella seconda guerra mondiale, così gli artisti della galleria sono stati invitati a usarla come riparo).
Di certo l’opera di Oleksiy Sai fa parte della mostra A Letter from the Front (Una Lettera dal Fronte; Ein Brief von der Front) organizzata dal Castello di Rivoli (Torino), in collaborazione con il museo d’arte contemporanea di Monaco, Haus der Kunst. Insieme a quella di: Yaroslav Futymsky, Katya Libkind, AntiGonna con Nikita Kadan, Yarema Malashchuk, Roman Himey, REP, Nikolay Karabinovych, Dana Kavelina, Daniil Revkovsky, Andriy Rachinsky, Alina Kleytman, Lada Nakonechna, Yuri Leiderman con Andrey Silvestrov, Lesia Khomenk®, Mykola Ridny.
L’opera in questo caso è un video, come quella di tutti gli altri artisti ucraini, chiamati in fretta e furia a fare un ritratto di una terra diventata tristemente centro delle cronache.
"Alcuni degli artisti ucraini che partecipano a questo evento con le loro opere - spiegano gli organizzatori- sono attualmente intrappolati nelle città assediate o sono fuggiti nelle zone di confine o nei paesi limitrofi. Si mobilitano all'interno o al di là dei confini di un paese dilaniato dalla guerra, sfidando le distanze con i loro corpi. Alcuni di loro non hanno potuto salvare i loro dischi rigidi prima di lasciare le loro case e gli studi. Pertanto, nell'ambito di questo progetto, le opere d'arte possono essere mostrate solo nella forma in cui sono state archiviate digitalmente su server, cloud e piattaforme web".
Curiosamente le opere in mostra (ed alcune in particolare) sono animate da una tensione intensa che annichilisce chi le guarda anche se sono tutte ampiamente precedenti allo scoppio del conflitto.