Con “Northern Lights” la Fondazione Beyeler riunisce per la prima volta gli avventurosi (e sconosciuti) paesaggisti dell’estremo nord
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Era il 1910 e Anna (Scholander) Boberg, con una spessa cuffia che le copriva le orecchie, un paio di stivali imbottiti e una pelliccia scura, in barba alla moda, guardava fiera l’orizzonte. Tuttavia quel portamento, assunto un po’ per posa di fronte alla macchina fotografica e un po’ per bilanciare il peso del cavalletto portatile che sfoggiava fissato alla cintura, a lei che avrebbe passato la vita a dipingere i paesaggi innevati della Norvegia settentrionale (a nord del Circolo Polare Artico), si addiceva parecchio.
Quel temperamento indomito e avventuroso la pittrice svedese lo condivideva con la maggior parte degli artisti la cui opera si può ora ammirare nella mostra “Northern Lights” (“Luci del Nord”). Inaugurata domenica alla Fondazione Beyeler di Riehen (appena fuori Basilea, in Svizzera). L’esposizione è una raccolta di settanta paesaggi dipinti tra il 1888 e il 1930 alle latitudini più estreme, da autori norvegesi, finlandesi, canadesi, russi e svedesi per celebrare la bellezza della natura nordica.
Fatta eccezione per Edvard Munch e per Hilma af Klint, sono tutti autori semisconosciuti al di fuori del loro paese d’origine. Ma non per questo i loro dipinti sono meno emozionanti. Anzi.
Ci sono: la finlandese Helmi Biese (vissuta dal 1867 al 1933), il principe Eugenio di Svezia duca di Närke (1865 – 1947), lo svedese Gustaf Fjaestad (1868 – 1948), il finlandese Akseli Gallen-Kallela (1865 – 1931), la canadese Emily Carr (1871 – 1945), il canadese Lawren Harris (1885 – 1970), l’anglo- canadese J. E. H. MacDonald (1873–1932), il russo Ivan Šiškin (1832 –1898), il norvegese Harald Sohlberg (1869 – 1935) e il canadese Tom Thomson (1877–1917). Oltre alla già nominata Anna (Scholander) Boberg (svedese, 1864 –1935).
La Fondazione Beyeler a proposito di “Northern Lights” ha scritto: “Sebbene molti di questi artisti e siano celebrati in patria alla stregua di eroi ed eroine nazionali, per la maggior parte dei visitatori alle nostre latitudini essi potrebbero rappresentare un’avvincente scoperta. È infatti la prima volta che in Europa si dedica una mostra a questo tema.”
La foresta boreale selvaggia e incontaminata, i vasti tratti di costa pullulanti di vita ma privi di presenze umane, i cumuli di neve e ghiaccio, il foliage dell’autunno nei boschi, l’acqua dei ruscelli, dei laghi o del mare, ma soprattutto la luce del nord, animano le loro tele di suggestioni comuni malgrado i loro stili siano molto diversi.
La mostra, infatti, prende in considerazione un lasso temporale piuttosto vasto, che nell’Europa centrale corrisponde alla nascita di numerose avanguardie. Molti degli artisti presentati alla Fondazione Beyeler avevano trascorso un periodo a Parigi e i loro paesaggi, nello stile e nei colori, hanno subito l’influsso quando di un movimento quando dell’altro. E in questo senso “Northern Lights” nasconde una ricchezza di declinazioni caleidoscopica.
Il museo ha spiegato: “Artisti influenti delle avanguardie novecentesche quali Vincent van Gogh, Claude Monet, Paul Cézanne e Henri Matisse incisero anche sulla moderna pittura di paesaggio nordica aprendo nuove prospettive su colore, luce e forma. Nel fare proprie queste idee i pittori e le pittrici del nord le interpretarono in maniera personale e inconfondibile dando così vita a un’avanguardia specificatamente nordica che non va considerata uno stile, bensì un approccio etico volto a celebrare l'indomita natura del nord in tutta la sua maestosità e bellezza”.
Si spazia dall’approccio classico, per quanto fresco e personale, di Biese, a quello altrettanto classico pur se ricercato e colto del principe Eugenio, al simbolismo di Gallen-Kallela, fino al neoromanticismo avanguardistico, misterioso e vagamente surreale di Sohlberg (in Norvegia è considerato secondo solo a Munch); passando per i paesaggi cesellati, decorativi e scenografici di Fjæstad e per la ricerca fuori dagli schemi di Boberg (lei, che si dedicava anche ai tessuti, tra le altre cose dipingeva su tela grezza prediligendo formati verticali e chiamava le sue opere “arazzi” perché il risultato ricordava gli arazzi intrecciati). Alcuni di loro, poi, come af Klint, dalla pittura di paesaggio si sarebbero spinti fino all’astrazione (è il caso di Carr e Harris), e prima del cambiamento avrebbero reso la natura sempre più stilizzata e irreale.
Esclusi i più famosi di loro però, questi artisti intraprendono un percorso che si discosta dalla ricerca, dalle preoccupazioni e dagli obbiettivi delle avanguardie europee.
La Fondazione Beyeler in proposito ha scritto: “Il periodo preso in esame non riguarda esclusivamente la storia culturale delle avanguardie di primo Novecento e la relativa, sistematica messa in discussione della tradizione. Da un punto di vista geopolitico a quell’epoca andavano formandosi al nord nuovi stati alla cui nascita contribuì la febbrile lotta per la conquista di una loro identità nazionale. Artiste e artisti misero in scena la loro patria e i suoi spazi naturali come simboli dell’identità nazionale e della sua eredità culturale. I soggetti desunti dalla natura, già di per sé impressionanti, assurgevano a emblemi dell’anima della nazione e dei legami con la propria cultura contribuendo in misura decisiva a plasmare l’identità della patria. In tutti questi paesi il sorgere dell’avanguardia nordica era strettamente collegato alla politica che mirava a costruire un’identità nazionale”.
La maggior parte di questi artisti ci regalano anche delle pagine di vita decisamente suggestive, ognuna delle quali si intuisce dai dipinti. E’ il caso di Carr che era solita intraprendere lunghi viaggi per ammirare gli insediamenti dei nativi americani, o di Thomson, spirito libero, eccellente nuotatore e pescatore, che si spingeva nel cuore della natura selvaggia dell’Ontario per fare schizzi su schizzi che avrebbe poi completato in studio durante la stagione fredda (Thomson sarebbe morto a soli 39 anni durante un’uscita in canoa, confermando anche nelle tragedia il suo carattere indomito).
Il Gruppo dei Sette (il primo movimento artistico canadese), invece, si concedeva spedizioni più comode nelle aree remote del Paese: avevano trasformato uno scompartimento ferroviario in uno studio viaggiante (sia Carr che Thomson sono in qualche modo legati al Gruppo dei Sette ma non ne sono considerati parte). Per non parlare di Boring che andava molto spesso a dipingere alle isole Lofoten, preferendo l’inverno all’estate