Biennale di Venezia 2022| "The Concert" di Latifa Echakhch, porta l'eco dell'Arte fra i fuochi rituali del Padiglione Svizzera
Scenografico, ma di un simbolismo stringente, dove nulla è lasciato al caso. “The Concert”, Il Padiglione Svizzera di Latifa Echakhch per la 59esima Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia è affasciante e sintetico. Davvero ben riuscito. Non a caso l’artista franco-marocchina residente a Vevey (sul Lago di Ginevra nel Cantone di Vaud), è rappresentata da alcune tra le gallerie più influenti del mondo.
Il visitatore accede al padiglione dal cortile interno: la luce del giorno pervade l’ambiente, calpesta tizzoni ormai spenti ridotti in briciole, vede installazioni di legno intrecciato che intuisce essere state rese informi dal fuoco. Per poi entrare nelle sale, dove la notte cala poco a poco. Con lei tornano gli incendi. Man mano che procede però, le sculture riprendono le loro sembianze: antropomofe e monumentali. Sempre più ricche, mentre le fiamme si spengono e i riverberi del tramonto le lambiscono.
Concepita per essere visitata ascoltando una colonna sonora (da scaricare gratuitamente all’ingresso attraverso un codice a barre), “The Concert” è un viaggio a ritroso attraverso una notte di fuochi rituali. Quelli che in vari paesi e culture scandiscono i cambi di stagione e propiziano il futuro.
Tra loro “il rogo di pupazzi di paglia nella notte di San Giovanni-spiegano gli organizzatori- che dovrebbe proteggere contro i demoni e le malattie nel periodo del solstizio alla fine di giugno, o, in Svizzera, il «Böögg», dato alle fiamme sul Sechseläutenplatz per scacciare l’inverno.” Ma nella stessa notte di capodanno era antica usanza bruciare oggetti per avere un nuovo anno prospero e felice.
Questi riti, catartici e carichi di speranza, sono radicati nel folklore perchè simboleggiano l’esistenza di una fine e quella di un nuovo inizio oltre a sottolineare la ciclicità del tempo. Echakhch li paragona a un grande concerto e attraverso di loro cerca nella Biennale la stessa eco interiore. Una profonda e duratura rinascita ma anche il cristallizzarsi del potere dell’Arte nell’animo di ognuno.
"Vogliamo che il pubblico- ha detto l'artista- lasci l’esposizione con la stessa sensazione di quando si esce da un concerto. Che senta l’eco di questo ritmo, di quei frammenti di memoria. Ogni volta, la Biennale offre un profluvio di eccellenza artistica. Un’onda che culmina in una magnificenza catartica per poi rifluire, lasciando un paesaggio deserto di edifici abbandonati".
Si chiede, insomma, se l’arte, può, come la musica, iniziare a esistere anche quando il silenzio e un senso di vuoto prendono il sopravvento.
“The Concert” procede a ritroso sia per esigenze narrative (ci svela i contenuti della storia poco a poco), che per chiudere il cerchio della visita con la parte più positiva del racconto (quella della fervente attesa; una sorta di cortesia verso chi entra). Ma soprattutto per dialogare con l’architettura del padiglione progettato da Bruno Giacometti nel 1951.
L’artista ha creato l’installazione con materiali riciclati da precedenti edizioni de la Biennale. Sempre nell’ottica dell’intervento, legato ai concetti di trasfomazione e permanenza.