Berthe Morisot, l'ultima impressionista sottovalutata
Nata il 14 gennaio del 1841 da una famiglia altoborghese, Berthe Marie Pauline Morisot più comunemente nota come Berthe Morisot, è la meno conosciuta tra gli impressionisti. Penalizzata da una critica che, fino a non molti anni fa, focalizzava il proprio interesse sugli esponenti maschili del gruppo, Morisot è ora considerata una tra gli artisti più importanti della sua epoca. Non solo perché lei, cui le scorribande dei colleghi nel cuore di una società in piena trasformazione erano precluse, ci ha lasciato un punto di vista unico sull’intimità familiare e sulla quotidianità dei parigini. Ma anche per la flessibilità tecnica (usava colori ad olio, pastelli ed acquerello contemporaneamente), il senso del colore raffinato e brioso e la spettacolare pennellata. Senza contare il suo occhio attento alla moda.
Il nuovo peso di Berthe Morisot nella storia dell’arte ce lo testimoniano le due mostre a lei dedicate, nella sola Italia, per celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’Impressionismo.
Il via alle danze lo ha dato Genova il 12 ottobre, con l’inaugurazione di “Impression, Morisot” (a Palazzo Ducale fino al 23 febbraio 2025), immediatamente seguita da Torino, che il 16 dello stesso mese ha aperto le porte della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea (GAM) agli spettatori di “Berthe Morisot Pittrice impressionista” (fino al 9 marzo 2025).
Nell’Appartamento del Doge sono installati 86 tra dipinti, acqueforti, acquerelli, pastelli, documenti fotografici e d’archivio (molti dei quali provenienti dai prestiti inediti degli eredi Morisot); la mostra curata dalla studiosa Marianne Mathieu “riserva novità scientifiche correlate ai soggiorni sulla Riviera tra 1881-1882 e 1888 -1889 e all’influenza della luce mediterranea sulla sua opera”. Alla GAM ci sono invece 50 opere tra disegni, incisioni e celebri dipinti provenienti da prestigiose istituzioni pubbliche come il Musée Marmottan Monet di Parigi, il Musée d'Orsay di Parigi, il Musée des Beaux-Arts di Pau, il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid, il Musée d'Ixelles di Bruxelles, l’Institut National d'Histoire de l'Art (INHA) di Parigi e importanti collezioni private. Curata dalle storiche dell’arte Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, l’esposizione di Torino promette di riunire le opere più emblematiche della francese. Al percorso espositivo ha contribuito con interventi davvero interessanti l’artista italiano Stefano Arienti.
Figlia del prefetto del dipartimento di Cher (nel centro della Francia) e della pronipote del famoso pittore Jean-Honoré Fragonard (ha ispirato molti, tra cui Jeff Koons che lo predilige), Berthe venne sostenuta dai genitori nella sua passione per l’arte e, insieme alla sorella Edma (l’unica oltre a lei, tra i quattro figli dei Morisot, ad avere il talento e la volontà di dedicarsi alla pittura), prese lezioni private da diversi rinomati artisti dell’epoca (tra loro c’era anche Jean-Baptiste-Camille Corot, a tutt’oggi considerato una figura fondamentale nella pittura di paesaggio). Mentre il meno celebre, Joseph Guichard, che le introdusse alle copie dei capolavori conservati al Louvre, scrisse delle due sorelle alla madre:
“Con delle nature come quelle delle vostre figlie, non piccoli talenti per diletto, attraverso il mio insegnamento, esse diventeranno delle pittrici. Vi rendete conto di quello che vuol dire? […] questa sarà una rivoluzione, io direi quasi una catastrofe. Siete del tutto sicura di non maledire mai il giorno in cui l’arte […] sarà la sola padrona del destino di due delle vostre figlie?”
Nonostante ciò, alle due ragazze vennero negate le possibilità che erano invece offerte agli aspiranti pittori (di fare lezioni di disegno anatomico con modelli nudi non si parlava e, di conseguenza, non potevano dipingere le grandi composizioni storiche e religiose, cioè i pezzi più considerati dalla critica, dalla società e dai committenti). E poi c’era la questione del matrimonio, che, si presupponeva, loro avrebbero anteposto alla carriera.
Fu così per Edma che si sposò e smise di dipingere per mancanza di tempo, ma non per Berthe. Quest’ultima difatti, prima tergiversò un bel po', e alla fine scelse Eugène Manet. Anche lui pittore e fratello del caro amico Édouard Manet che l’aveva usata come modella in alcune sue famose opere (ad esempio, “Berthe Morisot au bouquet de violettes”) oltre ad aver condiviso con lei la prima mostra degli Impressionisti nel 1874 (insieme a loro tra gli altri anche Monet, Renoir e Degas). Il rapporto tra i due era talmente stretto che gli studiosi hanno spesso ipotizzato che Édouard fosse segretamente innamorato della collega.
Il marito insomma non le fu mai d’ostacolo, è anzi al centro di una delle opere più iconiche di Morisot: “In Inghilterra (Eugène Manet sull’isola di Wight)” (normalmente conservato al Musée Marmottan di Parigi ma adesso in mostra alla GAM di Torino). Lei lo dipinse nel 1875 mentre la coppia era in luna di miele al mare. Il tratto è fremente e sicuro, ogni cosa è abbandonata alla pennellata veloce e all’immediata forza del colore, senza tuttavia perdere in accuratezza e riconoscibilità. La luce (molto diversa da quella parigina), resa attraverso segni liberi, macchie e grumi, definisce le forme e l’atmosfera del quadro. Anche se a renderlo straordinario è la composizione teatrale ma fluttuante (la posizione della sedia su cui è seduto Eugène, la finestra e il recinto determinano la profondità di un’immagine altrimenti piatta, sul punto di scomporsi) e la molteplicità di punti di vista rappresentati dall’artista che spinge a riflettere su cosa significhi guardare ed essere guardati.
Nell’opera c’è anche una bambina, come spesso capitava nei suoi dipinti, pieni di figure femminili pensose e fiori. E proprio la figlia, Eugénie Julie Manet, da dopo la sua nascita (avvenuta nel 1878) sarà uno dei soggetti preferiti di Berthe. D’altra parte, già prima di sposarsi lei dipingeva i suoi familiari (un po’ per comodità un po’ perché non sarebbe stato ben visto che facesse altrimenti).
Tuttavia Morisot affrontava le difficoltà di fare la pittrice senza scomporsi. Quello che invece la faceva soffrire ed arrabbiare era la minor considerazione che i critici maschi attribuivano alla sua opera rispetto a quella dei colleghi: "Non credo- scrisse una volta- che ci sia mai stato un uomo che abbia trattato una donna come un'eguale e questo è tutto ciò che avrei chiesto, perché so di valere quanto loro".