I paesaggi argentini intessuti da Alexandra Kehayoglou, come eco-memorie distillate in un tappeto

“Santa Cruz River” (2016-2017), detail, Textile tapestry (handtuft system), wool, 980 x 420 cm, Courtesy of The National Gallery of Victoria and the artist. All other images © Alexandra Kehayoglou

“Santa Cruz River” (2016-2017), detail, Textile tapestry (handtuft system), wool, 980 x 420 cm, Courtesy of The National Gallery of Victoria and the artist. All other images © Alexandra Kehayoglou

L’artista argentina Alexandra Kehayoglou fa tappeti e arazzi bellissimi che riproducono il paesaggio della sua terra visto dall’alto. Resa famosa, tra le altre cose, da collaborazioni con star dell’arte contemporanea (come Olafur Eliasson), del design (come Dries Van Noten) e con importanti brand della moda. Opera nel solco delle arti applicate in un punto di congiunzione tra arte (con la A maiuscola) e design. Tra aspetto e contenuto. Tra storia e presente.

Ieri e oggi convivono anche nel significato del lavoro, in cui la fotografia tessile del paesaggio delle praterie (soprattutto quelle vicine alla sua città natale: Buenos Aires), diventa testimonianza e specchio di mutamento involontario del paesaggio incontaminato. Sullo sfondo sempre i temi contestati dagli ecologisti (cambiamenti climatici, deforestazione, fabbriche ecc.).

Una posizione, quella dell’arte tessile di Kehayoglou, proficua nel breve periodo, insidiosa nel lungo. Qualcosa rischia sempre di farti naufragare verso il lezioso, il vuoto, il ripetitivo. A mantenere l’equilibrio ci pensa la partecipazione di lei, che costella ogni pezzo di ricordi personali. Il paesaggio che (di norma) ritrae, è quello che ha nella mente e nel cuore, come argentina e come persona, che l’ha percorso, osservato e condiviso con chi le era caro negli anni.

Prima, per dare corpo alle sue opere, usava addirittura i tessuti di scarto della fabbrica di tappeti che apparteneva al padre. In quella pratica, c’era tenerezza e orgoglioso senso d’identità. Poi le cose della vita sono cambiate ma non i tratti emotivi del lavoro dell’artista.

Sia i tappeti che gli arazzi di Alexandra Kehayoglou sono realizzati con una tecnica artiginale complessa in vari materiali. A volte.ideati come isole da comporre o semplicemente come tessuti da stendere su pavimento. Altre diventano grandi fino ad avvolgere un intero ambiente espositivo. In alcuni casi virano verso l’astrazione ma più spesso sono spietatamente iperrealisti.

Anche il calendario espositivo di Alexandra Kehaoglou è stato sconvolto dalla pandemia, che continua a tenere in ostaggio parte dei musei e delle gallerie del mondo, ma per vedere virtualmente (parola che purtroppo tutti abbiamo imparato ad odiare) altre opere d’arte tessile il suo sito internet e l’account instagram se non altro hanno il beneficio di essere aperti a ogni ora del giorno e della notte.

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“Santa Cruz River” detail (2016-2017), Textile tapestry (handtuft system), wool, 980 x 420 cm

“Santa Cruz River” detail (2016-2017), Textile tapestry (handtuft system), wool, 980 x 420 cm

“Hope the voyage is a long one” (2016), Textile tapestry (handtuft system), wool

“Hope the voyage is a long one” (2016), Textile tapestry (handtuft system), wool

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Le minuscole gru di carta di Naoki Onogawa come mute preghiere alla bellezza della Natura

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Il giovane giapponese Naoki Onogawa crea opere complesse prendendo il via da elementi semplici, come degli origami di gru della manciuria. Ne piega migliaia da piccole sezioni di carta, e poi le dispone su dei supporti. Componendo, quando soffioni, quando bonsai, quando fiori ( e così via).

Teatrali, i suoi lavori, partono dallo stupore suscitato dai minuscoli orizuro che si accalcano massivi ma armoniosi, in creazioni a grandezza naturale. Per arrivare a richiamare alle mente di chi osserva il processo, quasi una pratica mistica, che conduce l’artista all’opera stessa.

L’amore di Onogawa per la tecnica dell’origami sta alla base dell sua pratica artistica. Ma è il tenace uso del medesimo soggetto, a lasciare chi guarda un po’ ipnotizzato eppure incuriosito. Il simbolo della gru, infatti, per Naoki Onogawa è imprescindibile. Quasi un condensato con tanto di becco e ali dell’antico uso di piegare la carta. Del tutto svuotato del suo significato originale però, per il continuo essere riprodotto in tutto il mondo, fino, e proprio per questo, a fargli accendere all’interno una scintilla di sacralità. Che magari c’era già o magari no, ma che oggi, secondo l’artista, lo rende speciale.

"Riflettendo- ha scritto del suo lavoro tempo fa- sento che qualcosa nelle gru origami è sacro. Che al loro interno ospitano qualcosa di misterioso, di mistico. E queste sono la verità che appartengono al concetto di 'bellezza' in cui ho fede".

Allo stesso modo Onogawa , per riprodurlo migliaia di volte, si libera di se stesso, senza tuttavia perdere del tutto la propria concentrazione, e arriva perciò a intravedere una scintilla di sacralità a sua volta. Come se ripetesse una muta preghiera.

"Credo che ogni persona che ha familiarità con le gru di carta abbia una propria storia con loro. Il modo in cui ognuno si sente di fronte a questo simbolo della cultura giapponese e lo custodisce nella propria mente è unico, ma spero che le mie opere consentano un nuovo dialogo. Attraverso di esso, spero che succeda qualcosa, qualunque cosa sia, che muova il ​​cuore dello spettatore".

Le opere di Naoki Onogawa sono esposte, come l’installazione e i lavori bidimensionali di Motoi Yamamoto (di cui ho parlato recentemente), al Setouchi City Museum of Art (Museo d’Arte della città di Setouchi). La mostra di Onogawa però, che si chiama “Folklore”, rimarrà aperta fino al 23 di maggio. Per seguire, invece, da lontano la pratica che congiunge artigianato, design e arte di Onogawa, l’account instagram è una scelta azzeccata. (via Spoon and Tamago)

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Museo il nuovo motore di ricerca delle immagini dei capolavori che fa cilecca ma resta una grande idea

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Chiamatelo “Search Engine”, permettendovi un anglicismo, o semplicemente “Motore di Ricerca”, ma “Museo” è destinato a rivoluzionare il settore delle immagini di opere d’arte. Permette, infatti, di trovare per parola chiave: dipinti, sculture, opere grafiche e chi più ne ha più ne metta, rigorosamente in licenza Creative Commons. Per ora presenta falle e limiti ma l’idea resta comunque un unicum.

Ideato da Chase McCoy, Museo, si chiama proprio così in italiano, anche se per adesso attinge alle sole immagini di capolavori conservati all' Art Institute of Chicago, al Rijksmuseum di Amsterdam, al Minneapolis Institute of Art e alla New York Public Library. E’ in grado di scovare riproduzioni in licenza Creative Commons (solitamente zero) per argomento (la ricerca va fatta in inglese ma con Google Translate a portata di mano chi non può usare termini come journey, nature o Japan, solo per fare alcuni esempi, al giorno d’oggi?)

Non sempre funziona. Che sia l’orario, o tenda a impantanarsi se una parola chiave ha dato risultati infruttuosi, stà di fatto che Museo per ora presenta dei punti deboli e dei limiti.

Ma ha appena cominciato la sua attività e gli spazi di miglioramento sono infinitamente vasti. Senza contare che l’idea è rivoluzionaria: ti servono immagini gratuite per illustrare un testo? Vuoi rinnovare il design di qualcosa o ideare un’opera partendo da una preesistente senza mettere mano al portafoglio? Ecco la risposta alle tue richieste in un unico sito.

"Ogni immagine che trovi qui- recita la pagina di Museo- è di pubblico dominio e completamente gratuita da usare, anche se si consiglia di accreditare l'istituto di origine!"

Il motore di ricerca di immagini in licenza Creative Commons, Museo, permette di incappare anche in oggetti curiosi provenienti da un passato lontano e in testimonianze di Storia delle Arti Applicate. (via Open Culture)

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