C’ è anche Anish Kapoor tra gli artisti che stanno addestrando l’Intelligenza Artificiale (a loro insaputa)

UNA VERA OPERA DI ANISH KAPOOR IN MOSTRA A FIRENZE

Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi. Svayambhu, 2007; cera, vernice a base di olio. Endless Column, 1992; tecnica mista, pigmento. ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

Anish Kapoor, ancora per poco in mostra a Palazzo Strozzi di Firenze (“Untrue Unreal”) è uno degli artisti che hanno contribuito ad addestrare Midjorney e gli altri software che utilizzano l’Intelligenza Artificiale per creare immagini. Kapoor però non ne sapeva nulla. E non è il solo: sono 16mila i nomi di artisti e illustratori di tutte le nazionalità inseriti in un documento parte di una causa legale intentata negli Stati Uniti contro le aziende che operano nel settore dell’IA. Tra gli italiani, molti scomparsi: De Chirico, Botero, Marini (le cui opera sono, tuttavia, ancora coperte da copyright, sia, almeno in parte, negli Stati Uniti, che in Europa) e poi Mario Merz (il cui lavoro è tutelato dall’omonima fondazione) . Oltre ad alcuni in piena attività, come lo street artist di Senigallia Blu – graffiti, l’artista e designer romano Luigi Serafini, il disegnatore livornese Paolo Parente e il fumettista torinese Massimiliano Frezzato.

Lo scorso anno negli Stati Uniti sono state avviate una decina di azioni legali diverse da parte di creativi di vari settori (scrittori, podcasters, artisti visuali, fotografi ecc.) contro le aziende che si occupano di intelligenza artificiale generativa. Tra queste c’è una causa collettiva intentata da una decina di artisti americani in California contro Midjourney, Stability AI, Runway AI e DeviantArt, che contesta alle società di violare il copyright per creare il loro prodotto (l’IA deve visionare migliaia di scritti o immagini, da cui impara, per poi poter svolgere i compiti a lei assegnati). Recentemente l’allegato di 24 pagine, in cui sono contenuti i nomi dei creativi alla cui opera Midjourney e gli altri si sarebbeero ispirati, è stato reso pubblico, accendendo la polemica anche in Europa.

Il Guardian (nella lista sono molti, infatti, i nomi famosi del Regno Unito; tra loro, oltre a sir Kapoor, anche Damien Hirst, David Hockney , Tracy Emin ecc.) ha scritto che diversi artisti britannici avrebbero già contattato gli studi legali statunitensi per discutere l’adesione alla causa collettiva.

Dietro a questa come ad altre azioni legali c’è l’avvocato americano Matthew Butterick che ha commentato: “Abbiamo riscontrato l’interesse di artisti in tutto il mondo.

Designer e programmatore, Matthew Butterick, ha un profilo atipico per un giurista. Al successo è arrivato presto con un azienda di web design che ha presto venduto (si chiamava “Atomic Vision” e negli anni ’90 aveva 20 dipendenti) poi si è iscritto di nuovo a giurisprudenza e si è laureato. A quel punto ha aperto il sito web “Typography for Lawyers” che avrebbe dovuto essere un divertissement e invece si è trasformato in un’attività imprenditoriale a pieno titolo, visto che i tribunali e le aziende di tutti gli Stati Uniti hanno cominciato ad utilizzare caratteri tipografici da lei proposti. Recentemente, Butterick, si è detto che la questione dell’apprendimento dell’IA non gliela raccontava giusta e, insieme ad un altro avvocato americano appassionato di caratteri tipografici (Joseph Saveri), ha costruito quattro cause separate su questo tema (una è, appunto, quella degli artisti contro Midjourney).

L’esito dell’ azione, tuttavia, come spiega ampiamente il sito Wired, è molto incerto, perché le aziende sono decise a vendere cara la pelle e il settore, dopo anni di stallo, adesso macina soldi a palate. Poi c’è da tenere conto dell’aspetto sociale della vicenda: l’IA se adeguatamente addestrata può diventare utile in un’infinità di campi. E se un giudice ordinasse alle aziende di ricominciare da zero escludendo centinaia di voci, o di negoziare con ogni proprietario i diritti di copyright, sarebbe un disastro. Quindi non è detto che nella causa contro Midjourney, Stability AI, Runway AI e DeviantArt la corte non propenderà per la visione delle aziende (secondo le quali, in estrema sintesi, l’algoritmo si limita a visionare il materiale come un qualsiasi utente di un motore di ricerca e, perciò, non viola i diritti di proprietà intellettuale).

Gli artisti però, da un po’ di tempo a questa parte, possono proteggersi con un programma gratuito che mantiene le immagini inalterate alla vista di un umano ma le rende illeggibili ad una macchina (“Glaze” dell’Università di Chicago). Inoltre, esiste un motore di ricerca che promette di scoprire se il proprio lavoro è servito all’apprendimento dell’IA (Haveibeentrained).

Nel frattempo, Anish Kapoor (ancora per meno di due settimane protagonista dell’importante mostra Untrue Unreal”a Palazzo Strozzi di Firenze) che ci ha aiutato a cominciare questo viaggio negli attriti tra creatività umana e macchina, sta per passare il testimone ad Anselm Kiefer (la cui personale, “Angeli Caduti”, inaugurerà il 22 marzo 2024). Inutile dire che, con oltre 100mila visitatori già conteggiati, l’esposizione è stata un successo. Per vederla, o semplicemente per entrare nel cortile del prestigioso spazio espositivo e godersi dal vivo la grande opera pubblica “Void Pavillion VII”, che l’artista indiano-britannico ha creato appositamente per l’occasione, resta tempo fino al 4 febbraio 2024. Mentre il podcast “Quando l’arte riflette il mondo”, in cui il direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, affiancato dalla giornalista Silvia Boccardi, parla di Kapoor e degli altri artisti che sono stati ospiti dello spazio espositivo fiorentino, resterà ascoltabile anche in seguito. Da umani e non umani.

UN IMMAGINE CREATA DALL’IA ISPIRANDOSI ALL’OPERA DI KAPOOR

Opera creata da e con Artvy.ai

Il museo dell’arte censurata ha inaugurato ieri a Barrcellona

“McJesus” di Jani Leinonen al Museo dell’Arte Proibita di Barcellona

Ci sono persone che tramutano in oro tutto quello che toccano. Josep Maria Benet Ferran, conosciuto come Taxto Benet, è tra questi. Il sessantaseienne catalano, infatti, dopo aver cominciato la sua carriera come semplice giornalista sportivo si è guadagnato la fama e ora è coordinatore dell’area sportiva della federazione che riunisce le tv autonome spagnole ma soprattutto condivide la gestione del Gruppo Mediapro (conglomerato che opera nell’audiovisivo con 6700 dipendenti e sedi in 36 paesi tra cui l’Italia). Uno così non poteva che cominciare una collezione d’arte per caso e scoprire di aver messo insieme qualcosa di unico al mondo.

Il Museu de l'Art Prohibit o Museo dell’Arte Proibita, che ha inaugurato ieri a Barcellona, ne è la prova tangibile. Con oltre 200 opere censurate o boicottate in vari modi su cui contare, riunisce, ad esempio, Pablo Picasso, Francisco Goya, Gustav Klimt ma anche Ai Weiwei, Robert Mapplethorpe, Andres Serrano, David Černý e Banksy (che sia come sia non manca mai). Tutto proviene dalla collezione di Benet. Ed è un unicum. Una caratteristica che nemmeno lui all’inizio aveva considerato.

Benet, infatti, comincia a collezionare solo nel 2018, un po’ per caso un po’ per sdegno, quando l’artista Santiago Sierra espone “Presos políticos en la España contemporánea”che denuncia l’esistenza della carcerazione per motivi politici nella società spagnola contemporanea. Il pezzo, composto da 24 ritratti pixelati in bianco e nero, ritrae gli indipendentisti catalani ma anche due terroristi condannati per aver fatto esplodere una bomba nella Basilica del Pilar di Saragozza, viene perciò ritirato dalla Fiera internazionale d’Arte Contemporanea di Barcellona (Arco) di quell’anno. Benet dopo quel primo acquisto comprerà altre tre opere censurate ma senza l’idea di farne il filo conduttore della sua raccolta. Questa consapevolezza arriverà solo al quarto trofeo: “Silence rouge et bleu” della russo-algerina, Zoulikha Bouabdellah (tappeti persiani da preghiera con scarpe col tacco a spillo sopra, opera ritirata per paura di proteste della comunità mussulmana). Così comincia a collezionare lavori censurati e via via che raccoglie scopre che nel mondo non esiste niente di simile. L’idea del museo nascerà di conseguenza.

Il Museu de l'Art Prohibit ha sede nello splendido palazzo Casa Garriga-Nogués (opera primo novecentesca dell’architetto, Enric Sagnier; con facciata che mixa elementi modernisti e barocchi, oltre a 2000 metri quadri calpestabili nel quartiere di Eixample). Ma non espone l’intera collezione di Taxto Benet (che in pochi anni è cresciuta a dismisura), mostrandola, invece, a rotazione in tranche di 60-70 opere alla volta. La prima tornata è composta da 70 tra dipinti, installazioni e materiale vario. Ci sono, ad esempio, alcuni “Caprichos” di Goya (incisioni con il famoso frontespizio “Il sonno della ragione genera mostri” a fine ‘700 vennero messi in vendita e poi ritirati dall’Inquisizione) o alcuni “Mao” di Andy Warhol (vietati in Cina nel 2012).

Non si può dire tuttavia che la maggior parte degli artisti esposti abbiano subito indegne persecuzioni. Lo stesso Ai Weiwei, che i suoi bravi dissapori con il Partito Comunista cinese li ha avuti eccome tanto da essere finito in carcere, è qui presente con “Filippo Strozzi in Lego” (opera, parte della serie dedicata ai dissidenti, esposta durante la mostra di Weiwei a Palazzo Strozzi di Firenze) per cui l’artista cinese si è solo visto negare una fornitura di mattoncini dalla Lego.

Alcune opere storiche furono giudicate troppo esplicite sessualmente per l’epoca in cui vennero create. Parecchio altro materiale si è attirato gli strali della Chiesa che, per varie ragioni l’ha giudicato offensivo. D’altra parte, la collezione Benet comprende il famigerato “Piss Christ” dell'americano Andres Serrano (una fotografia del 1987 di un un piccolo crocifisso di plastica immerso in un contenitore contenente l'urina dell'artista). La Madonna che si dedica all’autoerotismo della spagnola Charo Corrales e l’immagine del Cristo crocifisso sulle ali di un caccia americano, creata nel ’65 dall’argentino León Ferrari per protestare contro la guerra in Vietnam (la espose alla Biennale di Venezia e vinse il Leone d’Oro ma in spagna ha continuato a suscitare polemiche nel corso degli anni). Infine il crocifisso stile Mc Donald (appunto “McJesus” di Jani Leinonen), che si attirò gli strali dei cristiani palestinesi ad Haifa

Ad ogni modo, la collezione di Benet comprende un gran numero di lavori importanti, fatti per colpire allo stomaco il visitatore. E’ il caso della parodia dello squalo in formaldeide di Damien Hirst ad opera del ceco David Černý, che in formaldeide ha messo una scultura iperrealista di Saddam Hussein, nudo, con una corda al collo.

Ma la collezione del Museu de l'Art Prohibit conta molti altri capolavori censurati e non mancherà di far discutere per molto tempo ancora.

“We” di Maurizio Cattelan procede ma al Leeum Museum of Art di Seul il clima si è fatto teso

La notizia di uno studente (Noh Huyn-soo della Seoul National University, dove sta approfondendo Estetica e Religione), che è riuscito ad eguagliare l’impresa dell’artista David Datuna, mangiandosi “Comedian” di Maurizio Cattelan perché “aveva fame”, ha fatto il giro del mondo. Un contrattempo da poco per il Leeum Museum of Art dov’è in corso l’importante retrospettiva “We” dedicata al famoso artista di origine italiana, che ha prontamente rimpiazzato il frutto. E una bella pubblicità.

 Il giovane, che non è stato denunciato, c’ha guadagnato un video (girato da un suo amico e poi rimbalzato sui media globali) e persino qualche intervista, il museo ha di sicuro massimizzato gli ingressi alla mostra che già prima procedeva col vento in poppa (anche perchè oltre ad essere un’indagine davvero esaustiva sull’opera di Cattelan, è ad ingresso gratuito). Tuttavia, come già riportava il Washiton Post giorni fa, sui tre piani del moderno edificio nell’elegante quartiere di Hannam dove si svolge l’evento, il clima si è fatto teso. Gli addetti alla vigilanza delle sale adesso sanno di dover intervenire se qualcuno si avvicinasse con aria decisa al frutto appiccicato col nastro adesivo alla parete. O, peggio, agli altri lavori. Dopo tutto recentemente anche “L.O.V.E.”, l’enorme dito medio in piazza della Borsa a Milano, è stata vandalizzata (in questo caso dagli attivisti del clima).

Già quando l’opera venne presentata ad Art Basel Miami Beach 2019 e poi mangiata dallo scomparso David Datuna (l’artista statunitense è mancato l’anno scorso), la fiera aveva dovuto combattere con la calca di curiosi che si erano assiepati intorno allo stand della Galleria Perrotin dov’era stata esposta l’appetitosa opera, fino a dichiarare persa la partita. Rimetterla in visione avrebbe potuto diventare pericoloso. La fiera arrivò a dire che sarebbe stato “un serio rischio per la salute e la pubblica sicurezza

Apparentemente scultura deperibile, “Comedian”, è un’opera concettuale di Maurizio Cattelan, di cui esistono 3 esemplari più due prove d’artista. I tre lavori sono stati tutti vendute nel corso della fiera di Miami nel 2019 (i primi due per 120 mila dollari mentre l’ultimo per 150). Le prove d’artista invece, nonostante le numerose richieste (tra cui quella di Damien Hirst), sono rimaste alla Galleria Perrotin. I proprietari di quest’opera devono farsi carico dell’acquisto dei frutti (durante una mostra è tassativo sostituirli ogni due o tre giorni) e del nastro adesivo, ma ricevono un certificato di proprietà del lavoro e un dettagliato manuale di istruzioni (pare di 14 pagine) con le specifiche sulla maniera corretta di installarlo (l’altezza da terra e l’angolazione del nastro, per esempio, sono chiaramente codificati).

Per questo Cattelan, avvertito del siparietto verificatosi a Seul, è rimasto imperturbabile.

Ma perché “Comedian” è quello che è? Maurizio Cattelan crea lavori iperrealisti, più spesso sculture, immediatamente riconoscibili dal pubblico, che come le cipolle nascondono più strati di significato, via via sempre più profondi. “Comedian” prende spunto dai ready-made duchampiani (oggetti trovati trasformanti in opere d’arte perché collocati in un museo da un artista) ed è contemporaneamente un’autocitazione. In “A Perfect Day” del ’99, infatti, Cattelan aveva appeso a una parete con il nastro adesivo, il suo gallerista milanese e amico Massimo De Carlo. L’opera, poi, fa riferimento a “Banana 10” di Andy Warhol (ideata come la cover di un album dei Velvet Underground la rappresentazione serigrafica della buccia del frutto poteva essere staccata) e ad altre immagini simili del pioniere della Pop Art. Il significato più evidente del lavoro è contenuto nel titolo: la banana, con una sintesi disarmante, riporta alla mente una grande quantità di pièce comiche, facendo un salto nei cartoni animati e attingendo a piene mani dai film muti. L’altro importante indizio per interpretarla è il contesto: una fiera d’arte. Cattelan non presentava più opere in fiera da 15 anni ed è ritornato a farlo con una critica graffiante ed umoristica al mercato dell’arte e dei rischi che cela. Il gallerista Emmanuel Perrotin, ai tempi, descrisse così l’opera: "un simbolo del commercio globale, un doppio senso, nonché un classico oggetto di humor".

We”, da gennaio in corso al Leeum Museum of Art, con 38 opere che vanno dagli anni ’90 fino ai giorni nostri, è la più grande retrospettiva mai dedicata all’artista nato a Padova dopo quella del Guggenheim di New York nel 2011. E la prima in Corea. In mostra quasi tutte le opere iconiche di Cattelan, come la “La Nona Ora” (il papa colpito da un meteorite), “All” (le salme coperte da un sudario in marmo bianco), “Him” (Hitler inginocchiato con aria contrita e completo grigio). Ma anche tante altre, a cominciare da “We” che dà anche il titolo alla mostra (doppio autoritratto a grandezza naturale di Cattelan sdraiato su un letto). C’è persino lo scoiattolino suicida di “Bibidibobidiboo” (quest’ultimo è attualmente in mostra anche a Palazzo Strozzi di Firenze, incluso insieme ad altre quattro opere di Maurizio Cattelan nella splendida collettiva “Reaching for the stars”).